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Libano in crisi, cresce l’insofferenza a Hezbollah e alle ingerenze iraniane

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Nel Libano schiacciato dalla crisi economica e a rischio default finanziario, qualcosa si muove, seppur molto lentamente.

La premessa. Il governo non è in grado di ottenere i fondi promessi nel 2018 alla Conferenza di Parigi in quanto incapace di attuare le riforme economiche di cui il Paese ha bisogno al fine di combattere l’endemica corruzione interna, figlia del drammatico settarismo ormai al potere da anni.

Corruzione e settarismo sono costati carissimi al Libano e hanno scatenato, appena qualche mese addietro, la protesta dei giovani nelle strade di Beirut, che ha preso di mira direttamente anche Hezbollah e l’Iran.

È proprio il “Partito di Dio”, infatti, il nodo della discordia. Ormai Hezbollah è un vero e proprio Stato nello Stato, che non ha mai accettato le richieste – provenienti anche dalle Nazioni Unite – di disarmo. Un gruppo terroristico che segue gli ordini di Teheran e che proprio per volere del regime iraniano è entrato anni fa nel conflitto siriano.

Ora però la misura sembra colma per tutti, dato che il Libano rischia seriamente di pagare un prezzo altissimo per la sua inazione. A fine giugno, l’ambasciatore Usa a Beirut, Dorothy Shea, ha rilasciato un’intervista al quotidiano al-Hadath, dichiarando che Hezbollah “con le sue minacce” impediva la ripresa economica del Paese. Le parole della Shea hanno fatto centro, provocando la rabbia di Nasrallah.

Il ministro degli esteri libanese Nassif Hitti ha dovuto far buon viso a cattivo gioco, convocando la Shea per le sue affermazioni, mentre un tribunale ha stabilito che l’ambasciatore Usa non avrebbe potuto rilasciare interviste pubbliche per almeno un anno.

Dopo diverse settimane da quelle polemiche, e dalla decisione del tribunale, la Shea ha avvertito che la questione è ormai chiusa ed è tornata a rilasciare liberamente dichiarazioni pubbliche.

L’altro attore che sta premendo per un cambiamento di direzione radicale nella politica estera libanese è il patriarca maronita cardinale Bechara al-Rai. Al-Rai si è fatto promotore ad inizio luglio di una politica di “neutralità” del Libano che sia fondata su quattro principi:

  1. rompere l’assedio che rende impossibile al Libano decidere per se stesso autonomamente;
  2. esercizio della piena sovranità del Libano su tutto il territorio;
  3. lotta alla corruzione;
  4. fine della persecuzione dei servizi di sicurezza contro i giovani che sono scesi in piazza nell’ottobre del 2019.

Di fatto, tutti punti rivolti principalmente verso Hezbollah, che con le sue milizie armate impedisce al Libano di esercitare la sua sovranità nazionale e che prende ordini dalla Repubblica Islamica dell’Iran.

Il 26 luglio, il ministro degli esteri Hitti ha rilasciato un’intervista alla radio Voice of Lebano, in cui ha affermato di sostenere la politica di “positiva neutralità” del Libano. Anche parlando di Israele, Hitti ha sì detto che il Libano è in conflitto con lo Stato ebraico, ma anche che il Paese è impegnato con la Lega Araba nella ricerca di una soluzione per il conflitto israelo-palestinese. La politica di neutralità libanese ha ricevuto anche il sostegno del ministro degli esteri francese Le Drian, che ha di recente visitato per due giorni il Paese dei Cedri.

Non va nemmeno dimenticato che il Libano è a rischio crisi non solo per la sua incapacità di attuare le necessarie riforme interne, ma anche per le sue relazioni economiche con la Siria, che potrebbero costare a Beirut un prezzo molto alto, soprattutto dopo l’approvazione da parte americana del Cesar Act (le nuove sanzioni contro il regime di Damasco). Il ministro degli esteri Hitti pare abbia chiesto a Washington di godere di una serie di eccezioni.

Neanche a dirlo, nella crisi libanese sta tentando di inserirsi la Cina, offrendo a Beirut di costruire stazioni elettriche e ferrovie. Il rafforzamento delle relazioni con Pechino è vista favorevolmente dal premier libanese Hassan Diab, vicino a Hezbollah. Di contro, non è vista positivamente dall’esercito libanese, che gode di un sostegno molto forte da parte degli Stati Uniti e dell’Occidente.

Anche Beirut, quindi, presto potrebbe essere chiamata a fare una radicale scelta di campo, con potenziali rischi esplosivi per i fragili equilibri interni libanesi.