La conferenza internazionale di Palermo conclusasi due giorni fa ha rappresentato un passaggio importante nella stategia italiana sul dossier libico. Sebbene la maggior parte degli osservatori si sia soffermata sulla ritrosia del generale Haftar, oppure sulla scelta della Merkel di non partecipare direttamente al vertice, optando, al pari della Francia, per una rappresentanza politico-diplomatica di livello più basso, quello che in realtà appare degno di maggiore interesse è l’impegno profuso da Egitto e Russia, sia nelle fasi precedenti che durante la conferenza. La presenza dei due Paesi, principali sostenitori di Haftar, rappresentati dal presidente egiziano Al Sisi e dal primo ministro Russo Medvedev, ha reso infatti inevitabile l’adozione di un atteggiamento orientato al dialogo da parte del generale libico. L’azione diplomatica congiunta di Italia, Egitto e Russia ha chiuso, in effetti, il quadro relativo agli interessi dei principali “sponsor” internazionali delle due parti in conflitto, e ha reso meno rilevante sul piano politico, nonché strategicamente più marginale, il ruolo della Francia.
Il presidente francese Macron, infatti, dopo aver provato ad assumere la regia della pacificazione libica con la conferenza di Parigi del maggio scorso, si è arroccato sulla scelta di imporre elezioni generali entro dicembre ed ha assunto un atteggiamento critico nei confronti della conferenza di Palermo e della linea italiana. L’aver puntato sul fallimento del meeting potrebbe dunque costare molto a Parigi in termini di capacità di influenza sullo scenario libico.
L’importante avvicinamento delle due parti in conflitto, sebbene nel caso di Haftar appaia alquanto “forzato” e imposto dalla necessità, è ulteriormente evidenziato dalla reazione scomposta di una terza parte in campo, quella rappresentata dai movimenti libici vicini alla Fratellanza Musulamana, che si riconoscevano nell’ex premier tripolino Al-Ghawil e che hanno in Turchia e Qatar i loro principali sponsor. Senza voler necessariamente ridurre l’instabilità libica ad una sorta di guerra “per procura”, è evidente come la convergenza su una linea comune dei tre principali sostenitori internazionali delle due più rilevanti parti in conflitto, rappresenti un elemento nuovo e significativo.
Tale convergenza potrebbe concetizzarsi, tra le diverse ipotesi che hanno dominato i tavoli delle trattative, nella nascita di un sistema costituzionale “bicefalo”, sul modello della recente esperienza semi-presidenziale tunisina. L’altro elemento importante, sebbene purtroppo non inedito, che emerge dalla due giorni siciliana, è l’assoluta irrilevanza dell’Europa in quanto soggetto politico unitario, divisa com’è tra la spregiudicatezza miope della grandeur francese e dall’indecisione tedesca. Al netto delle considerazioni di quanti, in questi giorni, hanno parlato di fallimento “annunciato” del vertice, oppure di quanti hanno inneggiato in queste ore alla “storica” stretta di mano tra Serraj e Haftar, la due giorni di Palermo ha reso evidente come quello libico permanga un quadro molto complicato ed endemicamente instabile, rendendo tuttavia evidenti nuove convergenze politico-diplomatiche che rappresentano, queste sì, un possibile punto di svolta per la crisi.