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L’ideologia woke sbarca anche in Francia e Germania

Zuppa di Porro: rassegna stampa del 26 marzo 2020

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Che l’ideologia woke sia sbarcata in grande stile nel Regno Unito lo sapevamo già da tempo – ne abbiamo anche scritto qui qualche mese fa – ed è stato dettagliatamente attestato da una ricerca sul campo svolta dal sondaggista e politologo americano Frank Luntz, di cui ha riferito puntualmente sul Daily Mail lo stesso Luntz. Più recente è la scoperta che anche in Germania e in Francia il fenomeno ha cominciato a dilagare e a suscitare infuocate discussioni un po’ a tutti i livelli.

In Germania, per cominciare, ha fatto molto discutere la “detronizzazione” di Julian Reichelt, uno dei giornalisti più famosi ed apprezzati della Repubblica Federale, che è stato rimosso dalla direzione del Bild, il quotidiano più diffuso d’Europa, in seguito alle accuse di relazioni con colleghe più giovani contenute in un articolo del New York Times a firma di Ben Smith. Il pezzo ha anche suggerito che Axel Springer SE, il gigante dell’editoria tedesca che possiede Bild, non è in linea con i valori woke e MeToo di oggi. Inoltre, poche settimane prima, Springer aveva annunciato che avrebbe acquistato Politico, il sito web di politica statunitense, per circa un miliardo di dollari, il più grande investimento di sempre dell’editore tedesco. Un motivo in più per adottare i nuovi valori che oggi dominano la cultura capitalistica americana. Dopotutto, come ha detto Ben Smith, un manager americano sarebbe stato licenziato per il 5 per cento delle accuse che Reichelt ha sul groppone. Tutto sommato possiamo dire che Springer ha sacrificato sull’altare del capitalismo woke un eccellente direttore di giornale, o, nelle parole del capo di Springer Mathias Döpfner, “l’ultimo e unico giornalista in Germania che ancora si ribella coraggiosamente contro il nuovo stato autoritario modello DDR”.

Nel frattempo, il dibattito infuria in tutto il Paese sul linguaggio “neutro” rispetto al genere e inclusivo. Purtroppo però tutta la faccenda è resa oltremodo complicata dall’implacabile grammatica tedesca, meno incline al compromesso di quella inglese…

In Francia la discussione è ancora più accesa. L’importante rivista trimestrale francese Le Spectacle Du Monde, alcune settimane fa, ha pubblicato una storia di copertina intitolata “Il suicidio dell’America”. Ha attribuito il disastroso ritiro degli Stati Uniti dall’Afghanistan “ad una dittatura woke” e si è chiesta se “l’impero americano stesse crollando”. Nello stesso numero, un articolo ha stigmatizzato le università americane come isole di estremismo, dove anche i costumi di Halloween degli studenti sono controllati, citando ad esempio negativo l’Università di Yale, un luogo in cui vengono puniti gli indossatori di costumi ritenuti “offensivi”.

Il governo di Emmanuel Macron, a sua volta, sta facendo della lotta contro le teorie woke una pietra angolare della sua strategia elettorale (le elezioni presidenziali francesi sono vicinissime: aprile 2022). “Il nostro Paese è diventato un obiettivo del movimento woke“, ha affermato Pierre Valentin, un esperto del nuovo think tank Le Laboratoire de la République, guidato dal ministro dell’istruzione francese Jean-Michel Blanquer. By the way, da leggere assolutamente, in lingua italiana, il Foglio Internazionale del 9 agosto scorso, curato da Giulio Meotti e intitolato “Il woke, oppio degli intellettuali”, in cui viene riproposta in italiano l’interessante intervista di Kevin Boucaud-Victoire a Pierre Valentin pubblicata sul magazine Marianne alla fine di luglio.

Le Laboratoire de la République ha il compito di combattere quello che il ministro Blanquer chiama “il wokismo importato dagli Stati Uniti”. “La Repubblica è completamente contraria al wokismo“, ha detto Blanquer in un’intervista a Le Monde. “Negli Stati Uniti”, argomenta il ministro, “questa ideologia ha provocato una reazione e ha portato all’ascesa di Donald Trump”. E il trumpismo, ça va sans dire, è il peggiore dei mali nell’illuminato pensiero macronian-blanqueriano… Ovviamente l’iniziativa ha suscitato polemiche. “È maccartismo”, ha detto Rim-Sarah Alouane, dell’Università Toulouse 1 Capitole: “Un ministro sta usando un ente privato per bloccare le discussioni su questi temi […].  Stanno cercando di attrarre gli elettori reazionari e conservatori. E, naturalmente, gli elettori che sono affascinati da Eric Zemmour”.

In un’intervista con la rivista Elle, la scorsa estate, lo stesso presidente Macron si è lamentato del fatto che la “cultura woke” importata dagli Stati Uniti sta “razzializzando” la Francia e creando più divisione tra le minoranze. Monsieur le President è stato ovviamente criticato dai progressisti, mentre altrettanto ovviamente diversi membri del suo governo, come il ministro delegato per l’uguaglianza di genere e la diversità, Elisabeth Moreno, una donna di colore, hanno condiviso il suo approccio ferocemente critico. “La cultura woke è qualcosa di molto pericoloso e non dovremmo importarla in Francia”, ha detto Madame Moreno in un’intervista a Bloomberg News all’inizio di quest’anno.

“No, il woke non è un fantasma ‘reazionario’, è una rivoluzione culturale in corso”, ha scritto il giornalista e saggista francese Brice Couturier su Le Figaro il 25 ottobre, rispondendo a coloro che negano la realtà dell’attivismo woke e attribuiscono la sua denuncia solo ai conservatori. Couturier è l’autore del libro di recente pubblicazione Ok Millennials! Puritanisme, victimisation, identitarisme, censure… L’enquête d’un ‘baby boomer’ sur les mythes de la génération woke (Ok Millennials! Puritanesimo, vittimizzazione, identitarismo, censura… L’indagine di un “baby boomer” sui miti della generazione woke). Questa nuova rivoluzione culturale non viene dalla Cina, dice, ma dagli Stati Uniti. Ed è altrettanto devastante. I “guerrieri della giustizia sociale”, sostiene, sono le nostre nuove guardie rosse. “Questo libro è dedicato a ricostruire la storia di quella che è divenuta nota come la rivoluzione woke”, dichiara l’autore nell’introduzione, e “si concentra sulla recente storia culturale americana, dove questo ‘ésprit‘ è nato e ha già fatto scempio, ed è ancora lontano dall’aver raggiunto il suo apice in Francia. Da noi rimane confinato ai margini della società. Negli Stati Uniti si è impossessato del potere, senza mai conquistare la maggioranza, semplicemente conquistando l’egemonia culturale”. L’Oréal bandisce i termini “bianco” e “sbiancamento” dai suoi cataloghi, Evian si scusa con i musulmani per un annuncio pubblicato sui social media il primo giorno di Ramadan, Lego cancella i suoi annunci pubblicitari che rappresentano agenti di polizia in solidarietà con Black Lives Matter

Chi può ancora affermare che il woke è un fenomeno folkloristico circoscritto ai campus nordamericani? Onestamente non credo si possa dar torto a Couturier. Ma neppure, se è per questo, a Emmanuel Macron e ai suoi zelanti collaboratori.

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