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L’impatto psicologico delle chiusure (e del terrorismo mediatico) sugli italiani: dati allarmanti

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Pochi giorni fa è uscito un studio della Fondazione Italia in Salute relativo non solo all’impatto socio-sanitario ma anche a quello comportamentale-psicologico che ha avuto il Covid sulla vita degli italiani. I dati che ci vengono mostrati rappresentano perfettamente la gravità della situazione che viviamo, in silenzio, in Italia. Ciò che emerge è un rischio elevato per la salute degli italiani, particolarmente dannoso nel medio-lungo periodo, quindi gli effetti li conosceremo in tutta la loro portata solo tra qualche mese.

Tra gli intervistati, un 70 per cento ha ridotto spontaneamente qualunque uscita con altre persone e un 69,4 per cento ha rinunciato a frequentare o invitare altre persone in casa propria. Sono dati preoccupanti, ma che possono comunque essere spiegati con il periodo di chiusura. In netto calo anche la frequentazione di luoghi pubblici, ristoranti e negozi, che sono stati parzialmente aperti, per il 53,5 per cento della popolazione, mentre un 29,1 per cento della popolazione ha rinunciato spontaneamente a fare sport.

Sono molteplici i cambiamenti comportamentali che ci vengono descritti nello studio: il 49 per cento degli intervistati avverte molto più nervosismo e stress legati alla pandemia, il 28,8 per cento racconta di avere problemi a dormire o di dormire meno. Da notare che il 16,5 per cento afferma di avere sintomi di depressione.

L’impatto dunque è devastante, ma a destare maggiore preoccupazione sono i dati relativi ai giovani. Avevamo detto che segni o sintomi di depressione erano citati dal 16,5 per cento della popolazione, ma fra i più giovani si sale al 34,7 per cento, quindi più del doppio. Una marcata differenza anche nel numero di persone che avverte disagi psicologici: il 27,1 per cento nella popolazione generale, mentre il 40,2 per cento fra i giovani.

Nello studio, che consigliamo di leggere con attenzione, vengono inoltre affrontante specifiche situazioni come quelle dei minori, intervistando però i genitori: riassumendo, abbiamo quasi il 60 per cento di essi che ritiene rilevante l’impatto psicologico della pandemia sui loro figli; la metà di questi ritiene che l’impatto ci sia, ma non sia troppo rilevante, cioè non abbia conseguenze durature, mentre quelli che non riscontrano problemi sono sotto la soglia del 10 per cento.

Insomma, nel complesso i dati sono molto allarmanti. Molti psicologi cercano di fare luce sull’aumento dei casi di ansia e paura sorti proprio durante il periodo del lockdown. Casi che purtroppo tenderanno ad aumentare e, come abbiamo detto, le cui ripercussioni le osserveremo nel medio-lungo periodo. Le parziali aperture concesse sono una boccata d’ossigeno, ma non certo una “normalità”, in quanto lo stile di vita antecedente al Covid è ancora lontano. Basti pensare al coprifuoco tuttora previsto dalle 22. Con l’arrivo dell’estate si spera in un ulteriore allentamento delle restrizioni, ma sarà difficilissimo cancellare in pochi mesi una onnipresente comunicazione allarmistica, la costante colpevolizzazione dei cittadini, che al contrario dei positivi e dei ricoveri non accennano a diminuire.

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