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L’impulso pavloviano della sinistra ad evocare sempre la resa dei conti, una “Piazzale Loreto” per l’avversario di turno

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Dare della sbruffoncella a una “capitana” improvvisata che, col silenzio-assenso di cinque parlamentari di sinistra, sperona una motovedetta della Finanza, parrebbe, col senno del poi, perfino indulgente. Ma viene letto, secondo le obbligatorie coordinate del politicamente corretto ipocrita, come sessista, fascista, stupro morale, violenza civile; per forza, esce dalla bocca del famigerato ministro di polizia (il quale, invero, ogni tanto potrebbe pure resistere all’impulso di dar fiato alla bocca). Per non parlare della foto, sacrilega, intollerabile, della martire colta in fermo di polizia, foto peraltro diffusa dagli stessi che si stracciavano le vesti, et pour cause. Invece un meme, un tweet, con la Giorgia Meloni icasticamente rovesciata, insomma a testa in giù, è satira, sana, irriverente, di quella che non patisce censure. Difatti nessuno a sinistra ci trova niente da ridire. Si può capire, la sinistra è questa, il suo vittimismo violento e ipocrita è questo: la trave nel proprio occhio giustificata da ogni pagliuzza nell’occhio altrui.

La trovata viene da una assessora emiliana, tale Valeria Montanari, e dicono: ma Zingaretti, il segretario, non ha niente da dire? Ma cosa vuoi che dica, il brodo di cultura, esageriamo, è quello, l’egemonismo non cambia, siamo sempre al sacro “io ti schiaccerò” della buonanima Carlo Marx. Meloni appesa, pendaglio da forca, come Mussolini; anche Staino, su La Stampa, una striscia col solito Salvini impiccato, e ringraziano, chissà perché, san Gennaro. La macelleria messicana, la forca, il lavacro partigiano, piazzale Loreto come luogo dell’eterno immaginario. Il tweet dell’assessora è mirabilmente coerente con una certa idea della politica e dell’etica, è perfino doveroso, una expertise: o così, o non sei di sinistra. Il resto, il rispetto, la democrazia, la nonviolenza, sono emerite palle, è fumo da gettare negli occhi dei farisei e dei creduloni. C’è come un dovere, un impulso pavloviano ad evocare sempre la resa dei conti, la violenza risolutrice, soreliana, la necessità storica della rivoluzione in punta di fucile, non un pranzo di gala, non un balletto di cicisbei ma il santo macello giustificato dalla cointingenza, dalla spasmodica ricerca di regime.

In modo non dissimile, diciamolo pure, dalla destra estrema e forsennata. Con la differenza che quest’ultima si ritrova ghettizzata, autoemarginata, mentre la sinistra al gran completo ancora flirta con certe suggestioni, ostenta comprensione e pluralismo ma basta un niente, basta una divergenza polemica per cavarle fuori la voglia di forca che cova. La Meloni è, volendo, una rappresentante del postfascismo in democrazia, ma difficilmente indulge ad attacchi così scoperti, così truculenti; da sinistra invece la seduzione della volgarità violenta affiora puntuale, pavloviana. Basta confrontare le rispettive sensibilità satiriche: cattive, anche carogne, anche ingenerose le vignettine di destra, ma dall’altra parte, gratta gratta non manca mai il messaggio giustiziere, l’allusione più o meno scoperta, la voglia di farla finita, il ritrarre l’altro, l’avversario, non come un nemico, non come un umano, ma come un elemento da annientare. Il tutto dai restiamo umani per missione e magari per mestiere. I fascisti nelle fogne! I fascisti al cimitero, appesi, capovolti, fatti a pezzi! E siccome, secondo retorica resistenziale, è fascismo tutto quello che ci va storto, si fa presto a fare i conti. 

No, non dice niente Zingaretti e non si pente, e perché dovrebbe? L’assessora democratica: le donne sono uguali, ma qualcuna di più e qualcun’altra di meno. Alla Meloni da appendere a piedi in alto a piazzale Loreto non è giunta una sola dimostrazione di solidarietà dalle bennate signore di sinistra, solo sarcasmo e compiacimento.

C’è un’altra ossessione a sinistra, è quella razziale, paradossalmente dagli stessi che non ammettono razze ma solo la grande chiesa buonista che va “da Che Guevara (il più buonista di tutti) a Madre Teresa”. È quella per il sesso, in questi giorni a chi non porta in processione la capitana Carola è capitato di sentirsi ripetere che ha il pene piccolo, così dicono, a fior di labbra, con degnazione anatomica; che è invidioso della dotazione dei neri, che è un impotente. Curioso, strano modo di negare le differenze razziali, anche di rispettare l’etnia nera in sé, ridimensionata – da loro, dai loro stessi tifosi – ad attrezzo erotico. Anche qui, con supremo sprezzo per la coerenza e per la decenza. Ma la sinistra non può cambiare, perché non lo vuole, perché smarrirebbe definitivamente se stessa. La propria sensibilità è questa, le sue radici sono queste; questo il suo modo di ironizzare, di polemizzare, di combattere. Arroganza e vittimismo, spocchia da autoproclamati e violenza da trivio della storia, sussiego da boccuccia arrotata e volgarità da suburra. Forse è per questo che più si sforzano di scherzare e più riescono cupi, plumbei, tetri. Questione di cellule.

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