Ricapitoliamo. Per lunghe settimane, il Quirinale ha esplorato, accompagnato, tentato diverse soluzioni, tranne una: dare un incarico formale a un esponente di centrodestra, cioè alla coalizione che (in basa alla geografia elettorale del 4 marzo) era la meno lontana dalla maggioranza assoluta, ma in compenso, per usare un linguaggio da Prima Repubblica, era sicura titolare della maggioranza relativa (37 per cento dei voti, e circa 41-42 per cento dei seggi ottenuti).
L’obiezione del Quirinale è stata, come sappiamo, che non intendeva dare un incarico al buio, in assenza di una certa maggioranza parlamentare. Insomma, alla Camera a questa coalizione sarebbero mancati una cinquantina di voti, che il Colle avrebbe voluto preventivamente vedere nero su bianco.
Tesi non solidissima, quest’ultima, almeno per due motivi. Un motivo teorico: come fai a escludere, prim’ancora che il Presidente del Consiglio incaricato abbia parlato alle Camere, che possa convincere un numero adeguato di indecisi? Un motivo pratico: proprio se sei formalmente incaricato, hai la forza in più per negoziare e conquistarti una maggioranza. Giusto o sbagliato, da che Parlamento è Parlamento, in tutto il mondo funziona così. Ma Mattarella ha detto no.
Peccato che ora abbia deciso di incaricare Carlo Cottarelli con numeri di partenza molto più ridotti e risicati di un eventuale primo ministro di centrodestra. Quindi adesso l’incarico al buio si può dare? Anzi, si può fare anche se la bocciatura è quasi certa?
I difensori del Colle ci diranno: ma nel frattempo è cambiato lo scenario (in tempi di Guerra Fredda i comunisti erano specializzati nel giustificare ogni svolta con la frase magica: “E’ cambiato il contesto”). Tutto vero: ma il peggioramento del quadro non è forse responsabilità di chi ha diluito e dilatato la crisi, alla fine ponendo il veto su Savona, e all’inizio rifiutando di verificare una possibile maggioranza di centrodestra?