Ci troviamo di fronte ad uno scenario inedito ed estremamente complesso per la politica israeliana. Dopo le elezioni di aprile e di settembre, nessun leader è finora riuscito a formare una maggioranza nel parlamento di Israele, la Knesset.
Il primo a fallire è stato il premier Benjamin Netanyahu, il quale aveva ricevuto il 25 settembre scorso il mandato per formare un esecutivo dal presidente della Repubblica Rivlin.
A fine ottobre è stato il turno dell’omonimo e rivale Gantz, ex capo di stato maggiore dell’IDF, di avere l’onore di formare un esecutivo. Nella serata del 20 novembre, anch’egli ha comunicato a Rivlin la sua incapacità nel costruire una maggioranza di 61 MK (membri della Knesset).
Ed ora quali sono gli scenari? La legge israeliana prevede che qualsiasi MK possa in 21 giorni cercare di formare un governo ed evitare quindi che, allo scadere di quel periodo, il presidente della Repubblica si trovi obbligato a sciogliere il Parlamento.
Le cause di questo stallo sono numerose e complesse e possono essere riassunte in questi punti.
Il rapporto tra Stato e religione che vede contrapposte le forze laiche ai principali partiti Haredi (Shas e Giudaismo Unito nella Torah). I primi vorrebbero obbligare gli studenti ultraortodossi a svolgere la leva militare, vorrebbero consentire alcune attività lavorative nel giorno di Shabbat ed in generale ridurre l’influsso religioso nella società. Ovviamente i secondi si oppongono strenuamente a tutto questo, e anzi vorrebbero fondare sempre di più la legge israeliana sui precetti religiosi. Il più strenuo difensore della laicità dello Stato è Avigdor Liberman, già ministro dei governi Netanyahu, la cui uscita a novembre del 2018 causò l’inizio della instabilità politica del Paese.
Il ruolo dei partiti arabi. Per alcuni giorni è parsa estremamente concreta la possibilità che Gantz pur di formare un governo, si sarebbe avvalso dell’appoggio esterno di tali partiti. Ciò ha fatto infuriare tutta la destra israeliana, la quale riteneva oltraggioso che esponenti politici che hanno definito assassini i soldati di Israele, potessero avere un ruolo chiave nel sostegno al governo. La possibilità della formazione di questo governo è sfumata, il dubbio e il sospetto no.
La figura di Netanyahu. Soprannominato anche Re Bibi, è sicuramente una delle figure politiche più importanti degli ultimi 30 anni della vita dello Stato ebraico. È il primo ministro che ha più giorni di servizio, avendo battuto anche il padre della Patria David Ben Gurion. La sua presenza è polarizzante e se dovessimo fare un paragone con la politica nostrana potremmo confrontarlo con Silvio Berlusconi.
Netanyahu ha raggiunto notevoli traguardi in politica estera e nella sicurezza dello Stato d’Israele, ha dato un forte impulso allo sviluppo delle start up e del libero mercato. Di contro è spesso accusato di cedere troppo alle pressioni degli ultraortodossi semplicemente per rimanere al potere ed evitare l’incriminazione. Infatti, è accusato di corruzione in alcuni casi giudiziari. I suoi avversari hanno spesso chiesto la sua uscita di scena in caso di incriminazione, lui ha più volte paventato la possibilità di far approvare una norma sull’immunità.
Le possibilità quindi rimangono solo due. Liberman, dopo aver escluso un governo di minoranza a causa del suo odio per gli arabi e aver respinto un governo di destra a causa dell’avversità nei confronti di Netanyahu e dei partiti Haredi, ha detto che sarà pronto a supportare solo un governo di unità con il Likud (partito di Bibi) e con Kahol Lavan (partito di Gantz).
Ma dopo l’incriminazione di Netanyahu per corruzione, esiste anche la possibilità che qualche avversario interno nel Likud, magari Gideon Sa’ar, possa cercare di detronizzarlo dalla guida del partito e formare più facilmente un governo di coalizione. In caso contrario, nel mese di febbraio o marzo Israele andrà di nuovo alle urne.