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L’insostenibile grezzitudine dei dati di Speranza e ISS, al servizio della narrazione ufficiale

In due mesi sono morte 30 mila persone. Non viene mente che forse è stato sbagliato tutto?

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In occasione della conferenza stampa di presentazione postuma, il 10 gennaio 2022, delle misure più rigide e discriminatorie al mondo per la limitazione delle libertà individuali dei non vaccinati, il ministro della salute Speranza ha mostrato dati raffigurati in una slide con omini di vari colori e dimensioni. Al di là dell’appropriatezza della rappresentazione, un dato è saltato immediatamente all’occhio di molti osservatori sui social media (ma non, significativamente, dei giornalisti presenti): i dati risalivano a esattamente un mese prima, il 12 dicembre 2021.

Come ci informano le dettagliate analisi di Thomas Müntzer (che ringrazio) sul suo account Twitter, in Italia l’unico ente in grado di “incrociare” i dati della pandemia con quelli dello stato vaccinale dei cittadini è l’Istituto Superiore di Sanità (ISS). Solo l’ISS quindi è in grado di fornire una misura dell’incidenza dei casi, dei ricoveri o dei decessi Covid-19 tra non vaccinati e vaccinati con una, due o tre dosi.

I dati di cui l’ISS è in possesso non sono pubblici, ma vengono divulgati settimanalmente attraverso un bollettino, pubblicato solitamente il sabato mattina (qui si può trovare l’archivio dei bollettini settimanali); l’accesso ai dati è strettamente regolamentato dall’ente, il quale ne prevede la condivisione solo con persone giuridiche, non privati cittadini, riservandosi il diritto insindacabile di accettare o rifiutare la richiesta.

La slide mostrata dal ministro Speranza proviene direttamente dal bollettino del 5 gennaio 2022, in particolare dalla tabella 6 a pagina 26. In questa tabella si mostra (tra le altre cose) il tasso di persone ricoverate in terapia intensiva (TI) per 100.000 abitanti, per non vaccinati, vaccinati da meno di 120 giorni, vaccinati con booster, e così via.

Notiamo innanzitutto che le date fornite nella slide di Speranza sono errate: il periodo di riferimento va dal 12 novembre al 12 dicembre 2021, mentre il bollettino per gli stessi dati riporta il periodo dal 19 novembre al 19 dicembre.

Ad ogni modo, i numeri sotto gli ormai celebri omini colorati di Speranza riproducono (quasi) fedelmente la riga della tabella indicata come “totale”. A questo punto i più curiosi hanno iniziato a verificare la coerenza interna delle informazioni fornite da Speranza utilizzando gli altri dati presenti nel bollettino ISS, in particolare quelli in tabella 5 a pagina 23. Questa tabella contiene il numero effettivo di persone che sono state ricoverate in TI nello stesso periodo usato per il calcolo dell’efficienza mostrato dal ministro: nel caso dei non vaccinati questo numero equivale a 1.202.

Per ogni categoria, dividendo il numero effettivo di ricoverati in terapia intensiva per il tasso di ricoveri per 100.000 abitanti, si dovrebbe ottenere per definizione il numero di persone che compongono la categoria in esame.

Facendo questo semplice esercizio con i dati di Speranza si ottiene un totale di 5,2 milioni di non vaccinati. Il dato è in contrasto sia con la slide stessa, che riporta il valore di 6,6 milioni di non vaccinati, sia con il bollettino del 21 dicembre che per la data del 4 dicembre (nel mezzo dell’intervallo temporale in esame) in tabella 4 riporta il dato di 7 milioni di non vaccinati: anche ai meno avvezzi con la matematica apparirà evidente che l’uso di una popolazione inferiore a quella reale ha come effetto di incrementare l’incidenza dei ricoveri in terapia intensiva per i non vaccinati e quindi di amplificare in modo disonesto gli effetti benefici del vaccino.

In seguito a diverse sollecitazioni da parte del web e della carta stampata l’ente ha fornito insieme al bollettino successivo una parziale spiegazione di questa discrepanza, attraverso la sezione FAQ del suo sito: navigando in questo mare nebuloso pare di capire che il valore dell’incidenza finale sia il risultato della media tra i valori nelle diverse fasce d’età pesate per l’incidenza delle fasce d’età sul totale della popolazione italiana e non sul totale della popolazione vaccinata.

A chi legge i bollettini non è dato sapere quali siano effettivamente i pesi usati, rendendo impossibile o quasi riprodurre il calcolo effettuato. La scelta poi appare per lo meno discutibile, in quanto riprodurrebbe un ipotetico tasso di incidenza nel caso in cui tutta la popolazione italiana fosse non vaccinata. Nel riprodurre questo scenario però non vengono considerati altri fattori che contribuirebbero a muovere l’incidenza in direzione opposta, ad esempio:

  1. La presenza dei guariti sottoposti a una dose che rientrano per ISS nella categoria dei vaccinati, ma che ridurrebbero il tasso di TI in un’ipotetica Italia non vaccinata;
  2. Il fatto che i vaccinati da meno di 14 giorni dall’insorgere dei sintomi Covid-19 vengano considerati non vaccinati (definizione a pagina 21 dell’ultimo bollettino) mentre alcune evidenze sembrano mostrare che molte infezioni avvengono proprio in questo lasso temporale.

Da queste disattenzioni e incongruenze appare evidente il bias che attanaglia governo e ISS nella divulgazione dei dati epidemiologici: più che a una presentazione scientifica delle evidenze attualmente in nostro possesso, si punta ad amplificare a prescindere i dati in favore della vaccinazione di massa in modo maldestro e surrettizio e senza che ce ne sia un apparente reale bisogno, viste le altissime percentuali di vaccinazione raggiunte già nella primavera 2021 specialmente tra la popolazione più a rischio.

In risposta alle numerose critiche, l’account Twitter ufficiale dell’Istituto (@istsupsan) ha dichiarato di aver fornito “la popolazione già corretta per età e periodo di riferimento, non quella ‘grezza’ usata” nei report precedenti: una spiegazione che ha suscitato reazioni fra lo stupore e l’ilarità, scatenando sui social l’hashtag #datigrezzi. Peraltro, proprio non diffondendo i “dati grezzi” in forma aperta l’ISS lascia aperta la porta a ogni ipotesi di manipolazione, giustificata o no che sia.

Le manipolazioni dei dati statistici hanno molti precedenti nella storia. Precedenti non molto rassicuranti. L’esempio più emblematico è forse di tipo inverso: statistici puniti per aver riportato dati corretti, che smentivano la versione ufficiale del potere.

Il primo censimento generale della popolazione dell’Unione Sovietica da poco istituita si svolse nel 1926. Questo censimento rilevò una popolazione totale di poco più di 147 milioni di abitanti nelle sei repubbliche di cui si componeva all’epoca l’Unione.

Il secondo censimento, previsto per la fine del 1933, fu rimandato più volte. Al di là dei pretesti tecnici e pratici, la reale causa del differimento fu la carestia prodotta dalla collettivizzazione forzata delle campagne. Questa carestia, ufficialmente negata dal regime sovietico, aveva causato un numero imprecisato, ma molto alto, di vittime, soprattutto in Ucraina.

Alla fine il censimento si svolse nel gennaio 1937. Le autorità sovietiche, come attestato da una serie di dichiarazioni dello stesso Stalin, si attendevano una crescita imponente della popolazione come effetto del presunto miglioramento delle condizioni di vita di operai e contadini. I risultati furono però deludenti: la popolazione registrata dagli statistici, malgrado una serie di espedienti del regime per favorire registrazioni multiple, fu di appena 162 milioni di abitanti, molto al di sotto delle aspettative. Ancor peggio, le regioni più colpite dalla carestia dimostravano un’inquietante diminuzione di popolazione: risultavano poco meno di 26 milioni e mezzo di ucraini, contro più di 31 milioni nel 1926; 2,8 milioni di kazaki contro 3,9.

Il 25 marzo 1937 i responsabili del censimento, fra cui il direttore dell’ufficio Olimpij Aristarchovič Kvitvkin, furono arrestati per sabotaggio, in uno dei processi minori delle purghe staliniane. Condannati a morte il 28 settembre, furono giustiziati lo stesso giorno e seppelliti in una fossa comune. Il censimento fu annullato e sostituito da un altro, più manipolato, nel 1939, sebbene anche il nuovo censimento non riuscisse a nascondere una diminuzione, seppur più contenuta, della popolazione ucraina.

Questo episodio ci dà un importante insegnamento: la statistica, lungi dall’essere una disciplina neutra, è fondamentale strumento del potere. Il potere ha bisogno di dati che suffraghino le sue scelte: questo è particolarmente vero nei regimi dittatoriali e autoritari, ma anche nei regimi teoricamente democratici i rapporti tra dati e decisioni politiche è molto sottile e le manipolazioni sono sempre in agguato.

La narrazione ufficiale sul Covid, sulle sue conseguenze e sui benefici dei vaccini si è nutrita di dati statistici incompleti, non disponibili pubblicamente, manipolati o presentati in modo intellettualmente disonesto. Questo è centrale per il monopolio dell’informazione: se nessuno può contestare i dati perché non può accedervi, ogni opposizione alle politiche sanitarie e alle scelte derivanti da queste politiche può essere dismessa come antiscientifica e complottista. Un regime democratico, per favorire una discussione libera e informata sulle sue decisioni, renderebbe disponibili tutte le informazioni in suo possesso sotto forma di dati aperti, accessibili a tutti senza particolari requisiti, fino al livello dei dati individuali anonimizzati. Quando, invece, l’ente responsabile per le politiche sanitarie presenta informazioni errate, ingannevoli, contraddittorie, rifiutandosi di rendere pubblici i dati, trincerandosi dietro spiegazioni assurde come quelle che rimandano ai “dati grezzi”, rifiutandosi di rispondere alle richieste di accesso ai dati, abbiamo già largamente intrapreso la china scivolosa al cui fondo c’è la fine della democrazia sostanziale.

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