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L’isteria anti-Musk: la sinistra teme di perdere il controllo dei social conquistato dopo Trump

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Cortocircuito liberal: finché i social si piegano all’agenda progressista, censurando e bannando gli avversari politici, tutto ok, sono privati. Ora che un imprenditore acquista una piattaforma per garantire libertà di espressione, quella diventa “tossica”, una minaccia…

Elon Musk ha comprato Twitter per 44 miliardi di dollari. Essendo, al momento, l’uomo più ricco del mondo, può anche permetterselo. Lo scopo dell’acquisto è riportare la libertà di espressione al centro del dibattito sui social network. Lo ha dichiarato lo stesso Musk, nel momento in cui ha acquistato il primo pacchetto di azioni e ha lanciato la sua offerta di acquisto: “Ho investito in Twitter dal momento che credo nel suo potenziale di piattaforma per la libertà di espressione in tutto il mondo e credo che la libertà di parola sia un imperativo sociale in una democrazia funzionante”. In un altro discorso, sempre a proposito dell’acquisto di Twitter, aveva definito la libertà di parola come “la pietra angolare di una democrazia”. Ieri, con un tweet, ha chiarito: “Per free speech, intendo semplicemente ciò che corrisponde alla legge. Sono contro la censura che va ben oltre la legge. Se le persone vogliono meno libertà di parola, chiederanno al governo di approvare leggi in tal senso. Pertanto, andare oltre la legge è contrario alla volontà del popolo”.

Ad acquisto di Twitter perfezionato, la reazione di Amnesty International, tanto per cominciare, è stata lapidaria. Due parole: “Twitter tossico”. Il discorso è paradossale. C’è un imprenditore che vuole comprare una piattaforma social per garantire la libertà di espressione e una ong nata per difendere i diritti umani (fra cui la libertà di espressione) protesta. Cose pazze. Eppure molti ragionano così.

Un giornalista come Beppe Severgnini, che vive e lavora grazie alla libertà di stampa, arriva a twittare: “Se free speech però vuol dire libertà di insultare, diffamare, minacciare e mentire (in forma anonima, of course), o di sovvertire la democrazia (come ha provato a fare Trump), allora Twitter non ci interessa più, caro Elon Musk”. Sorvoliamo pure sulla sovversione della democrazia di Donal Trump, che comunque è all’opposizione, non al governo. Un discorso così ha senso? Insultare e diffamare sono già perseguibili dalla legge, la menzogna la devi dimostrare, quanto alla sovversione della democrazia (su Twitter) ci sono ben altri metodi più efficaci: i carri armati, le congiure di palazzo, l’uso politico della magistratura. Credere che, a parole, si possa sovvertire l’ordine democratico vuol dire solo, molto semplicemente: non credere nella democrazia.

Jameela Jamil, conduttrice televisiva, lancia un’accusa esplicita all’imprenditore: “Con l’acquisto di Twitter, Musk lascerà la piattaforma e la smetterà di essere una minaccia per la società”. E quando mai il fondatore di Tesla e di SpaceX, che dà lavoro a decine di migliaia di tecnici in tutto il mondo, che contribuisce alla circolazione a zero emissioni e all’esplorazione dello spazio, dovrebbe costituire una “minaccia per la società”? Perché non si arrende alla censura contro Donald Trump, forse. Perché sostiene che il diritto di libertà non conosce eccezioni. Solo per questo.

Il grande regista Rob Reiner (“Stand by Me”, “Harry ti presento Sally”, “Misery non deve morire”, “Codice d’onore”…) dimostra di non comprendere il senso stesso della libertà di opinione e neppure di voto: “Ora che Elon Musk compra Twitter, una domanda per tutti noi: permetterà ad un criminale che ha usato questa piattaforma per mentire e diffondere disinformazione per cercare di rovesciare il governo degli Stati Uniti, di tornare e continuare con la sua attività criminale? Se lo farà, come possiamo combatterlo?” Indovinate di quale “criminale” parla? Di Donald Trump, ovviamente.

La spiegazione di questi paradossi, dunque, è molto semplice. A costo di generalizzare: il Partito democratico e tutto il mondo intellettuale, imprenditoriale, filantropico, mediatico e artistico alla sua corte, non vogliono ammettere alcuna vera alternanza democratica. Non hanno mai ammesso la legittimità di Donald Trump, così come non hanno mai ammesso quella di George W. Bush prima di lui, di Reagan prima di Bush e di Nixon prima di Reagan. I Democratici “sono” il governo, hanno il loro programma di trasformazione più o meno accelerata della società americana e, almeno dai tempi di Kennedy, dal 1960 dunque, hanno il controllo pieno delle menti pensanti del Paese. I media si sono meravigliati all’unisono della vittoria di Trump nel 2016: come osa vincere, se eravamo tutti contro di lui (come si chiedeva anche Giovanna Botteri in trasferta)? Risposta semplice: perché usava bene i social network, soprattutto Twitter, dunque sapeva comunicare bene in quella che è la piazza virtuale del XXI Secolo. Ecco che allora, per quattro anni, i Democratici e i loro numerosissimi alleati nel mondo occidentale hanno fatto la guerra per il controllo dei social network, convincendo, con le buone o con le cattive i proprietari ad autocensurarsi.

Con il pretesto ottimo della pandemia, poi, le censure, i messaggi di avvertimento, i “fact checking” indipendenti sono diventati una costante per tutti noi utenti. E dopo la protesta (non un golpe: si chiama protesta, disarmata) al Campidoglio del 6 gennaio 2021, Trump è stato bannato a vita sia da Twitter che da Facebook. Il massimo lo si è raggiunto il mese dopo, quando un intero social network concorrente, Parler, proprio perché continuava a garantire la libertà di parola, è stato mandato offline nel giro di un weekend, senza aver bisogno di una sentenza, ma solo di tre click delle società che ne controllavano la diffusione. In un contesto del genere, c’è una possibile reazione negativa ed una positiva. Quella negativa è la reazione statalista proposta da una parte del Partito Repubblicano che mira a cancellare la legge che distingue i social network dagli editori. Si renderebbe, così, il proprietario del social network responsabile di tutto ciò che viene pubblicato sulla sua piattaforma, costringendolo a ridurre enormemente il traffico. In questo modo, però, la libertà di espressione verrebbe ancor più ridotta. L’altra reazione possibile, positiva, è quella di mercato: creare un social network nuovo, come ha fatto Trump con Truth. O comprarne uno già esistente, anche per cambiargli le regole, come ha fatto Musk.

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