Il “politicamente corretto” è una forma di dogmatismo sempre più diffusa e intrusiva nel panorama politico-sociale contemporaneo. Esso trasforma un metodo di approcciarsi alla realtà politica e sociale aperto, come quello che siamo abituati a praticare nelle nostre società liberali, in un approccio chiuso e diffidente verso chi non si conforma al pensiero “dominante”. I suoi fautori ricorrono a metodi illiberali per affermare la loro visione, demonizzano gli avversari, etichettati come arretrati e razzisti, e cercano di tenere chi non la pensa come loro ai margini del dibattito pubblico che conta.
Ci troviamo di fronte ad una sorta di dittatura del “politicamente corretto” che sta seriamente minacciando una delle libertà fondamentali e delle più preziose conquiste dell’Occidente: la libertà di espressione. Oggi non si può più dire nulla di non conforme al pensiero dominante senza venire ripresi e banditi, ci troviamo a convivere con un moralismo ed un falso buonismo sfrenati. Basti pensare a come viene strumentalizzata la questione del razzismo o della parità di genere: temi su cui è sacrosanto porre la nostra attenzione ma di certo con metodi ben diversi da quelli proposti da qualche benpensante.
Una delle massime esponenti del “politically correct” è l’ex presidente della Camera Laura Boldrini, nota per la sua iniziativa per “femminilizzare” la dicitura di tutte le cariche sulle carte intestate di Montecitorio (presidenta, avvocata, ministra etc). Come se l’importante fosse la dicitura, non la competenza e la consapevolezza del ruolo, testimonianza di quanto per qualcuno conti più la forma della sostanza.
Dal palco dell’Ariston è arrivata una bella lezione ai politicamente corretti. Beatrice Venezi, di professione pianista e direttore d’orchestra, a Sanremo nella veste di co-conduttrice, ha subito sottolineato come non siano le etichette a qualificare un professionista ma la sua competenza e la sua bravura. “Io sono direttore d’orchestra, la posizione ha un nome preciso e nel mio caso è quella di direttore, non di direttrice, perché è importante quello che sai fare, non l’etichetta che ti vogliono mettere”.
Con queste parole Beatrice Venezi ha letteralmente messo a tacere molti benpensanti il cui obiettivo è proprio quello di contaminare la nostra lingua italiana in nome di un finto buonismo. Con queste parole, probabilmente, la Venezi si è mostrata molto più “femminista” di sbandieratori e sbandieratrici della causa femminile, esprimendo la consapevolezza del suo ruolo e l’importanza della sostanza rispetto alle forme e alle etichette. Il “politicamente corretto” pretende di agire nel nome della tolleranza e del rispetto delle diversità, ma l’esito è diametralmente opposto: l’omologazione. Per essere liberi non dobbiamo essere schiavi di un pensiero unico.