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Lo sguardo di Biden sull’Iran è rivolto al passato, ma tre segnali sconsigliano il dietrofront

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Mentre Joe Biden sembra avviato verso la Presidenza degli Stati Uniti, dal Medio Oriente giungono tre notizie che sembrano dei veri e propri messaggi, diretti e indiretti, al probabile prossimo inquilino della Casa Bianca. Messaggi che dovrebbero far capire subito a Biden che la politica verso l’Iran non deve deviare troppo dal corso imposto dall’amministrazione di Trump.

Il primo messaggio, l’uccisione del numero due di al-Qaeda a Teheran: Muhammad al-Masri è stato freddato in macchina insieme alla figlia (moglie del figlio di Osama Bin Laden, Hamza). Questa operazione, secondo diversi osservatori israeliani, non è stata solo la prova dell’ottima collaborazione tra CIA e Mossad, ma anche un messaggio del Mossad a Biden, in merito alla determinazione di Gerusalemme di non permettere all’Iran di portare avanti la sua politica terrorista nella regione (in tal senso, si legga Yossi Melman su Haaretz).

Il secondo messaggio, molto più diretto e preoccupante, arriva dall’Arabia Saudita. Parlando in una intervista all’agenzia tedesca Dpa News, il ministro degli affari esteri saudita Adel al-Jubeir ha definito un’opzione assolutamente fattibile che Riad si doti dell’arma nucleare. Secondo al-Jubeir, infatti, se l’Iran diventerà una potenza nucleare, diversi altri Paesi seguiranno il suo esempio. Tra questi Paesi, per l’appunto, l’Arabia Saudita che, a detta di al-Jubeir, “ha reso a tutti molto chiaro il fatto che farà di tutto per proteggere la sua popolazione e difendere i suoi territori”. Incalzato sulla prossima possibile amministrazione Usa, al-Jubeir ha avvertito che con il regime iraniano funzionano solo le pressioni e che il governo saudita giudicherà Biden per quello che farà.

La scorsa settimana, poco dopo l’annuncio mediatico della vittoria di Biden, proprio il Re saudita Salman Abdulaziz al-Saud aveva parlato ad una riunione di consiglieri governativi, rimarcando la necessità che il mondo prenda una “posizione decisiva” contro il programma nucleare e missilistico dell’Iran.

La minaccia saudita di dotarsi dell’ordigno nucleare non deve essere presa sotto gamba. Riad ha da anni in corso una cooperazione con la Cina, con cui ha costruito un impianto per l’estrazione della cosidetta “yellowcake”, ovvero l’ossido di uranio, da cui poi parte l’arricchimento per l’uso civile e militare dell’uranio estratto. Secondo l’intelligence, questo impianto si trova presso la città di Al-Ula.

Senza dimenticare che, secondo la Reuters, nel marzo del 2019 l’amministrazione Trump avrebbe approvato sei segrete autorizzazioni ad alcune compagnie per vendere tecnologia nucleare e assistenza tecnica a Riad.

Nel settembre del 2020, il Guardian ha scritto che l’Arabia Saudita è attualmente in possesso di abbastanza riserve di uranio per produrre 90 mila tonnellate da tre depositi nel Paese, situati tra il nord e il centro della monarchia sunnita.

L’ultimo messaggio arriva nuovamente da Israele. Dopo aver scoperto un ordigno al confine, mercoledi 18 novembre, l’esercito israeliano ha reagito colpendo in Siria alcuni siti militari al confine con Israele e bombardando una centrale di comando iraniana a Damasco. Negli attacchi sono rimaste uccide almeno dieci persone, tra cui tre ufficiali siriani e cinque membri della Forza Qods iraniana. L’aspetto anomalo di questo attacco è che stavolta Israele si è affrettato ad assumersene la responsabilità, anche in questo caso con l’intento di mettere in chiaro che, anche in quell’area del Medio Oriente, nessuno deve pensare che sia possibile tornare indietro ridando una qualsivoglia libertà d’azione agli iraniani. “Non consentiremo all’Iran di arroccarsi militarmente in Siria contro di noi, né tollereremo alcun tentativo di attacco contro di noi dal territorio siriano”, ha ribadito il premier Netanyahu.

Insomma, sebbene nessuno in Medio Oriente pensa che Biden non proverà a ripensare la strategia americana verso l’Iran, molti attori però non sembrano disponibili a permettere che la lancetta dell’orologio venga riportata indietro di quattro anni, tornando al fallimentare accordo con gli iraniani concluso da Obama nel 2015. Il che invece sembra esattamente l’obiettivo di Teheran: “Se Biden è disposto a rispettare gli impegni degli Stati Uniti, anche noi possiamo immediatamente tornare ai nostri impegni”, ha assicurato ieri il ministro degli esteri iraniano Zarif.