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Lo stato d’emergenza ennesimo espediente per tirare a campare ed evitare il giudizio degli elettori

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Pubblichiamo un intervento di Giulio Centemero, deputato, capogruppo in Commissione Finanze e tesoriere della Lega

Il potere altrui è sempre proporzionale alla debolezza dei competitors e se si usano i mezzi che si hanno istituzionalmente a disposizione – e acquisiti non per particolari meriti ma per un caso fortuito – per arginare quelli che vengono individuati come “nemici”, c’è qualcosa che non va sia nella “strategia” politica che, ancor peggio, nel concetto di democrazia. Proprio quest’ultima, che dovrebbe avere un significato etimologicamente universale, deve aver subito in questi ultimi mesi una qualche mutazione che sfugge ai costituzionalisti o ancora peggio all’attuale classe dirigente della maggioranza di governo.

La nostra Costituzione ci offre infatti un grande opportunità: il confronto elettorale, o meglio le tanto temute elezioni. Vorrei ricordare a qualcuno che la genesi di questo processo non è stata ex nihilo ma ha avuto un suo percorso. Lo Stato non è un patrimonio familiare e dinastico che si può trasmettere ereditariamente come un bene qualsiasi, ma è invece una res publica, appunto una cosa di tutti. I rappresentanti delle istituzioni sono chiamati a svolgervi un importante ruolo di direzione politica e non ne sono i proprietari ma i servitori, e i cittadini devono essere messi in condizione di esercitare la loro sovranità.

Pertanto ritengo pericolose e dannose le esternazioni di taluni rappresentanti del Governo Conte, che evidentemente preoccupati dallo spauracchio di possibili elezioni e dal conseguente processo di sublimazione che li aspetta, vogliono prorogare lo stato di emergenza legato al coronavirus fino a 31 dicembre. Tale decisione consegnerebbe così all’avvocato del popolo altri 4-5 mesi per recuperare appeal nei sondaggi commissionati dallo spin doctor dei 5 Stelle, e riuscire nella sua impresa più difficile di riportare la pace tra Pd e il Movimento. Questi ultimi, evidentemente furiosi, potrebbero trovare convergenza nell’ultima possibilità che consentirebbe loro la sopravvivenza: destituire Conte. La politica insegna che a volte gli alleati diventano più pericolosi dei presunti nemici.

Ma se questo non bastasse comunque c’è l’asso nella manica, quello che potrebbe consegnare al premier la popolarità assoluta e incontrastata e che gli consentirebbe di liberare il campo, una volta per tutte, dall’acerrimo nemico: Matteo Salvini. Il coup de théâtre prevede infatti la revisione della legge elettorale che relegherebbe la tanto temuta Lega a semplice comparsa. Non credo abbiano fatto i conti con l’Italia però.

Secondo loro, che vivono nell’autoreferenzialità e impunità, in amore e in guerra è tutto concesso come recita il famoso proverbio. Peccato che le battaglie siano altre e siamo oramai stanchi di dire che chi prova ad avvelenare i pozzi della convivenza civile in un gioco di sponda che comprende programmi televisivi compiacenti e testate che a vario titolo campano su menzogne e ipocrisie, non è degno di governare questo Paese.

Conte e il suo Esecutivo mi ricordano sempre più Mac Ronay e le sue mirabolanti peripezie, con un’unica differenza: il secondo recitava coscienziosamente una parte ed è stato un grande artista, il primo non ha una minima idea di quello che sta facendo. Ma il risultato non cambia: entrambi ci fanno e hanno fatto ridere. Questa maggioranza si goda, finché può, il palcoscenico perché a breve calerà il sipario anche per loro.