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Lo Stato percepito come nemico dai cittadini: perché meglio la devoluzione che le “piccole patrie”

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Il separatismo, spesso il secessionismo vero e proprio, l’insofferenza nei confronti dell’Italia, degli altoatesini di lingua tedesca o meglio, come si preferisce da quelle parti, sudtirolesi, sono sentimenti che vengono da lontano, risalenti a prima dell’avvento del fascismo. Non sono mancati, purtroppo, comportamenti violenti ed illegali, come gli attentati dinamitardi degli anni Sessanta e Settanta, compiuti in perfetto stile terroristico. Poi, il principale rappresentante, politico e partitico, della popolazione germanofona, ovvero la Sudtiroler Volkspartei, che detiene da sempre la maggioranza nella Provincia autonoma di Bolzano, ha convogliato le istanze sudtirolesi in modo quantomeno pacifico, trattando con Roma forme di autonomia e di bilinguismo. La SVP ha propri rappresentanti presso il Parlamento italiano, e sovente ha stretto alleanze con forze politiche nazionali, dalla DC al centrosinistra, fino ad arrivare al centrodestra e alla Lega. Bisogna tuttavia segnalare come la SVP, pur interpretando le rivendicazioni sudtirolesi in maniera legale, non abbia mai espresso una condanna definitiva verso gli attentatori dei tralicci elettrici del passato. Vi sono comunque, oltre alla Sudtiroler Volkspartei, altre formazioni, composte da anti-italiani dichiarati, le quali vorrebbero addirittura superare l’attuale autonomia (garantita, da molti anni, dallo Stato italiano alle province autonome di Trento e Bolzano), per staccare completamente l’Alto Adige o Sud Tirolo dall’Italia, e magari consegnarlo all’Austria. Si tratta di partiti minori, ma in crescita, e comunque con alcuni seggi nel consiglio provinciale di Bolzano. Per fortuna, la voglia di maneggiare esplosivo non riguarda più nessuno, ma ricorre periodicamente la tentazione di andare oltre allo status-quo, che pure non è per nulla negativo e discriminatorio per i cittadini di lingua tedesca. Una tentazione che a volte lambisce anche qualche esponente della più moderata SVP.

Giorni fa è sorta una querelle attorno alla denominazione “Alto Adige”. Si è parlato dell’intenzione da parte del consiglio provinciale di Bolzano, di eliminare il nome Alto Adige, lasciando solo il riferimento alla Provincia di Bolzano, e al Sud Tirolo, ovvero alla versione tedesca. In effetti, ad inizio ottobre vi è stato un voto del consiglio provinciale riguardante la legge europea 2019. Al comma 1 e al comma 2, dell’articolo 1 della suddetta legge, dedicati all’Ufficio di rappresentanza di Bruxelles, il testo in lingua italiana conteneva il riferimento alla Provincia di Bolzano, omettendo la parola Alto Adige, mentre la versione tedesca citava chiaramente il Sudtirol. Successivamente, occorre precisarlo, la giunta provinciale bolzanina, su proposta del presidente Arno Kompatscher, ha formulato un disegno di legge con l’obiettivo di modificare il discusso comma in cui manca il riferimento all’Alto Adige. Il ddl sarà discusso e votato a fine novembre dal consiglio provinciale. Il presidente della provincia Kompatscher, targato SVP, rassicura Roma. Parla di una semplice svista a cui intendono porre rimedio abbastanza velocemente, e in particolare spiega come non vi sia alcuna volontà di cancellare la denominazione italiana Alto Adige e di sovvertire in qualche modo la formula di autonomia e bilinguismo concordata con Roma. Meglio così, ci mancherebbe, ma non sappiamo quanto la retromarcia promossa da Kompatscher sia genuina o forzata. Gli ultimi sviluppi sono da accogliere con piacere, tuttavia, per un innocuo malinteso o per qualcosa di più, si è rischiato o si è tentato deliberatamente di spazzare via l’italianità di quel territorio, con il gaudio dichiarato dei partiti germanofoni più radicali.

Qualche esponente di queste realtà, tramite ospitate presso le televisioni italiane, ha potuto esternare il proprio livore verso un’Italia ancora definita nazionalista e persino fascista. I sudtirolesi più ortodossi esprimono ciclicamente un vittimismo davvero inopportuno. Anzitutto, nonostante i difetti della politica italiana, non si può continuare a ragionare come se a Palazzo Chigi vi fosse ancora Benito Mussolini. L’Italia ha concesso e continua a preservare una forte autonomia per le province di Trento e Bolzano, e in quest’ultima la tutela della lingua tedesca e di quella ladina, è ampiamente diffusa. Grazie anche allo statuto speciale, risalente al 1972, Trento e Bolzano hanno sempre potuto godere di una prosperità economica e di una qualità dei servizi pubblici, di gran lunga migliori rispetto ad altre zone d’Italia. L’Alto Adige non può essere soltanto Sud Tirolo, perché se è vero che la popolazione, a livello generale, è in maggioranza di lingua tedesca, è altrettanto vero come in alcune città, a partire dal capoluogo, la lingua italiana sia maggioritaria. Nella città di Bolzano, l’MSI di Almirante riuscì a diventare addirittura primo partito. SVP ed altri non possono che tenere conto della natura plurale del loro territorio. Le motivazioni di chi, nella provincia bolzanina, continua a lamentarsi dell’Italia “fascista”, sono pertanto più che contestabili, ma la recente discussione in merito al nome Alto Adige, ci ha ricordato che anche l’Italia non è immune da qualche aspirazione separatista e secessionista, strisciante o conclamata.

In Europa gli esempi in questo senso sono molteplici, dalla Catalogna, il cui scontro con Madrid sta assumendo contorni molto seri, alla Scozia e sino ad arrivare alle Fiandre, che non hanno mai accantonato del tutto l’idea di abbandonare al proprio destino la Vallonia, seppellendo di fatto l’attuale Belgio. Ma anche in Italia non mancano settori, magari non maggioritari, i quali vorrebbero divorziare da Roma. Oltre alla storia che già conosciamo, (l’unità nazionale non ancora antica, i mille campanili d’Italia, gli autonomismi storici, non solo altoatesini, ma anche, per esempio, sardi e valdostani), vi sono veneti i quali anelano alla totale indipendenza della loro regione. Certo, per ora non muovono la massa dei veneti, ma ci sono. E poi, fino a qualche anno fa, avevamo un partito tutt’altro che marginale, il quale inseguiva il sogno della Padania, ovvero della secessione delle regioni più ricche del Nord, in particolare Piemonte, Lombardia e Veneto, dal resto d’Italia. Si trattava naturalmente della Lega Nord a guida bossiana. Insomma, qualche fermento autonomista o persino secessionista, c’è stato e continua ad esserci nel Belpaese, anche se non mobilita, almeno al momento, quantità significative di elettori. La stessa Lega, passata sotto la guida di Matteo Salvini, è divenuta sempre più un partito di dimensioni nazionali, ed ora scende in piazza parlando di orgoglio italiano. Stupisce tuttavia come i vari e diversi pruriti anti-Roma siano divenuti minoritari, e che nessuno riesca a sostituire almeno in parte, in termini di voti, la vecchia Lega “padana”.

Intendiamoci, è molto meglio, in una moderna democrazia liberale, utilizzare forme di devoluzione e decentramento per rispettare le diversità del territorio, anziché inneggiare alle piccole patrie. Il federalismo, magari bilanciato dal presidenzialismo, può imprimere una svolta positiva, generando un meccanismo virtuoso fra aree ricche e meno ricche di una nazione. Inoltre, l’ipotetica secessione da parte di una o più regioni italiane, può affascinare qualcuno a livello teorico, ma sarebbe un’impresa quasi impossibile sul piano pratico. Tuttavia, in un’epoca di cosiddetti populismi e di voti di protesta, non sorprenderebbe il rifiorire di un qualcosa di simile alla vecchia Lega secessionista di Umberto Bossi. Per esempio, il Veneto indipendente può essere un’illusione di pochi sognatori, ma se attorno a certe posizioni iniziassero a coagularsi dei voti, esse diventerebbero più difficili da ignorare. E parte dell’opinione pubblica, magari delle aree più produttive del Paese, potrebbe esserne nuovamente tentata, stanca com’è della palude romana, che nulla conclude e tutto toglie. Ciò non sarebbe del tutto condivisibile, ma comprensibile senz’altro sì! Lo Stato centrale viene percepito come un nemico dal cittadino, lavoratore o imprenditore. Un bandito che arraffa il denaro dove è più semplice reperirlo, ovvero assottigliando le buste paga, colpendo i consumi di beni primari ed obbligando le imprese a versare più di quanto guadagnino. Ciò che poi viene offerto dal leviatano pubblico, non è proporzionato al carico fiscale. Questo clima odioso è stato accentuato dai governi degli ultimi anni, da Monti in poi. Esecutivi partoriti spesso da manovre di palazzo, e non dal consenso elettorale. Pare che a Roma non si possa mai concludere nulla di positivo, e le buone intenzioni vengano immediatamente stoppate. Salvini ha provato, fra le altre cose, a far rispettare l’opinione dei cittadini circa una maggiore autonomia regionale di Lombardia e Veneto, chiesta da due referendum popolari, ma sappiamo com’è finita. Il Conte 2 ha già riposto in soffitta il tema delle autonomie.

A proposito della distanza fra Paese reale e palazzo, questo governo rosso-rosso è un campione. Poggiato sull’alleanza fra due forze politiche, M5S e Pd, le quali, sino al giorno prima dell’insediamento dell’esecutivo, si prendevano reciprocamente a sberle, è altresì animato da una cultura punitiva e manettara, che trasforma lo Stato in antagonista dei cittadini e del buonsenso. È sufficiente analizzare la manovra economica del Conte 2, composta da nuove tasse ed attacchi mirati alla libertà del cittadino, al contante e alle sempre bersagliate partite Iva. Forse, a causa delle liti fra Conte, Di Maio e Renzi, vi sarà qualche retromarcia, ma non cambierà la sostanza di un governo pauperista e giustizialista. In ogni caso, l’establishment italiano può ritenersi tutto sommato fortunato. Sì, ha a che fare con un Paese ancora tranquillo e non ha una Catalogna tricolore da gestire.