Se la logica discriminatoria e polarizzante del politicamente corretto diventa ideologia

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L’America si sta dividendo sempre di più. Se la lotta fra Trump e i mainstream media rappresenta una frattura importante, gli eccessi del politically correct sono altrettanto essenziali per dare uno spaccato della società a stelle e strisce.

Quando parliamo di politicamente corretto non facciamo semplicemente riferimento ad una norma di comportamento da cui deriva una certa moderazione nei modi e nei toni, ma ad un insieme di atteggiamenti e messaggi che, sotto mentite spoglie, promuovono una certa visione del mondo e della società. Una propaganda ben celata che unisce le istanze del mondo LGBT e del femminismo più radicale a quelle di uno sfrenato multiculturalismo immigrazionista. Sotto la grande ala del rispetto si nasconde infatti una specifica idea di America incentrata esclusivamente sull’esaltazione di queste categorie sociali. I cui diritti, bisogna dirlo, sono sacrosanti ma che, a causa di questa impostazione, vengono estremizzati e assolutizzati per calpestare tutti coloro che non li ritengono prioritari.

La causa LGBT, in questa dinamica binaria, diventa dirimente e divide brutalmente politica e società. Da questa partizione si genera infatti una costante polarizzazione per la quale o si asseconda il modello arcobaleno o si diventa automaticamente dei discriminatori. Ritenere che gli individui possano essere liberi di avere relazioni con chi desiderano non basta. O si espone la bandiera LGBT o si è immediatamente in odore di sessismo o omofobia. E così con l’intento di costruire una società priva di disuguaglianze, si discriminano coloro che non ritengono prioritarie le questioni sessuali. Chi vorrebbe eliminare qualsivoglia discriminazione ne genera altrettante: nel nome dell’inclusione viene discriminato il presunto discriminatore.

Un discorso simile vale per un certo tipo di femminismo che tende a considerare la storia e la società secondo la prospettiva esclusiva del presunto strapotere maschile. Anche se non ci sono fonti storiche o numeriche sufficienti a dimostrarlo, tale ideologia riesce a piegare il passato e a renderlo spendibile nello scontro politico. Di fronte a questo tipo di femminismo, purtroppo, le sacrosante battaglie delle donne passano in secondo piano. In tal modo non ci si focalizza più sulla tutela dei loro diritti, ma sulla creazione di una temperie culturale in grado di trasformare tale tutela in militanza contro chi non abbraccia questa impostazione intellettuale.

Alla luce di questi fenomeni il politically correct cessa di essere una norma di comportamento, diventando il cavallo di Troia per far passare determinati contenuti o modelli di società. Con la forza della sua logica bipolare e discriminatoria il politicamente corretto si trasforma nell’ideologia della dittatura intellettuale delle minoranze. Un’ideologia attiva, non statica, che crea contenziosi a ciclo continuo per costringere gli americani a schierarsi. Buon senso e moderazione vengono di fatto estirpati dal dibattito pubblico a favore di una polarizzazione secca.

Nel corso di questo conflitto è emersa la figura inusuale del presidente Trump. Un leader atipico uscito più volte dagli schemi con dichiarazioni forti, talvolta estreme, volte a contrastare questa caccia alle streghe alimentata da certi media liberal. Un personaggio in grado di rappresentare un’America in cerca di normalità che, nella stragrande maggioranza dei casi non vuole discriminare le minoranze, ma che è stanca di vivere in questo clima di sospetto. Probabilmente gli eccessi del ciuffo arancione non basteranno per superare la pervasività del politically correct, ma sono un segnale che non può essere ignorato.

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