Londra cambia approccio con Pechino: la vera storia del 5G e del rischio Huawei nel Regno Unito

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Grazie al sostegno statale cinese (del PCC), Huawei ha potuto sbaragliare la concorrenza e con offerte più basse allettare il governo Blair a discapito delle preoccupazioni di sicurezza nazionale

Huawei e Londra, storia di un rapporto difficile. L’attuale crisi internazionale legata alla diffusione pandemica del coronavirus e la duplice pressione dei backbenchers Tories e di Washington hanno portato il governo Johnson ad assumere una posizione di aperto contrasto con la Cina dopo anni di piena collaborazione tra Londra e Pechino.

Recentemente, oltre alle divergenze sul futuro di Hong Kong, Johnson si è trovato a fare una (per ora) mezza marcia indietro anche sulla presenza di Huawei – il colosso della telefonia cinese – nelle reti 5G britanniche. Ma la presenza dei cinesi nelle infrastrutture delle telecomunicazioni inglesi parte da lontano. Molto lontano.

Siamo negli anni 2000, in piena epoca Cool Britannia. Un rapporto della Commissione europea stabilisce che le linee di credito della China Development Bank hanno la funzione di sostenere Huawei nel mettere in pratica le politiche dello Stato cinese e nel consolidare la sua posizione commerciale aiutando i clienti ad acquistare i suoi materiali. Le aziende rivali – Nokia ed Ericsson in primis – si sentono defraudate per quello che viene concepito come un vantaggio competitivo nel pricing sui mercati internazionali. Ma c’è una preoccupazione molto più ampia che fa il giro dell’Europa e degli Stati Uniti: se Huawei dipende così tanto dallo Stato cinese e dal Partito Comunista Cinese (PCC), come può essere ritenuta affidabile come azienda fornitrice di infrastrutture critiche in Occidente?

L’intelligence britannica si mette subito in moto. Anche perché nel 2003 il governo Blair chiede alla British Telecom (BT) di modernizzare il network delle telecomunicazioni nel Paese. L’offerta di Huawei per fornire materiale a questo fine è considerevolmente più bassa rispetto a quella di Marconi, la società rivale, e BT rende noto al governo che intende accettarla. Si tratterebbe di un notevole risparmio per le casse dello Stato. Con grande sorpresa dell’MI5, gli ufficiali governativi che si occupano del contratto notificano i termini ai ministri competenti solo nel 2006, quando è ormai troppo tardi – e troppo oneroso – fare dietrofront.

Nel 2013, la Commissione di sicurezza nazionale ed Intelligence della Camera dei Comuni pubblica un report molto critico sulla valutazione data all’epoca legata al contratto di Huawei: secondo i commissari “il risparmio generato dall’accettazione dell’offerta ha prodotto una disconnessione tra le politiche d’investimento della nazione e la sua politica di sicurezza nazionale”. Più chiaro di così. Eppure, come spesso è accaduto con Huawei, i buoi sono già scappati dalla stalla prima che questa venisse chiusa.

In questo modo i cinesi sono diventati fornitori di BT, O2, TalkTalk ed EE fornendo cuffie per telefonini, router e altro materiale legato allo sviluppo della rete di telecomunicazioni britannica sia fissa che mobile. Huawei arriva ad avere 650 dipendenti nel Regno Unito, con piani di espansione che, secondo i Comuni, non sono trattati con sufficiente attenzione in ambito di sicurezza.

Così la soluzione al problema appare a prima vista quantomeno bizzarra: viene formata una Huawei Cyber Security Evaluation Centre (HCSEC) che ha il compito di monitorare le attività dell’azienda cinese direttamente nel suo quartier generale di Banbury attraverso la cooperazione tra personale del National Cyber Security Centre (NCSC) e quello della compagnia. Il vicepresidente della struttura è un ex alto dirigente di Huawei. Il HCSEC riporta al governo ogni anno senza evidenziare alcun tentativo di sabotaggio o spionaggio fino al 2018, quando la musica, improvvisamente, cambia. Il report annuale assume tinte fosche. Vengono rilevati “difetti nelle procedure ingegneristiche che espongono a nuovi rischi il network delle telecomunicazioni britannico sul medio-lungo periodo”. Nonostante la richiesta a Huawei di sistemare i problemi, gli shortcomings rimangono e l’Oversight Board dell’organismo dichiara di poter “fornire solo garanzie limitate riguardo alla sicurezza nazionale dello UK nel caso l’azienda cinese fosse coinvolta nel suo sistema di infrastrutture critiche”.

Ai tempi del governo Cameron (2010-2016) il premier e il suo Cancelliere dello Scacchiere, George Osborne, erano poco propensi ad attaccare l’idea che ci fosse un problema di sicurezza nazionale legato alla Cina. Quest’ultimo in particolare perseguì una politica molto aggressiva nell’attrazione di capitali di Pechino nel Regno Unito. Ren Zhengfei, il boss di Huawei, era il benvenuto a Downing Street. Nel 2013 Huawei annunciò un investimento di 1,2 miliardi di sterline nella ricerca nel Regno Unito e affermò nel comunicato stampa di accompagnamento all’iniziativa che “il Regno Unito ha un governo trasparente, efficiente e pratico” e che è “il posto ideale per fare business, perché, come dimostrato negli ultimi 11 anni da quando siamo presenti su questo territorio, danno sempre il benvenuto agli investimenti esteri”.

Lo sviluppo della rete 5G ha posto nuovi problemi all’Occidente nel suo rapporto con la Cina. Se il futuro passerà dall’Intelligenza Artificiale, i Big Data, lo sviluppo di robot che sostituiranno l’uomo in alcune funzioni (pensiamo alle self-driving cars) è chiaro che chi svilupperà e controllerà al meglio queste tecnologie avrà un notevole vantaggio competitivo rispetto agli altri. Ecco perché a Washington e a Londra, in casa Tory, vogliono vederci più chiaro, e Johnson è stato costretto a rivedere il via libera dato a gennaio sulla presenza dei cinesi nella parte edge del 5G britannico.

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