L’ordinaria follia dei protocolli anti-Covid: un cambio di paradigma nel rapporto fra Stato e cittadini

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Le votazioni quirinalizie della scorsa settimana, concluse con la rielezione di Sergio Mattarella alla presidenza della Repubblica, hanno oscurato alcune notizie che avrebbero dovuto occupare le prime pagine di ogni quotidiano. La morte di Simone, un giovane di 23 anni affetto da piastrinopenia, al quale alcuni infermieri di un ospedale fiorentino hanno impedito di vedere i genitori per l’ultima volta in ossequio ai folli protocolli anti-Covid. Questa vicenda, intrisa di disumanità e ottusità burocratica, offre numerosi spunti di riflessione. Un saluto, un bacio, un abbraccio non dovrebbero essere negati a nessuno. Men che meno a una mamma e a un papà, e ad un giovane costretto ad affrontare una morte prematura e ingiusta.

Purtroppo non si tratta di un caso isolato. Qualche settimana fa, una donna con forti dolori al ventre ha perso suo figlio, dopo aver abortito nel parcheggio di un ospedale di Sassari. Forse i medici avrebbero potuto salvare il bambino che portava in grembo. Ma la signora non aveva fatto un tampone molecolare nelle ore precedenti e gli infermieri si sono rifiutati di visitarla, invitandola a tornare con il tampone se la situazione fosse peggiorata.

Altra storia incredibile, stavolta risalente allo scorso 23 aprile: nella provincia di Padova, una donna di 56 anni è uscita di casa, violando la quarantena da Covid, per soccorrere un motociclista finito in un fossato. Una volta arrivati i carabinieri, è scattata la denuncia. I due mesi di arresto a cui la signora era stata inizialmente condannata sono stati commutati in 4.500 euro di multa. Un messaggio pericolosissimo: la prossima volta, invece di prestare soccorso al vostro prossimo, voltatevi dall’altra parte.

Siamo all’impazzimento collettivo. Quanto accaduto va oltre l’allarmismo mediatico che abbiamo più volte denunciato su Atlantico Quotidiano. In questo particolare momento storico, stiamo assistendo ad un vero e proprio cambio di paradigma riguardo al rapporto fra Stato e cittadino. La “liturgia del terrore”, cartacea e audiovisiva, trova la sua piena realizzazione nella mentalità chiusa del burocrate che antepone il cavillo in quanto tale al proprio codice etico. È chiaro, la legge esiste — e guai se non fosse così! — per salvaguardare l’interesse collettivo e per garantire l’ordine democratico. Tuttavia, essa non può rappresentare l’unica bussola dell’azione umana. Georg Wilhelm Friedrich Hegel, autorevole esponente dell’idealismo tedesco, poneva una netta distinzione fra diritto, moralità ed etica. Il diritto costituisce le fondamenta di una società, regolando i rapporti fra i suoi componenti. La moralità investe la sfera interiore dell’individuo e riguarda non solo l’azione in sé ma anche l’intenzione con cui viene compiuta. L’etica rappresenta il punto di congiunzione fra diritto e moralità.

Purtroppo non tutti i funzionari e i burocrati perseguono la moralità e l’etica teorizzate da Hegel. Che senso ha rispettare un protocollo così insensato e illogico come quello che impedisce ai genitori di vedere un figlio prima di morire? Che senso ha multare una donna di 56 anni che ha violato la quarantena per soccorrere un motociclista in pericolo? Ma soprattutto: cosa spinge un uomo a rispettare una legge ingiusta, anteponendo il rispetto per l’ortodossia burocratica al proprio senso morale? Le regole vanno sì applicate, ma con razionalità e senza fanatismo. Così almeno dovrebbe accadere in uno stato di diritto.

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