Bergoglio sbaglia due volte. Una prima volta, mostrando di avere una chiara preferenza nella contesa politica americana. Una seconda volta, non cogliendo la reale portata della sfida di Pompeo. Questa è giocata interamente sul piano dell’autorità morale del papato, compromessa dagli accordi con un regime autoritario come quello cinese. Ma l’ostinazione di Bergoglio è un bel problema anche per i massimi vertici politico-istituzionali italiani…
Rifiutando un’udienza riservata a Mike Pompeo, papa Bergoglio ha mostrato a tutto il mondo di avere un nervo scoperto sulla Cina. Bergoglio, per inciso, ha anche rifiutato di ricevere l’anziano Cardinale Zen (88 anni), venuto apposta a Roma per conferire con il pontefice a proposito di Cina. E ha a che fare con i rapporti tra la Chiesa cattolica e Pechino anche uno dei gesti pubblici più spiacevoli del pontificato di Bergoglio, lo schiaffo a una fedele che lo strattonava per parlargli dell’oppressione dei cattolici in Cina da parte del Partito Comunista Cinese. Per questo non si può nemmeno escludere che lo stesso Pompeo, sfidando apertamente Bergoglio sulla Cina, mettesse in conto di ricevere un rifiuto da parte di quest’ultimo.
Bergoglio è convinto che un presidente Usa democratico allenterebbe la pressione su Pechino e Vaticano. Per questa ragione, ha preferito prendere tempo con un pretesto – l’imminenza delle presidenziali americane – anziché ricevere Mike Pompeo e trattarlo con freddezza. Bergoglio sbaglia due volte. Una prima volta, mostrando di avere una chiara preferenza nella contesa politica americana. Una seconda volta, non cogliendo la reale portata della sfida di Pompeo. Questa è giocata interamente sul piano dell’autorità morale del papato, compromessa dagli accordi con un regime autoritario come quello cinese. Il silenzio del Vaticano sullo sterminio degli Uiguri, la repressione dei Falun Gong o la violenza a Hong Kong è assordante. Del tutto incomprensibile, poi, risulta il silenzio sulle violenze a cui sono sottoposti i cattolici cinesi. Un pontefice che rifiuta il confronto su temi così caratterizzanti per il cattolicesimo abdica al proprio ruolo e si espone alla condanna della storia. Pio XII venne massacrato pubblicamente per non avere condannato con sufficiente forza l’orrore dell’Olocausto. Bergoglio, tuttavia, non se ne cura minimamente. Diversamente, avrebbe quantomeno fatto caso al riorientamento della stampa liberal mondiale contro la Cina proprio a partire da questioni etico-morali, o alle dichiarazioni di George Soros, molto esplicito nel definire Xi Jinping il “peggior nemico della società aperta“.
L’ostinazione di Bergoglio sulla Cina è un bel problema anche per i massimi vertici politico-istituzionali italiani, tutti presi a dare una lucidata dell’ultim’ora alle proprie credenziali atlantiche per l’arrivo di Pompeo. Il tema non è tuttavia di natura contingente, ma investe le fondamenta delle strutture di potere italiane. Il rapporto tra Vaticano e Italia è storicamente molto stretto. Come ha osservato Andrea Riccardi nella sua prefazione ai “Diari Segreti” di Giulio Andreotti appena pubblicati da Solferino, Achille Silvestrini, l’alto prelato e diplomatico vaticano, “considerava l’Italia una risorsa per il Vaticano nella sua azione internazionale, anche come fonte d’informazioni”. Ebbene: il rapporto tra Vaticano e Italia non si è spezzato dopo la fine della Prima Repubblica e nemmeno con il tramonto della Seconda Repubblica. Tant’è che oggi il Vaticano può fare affidamento al di qua del Tevere su cattolici devoti come il capo dello Stato Sergio Mattarella e il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, quest’ultimo discepolo proprio del Cardinal Silvestrini. Per molti aspetti, il rapporto è molto meno bilanciato oggi di quanto fosse ai tempi della Democrazia Cristiana, in cui era piuttosto acceso il dibattito sulla necessità di essere cattolici ma non clericali. Di questo dibattito non vi è oggi traccia. E non sfugga che l’intenzione del Vaticano di procedere al rinnovo ‘ad experimentum’ degli accordi con la Cina è stata confermata dal segretario di Stato vaticano, Mons. Parolin, a una cerimonia di commemorazione di Silvestrini. Alla presenza dello stesso Conte.