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L’Ue fa la voce grossa, ma le sue armi per salvare l’Iran Deal sono spuntate e Teheran lo sa

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I Paesi dell’Unione europea ce la metteranno tutta per salvare l’accordo del 2015 sul programma nucleare iraniano da cui gli Stati Uniti sono appena usciti. Soprattutto i tre firmatari europei del Jcpoa – Francia, Regno Unito e Germania. Questa l’indicazione emersa dal vertice di Sofia. Ma non sarà facile. A dispetto dei titoli altisonanti dei giornali italiani (“l’Ue alza il muro contro le sanzioni Usa”; “Bloccheremo le sanzioni Usa”), le armi europee sono spuntate. Il punto infatti è che non basterà assicurare agli iraniani che i Paesi europei resteranno nell’accordo e non adotteranno sanzioni. Come hanno più volte chiarito gli stessi esponenti del regime, dal ministro degli esteri Zarif in tour diplomatico a Bruxelles alla Guida suprema, l’ayatollah Khamenei, Teheran resterà nell’accordo solo se gli europei saranno in grado di garantire in concreto che l’Iran riceverà tutti i benefici economici previsti, derivanti dalla piena ripresa dei rapporti economici e commerciali. “Non c’è molto tempo per fornire tali garanzie”, ha avvertito Zarif. Uno dei principali consiglieri per la politica estera della Guida suprema, Ali Akbar Velayati, ha espresso forti dubbi sul fatto che i colloqui con gli europei possano salvare l’accordo: “Spero di vedere buoni risultati, ma dobbiamo diventare autosufficienti”. Proprio negli stessi giorni, il Dipartimento del Tesoro Usa annunciava sanzioni contro il governatore della Banca centrale iraniana, Valiollah Seif, e un altro alto funzionario, Ali Tarzali, accusati di aver aiutato a trasferire milioni di dollari dai Pasdaran a Hezbollah.

Perché siano salvi i benefici per l’Iran, le imprese europee dovrebbero commerciare e investire nel Paese a dispetto non solo delle pesanti e pervasive sanzioni Usa (quelle pre esistenti al Jcpoa torneranno in vigore tra 90 e 180 giorni), ma anche dei rischi “sistemici”, economico e politico – la sua economia è allo sbando e le proteste contro il regime non si placano (almeno sei morti in diverse città tra mercoledì e giovedì). Ma di tutta evidenza nessun governo europeo, al contrario dei governi di Pechino e Mosca, può obbligare le proprie imprese e banche a correre questi rischi, e le compagnie assicurative ad assicurarle. “Gli strumenti per mettere al riparo le aziende europee dalle sanzioni statunitensi ci sono, sono limitati, ma li utilizzeremo in pieno”, ha spiegato il presidente della Commissione europea Jean Claude Juncker. Di cosa si tratta? Del cosiddetto “statuto di blocco”, che l’Ue sarebbe pronta ad attivare, su proposta della Commissione, come anticipato dal commissario Avramopoulos, per vietare “l’applicazione nell’Ue di sanzioni decise da Paesi terzi”. Ma lo scudo non potrebbe in alcun modo evitare alle aziende e alle banche europee che continuassero a operare in Iran il rischio di incorrere in sanzioni e pesanti multe negli Usa, fino alla perdita dell’accesso al sistema economico e finanziario americano.

Insomma, la scelta è binaria: affari in Iran o negli Usa, tertium non datur. Considerando la natura internazionale del sistema bancario, i legami con gli Usa dei maggiori istituti europei, immaginate solo di dover chiedere a un banca la copertura finanziaria per onorare una commessa o sviluppare progetti in Iran… La francese Total ha appena annunciato il disimpegno dallo sfruttamento del giacimento di gas South Pars nel Golfo Persico (la compagnia di stato cinese Cnpc sarebbe pronta a subentrare). La svizzera MSC, la prima compagnia internazionale di trasporto container, e la danese Maersk Tankers hanno già comunicato la cessazione delle attività in Iran. “Con le sanzioni che gli americani stanno per imporre, non puoi fare affari in Iran se hai affari anche negli Stati Uniti, e noi ne abbiamo su larga scala”, ha spiegato il capo esecutivo di Maersk, Soren Skou, all’agenzia Reuters.

Non del tutto irrilevante, inoltre, che tutti i più importanti Paesi arabi (da quelli del Golfo all’Egitto e al Marocco), con i quali l’Europa ha stretti rapporti, si siano schierati a favore della svolta americana nei confronti di Teheran.

Al di là della fermezza di facciata, di un certo orgoglio europeista nel rigettare la decisione di Trump e nell’opporsi alle sue sanzioni, la mano europea in difesa del Jcpoa è quindi piuttosto debole. Ma oltre alle sanzioni Usa e ai rischi sistemici, c’è un ulteriore problema: dal punto di vista geopolitico, per accontentare il regime di Teheran l’Europa dovrebbe impegnarsi in uno sforzo congiunto con altri due attori, Cina e Russia, che Washington ha appena definito “rivali strategici” nel suo ultimo documento sulla strategia di sicurezza nazionale.

L’Iran Deal, e in generale i rapporti con il regime di Teheran, è uno di quei temi (insieme al gasdotto North Stream 2, ma questa è un’altra storia) su cui si definirà la collocazione dell’Unione europea sulla scacchiera globale: in Occidente, preservando il legame transatlantico con gli Stati Uniti (e quello con Israele), o in un blocco euroasiatico con Cina e Russia? La sensazione è che lo spazio per una posizione “terzista” dell’Europa, coltivato da oltre un decennio, si stia chiudendo. Il recente tweet del presidente del Consiglio Ue Donald Tusk è emblematico di una certa illusione in cui l’Europa rischia di cullarsi. “Guardando alle ultime decisioni del presidente Trump – scrive Tusk – con amici come questi, chi ha bisogno di nemici?”. Ma a suo avviso l’Ue dovrebbe essergli “grata”, perché “ci aiuta a liberarci di tutte le illusioni e a realizzare che se hai bisogno di una mano, ne troverai una all’estremità del tuo braccio”. Battuta coerente con quanto ripetuto dalla cancelliera Merkel nei giorni scorsi: non si può più pensare “che gli Usa ci difenderanno, l’Ue deve prendere il suo destino nelle proprie mani”. In realtà, è probabile che i Paesi dell’Europa orientale, più esposti all’aggressività russa, la pensino esattamente all’opposto: sono abbastanza certi che gli Usa li difenderanno, ma non possono pensare altrettanto dell’Ue e della Germania, anche perché semplicemente non avrebbero la forza per farlo.

Dunque, Tusk (che passa troppo tempo a Bruxelles e poco a Varsavia, evidentemente) e la Merkel rischiano di alimentare un’altra illusione, quella di una sorta di autonomia strategica dell’Ue. Ritenere che l’Europa debba rafforzarsi e giocare un ruolo da protagonista sulla scena mondiale è un conto – ed è sacrosanto. Accarezzare l’idea che possa diventare autonoma dal punto di vista geostrategico, è tutt’altro conto e rischia di rivelarsi una pericolosa tentazione. Essere una potenza economica e commerciale non basta. Ad oggi, e a maggior ragione con l’uscita del Regno Unito, l’Ue non è nemmeno in grado di difendere se stessa e i propri stati membri. Per la propria difesa i Paesi europei sono dipendenti dall’ombrello Usa. E lo saranno per molto tempo, anche ammesso che abbiano intenzione di deviare dal welfare verso la difesa importanti quote dei propri bilanci. Quindi, ad ogni passo di allontanamento dagli Stati Uniti, ne corrisponderà uno di avvicinamento al blocco delle potenze autoritarie, Cina e Russia, e non verso l’agognata autonomia. Meno dipendenti da Washington? Più subalterni a Pechino e Mosca. Un’equazione da cui non si scappa.

Sebbene al vertice di Sofia i Paesi europei abbiano ostentato compattezza nel difendere l’Iran Deal, permangono significative differenze nelle parole usate dai leader. Il presidente francese Macron si è confermato il più attento alle preoccupazioni americane. Non solo ha ribadito la sua proposta di preservare il Jcpoa del 2015, ma come base di partenza per un accordo più ampio che includa il no al nucleare iraniano anche dopo il 2025, lo stop al programma di missili balistici e un freno alle interferenze iraniane nella regione. Macron ha anche escluso qualsiasi ipotesi di guerra commerciale con gli Stati Uniti sul suo ritiro dall’accordo: “Non inizieremo una guerra commerciale strategica contro gli Stati Uniti sull’Iran. Non adotteremo contro-sanzioni sulle compagnie americane, non avrebbe senso”. E ancora: “Il presidente della Francia non è il ceo di Total. La mia priorità non è il commercio o la finanza in Iran. Ma la geopolitica, evitare un’escalation, fare di tutto per aprire l’economia e la società iraniane”. In breve: “Non diventeremo alleati dell’Iran contro gli Stati Uniti”, ha detto Macron. Se obbligata a scegliere, la Francia (e l’Ue con essa) sceglie l’alleanza con l’America, anche con Trump alla Casa Bianca, sull’interesse a salvare l’Iran Deal. Un’ovvietà, sembrerebbe. Ma proprio per questo fa una certa impressione, e suscita una certa inquietudine, che Macron abbia ritenuto di doverlo specificare.

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