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L’Ue, sempre più lontana dai cittadini europei, non tiene il passo dei cambiamenti

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Prima di Natale ho avuto l’occasione di intervistare Luca Toccalini, giovane deputato della Lega. Il suo cursus honorum è stato folgorante: classe 1990, ha conseguito gli studi superiori presso il liceo scientifico Italo Calvino di Rozzano, per poi laurearsi nel 2015 in economia e gestione aziendale presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore. Militante tra i giovani padani, il movimento giovanile della lega, è tuttora coordinatore dei gruppi lombardi. Abbiamo disquisito di politica estera, una passione condivisa.

Siamo partiti dal rapporto tra italiani e istituzioni europee. Ho domandato a Luca come, secondo lui, gli elettori percepissero l’Europa e come la maggioranza di governo intenda rappresentare i loro umori. La risposta è stata immediata e schietta: “Gli elettori vedono l’Unione europea come l’istituzione più lontana possibile da loro e dalle loro esigenze”. Tratteggia un universo parallelo da cui dipendiamo, riceviamo diktat legislativi, spesso sanzioni costose e a cui non possiamo apportare nulla di significativamente tipico e caratteristico.

La Commissione europea poi non fa sconti. Incalza Toccalini quando viene citata la compagine dei governatori di Bruxelles. Se l’Unione, in quanto ente pubblico amministrativo, sembra non appartenerci, Juncker & Co. appaiono come dei probi viri sempre disposti soltanto a criticare. Dal rapporto, a dir poco dialettico, tra il ministro del tesoro, Tria, e il commissario agli affari economici Moscovici, sino alla manovra di bilancio il passo è davvero logico. Chiedo dunque quali sono le priorità della Commissione e perché secondo lui entrino in conflitto con quelle del nostro esecutivo. La risposta è meditata. Sembra quasi che il modello Cottarelli la faccia da padrone. “I guru di Bruxelles pensano solo ad applicare l’austerità per il risanamento dei conti pubblici, attraverso manovre, ad esempio pensionistiche, molto impopolari, con innalzamenti decisi all’età pensionabile.” Eppure, prosegue poi Luca, l’obiettivo del programma governativo di Salvini è l’esatto opposto, ovvero dare fiducia agli italiani e poter collaborare con gli elettori che hanno dato un segnale il 4 marzo, riducendo il debito attraverso comportamenti di buonsenso comune, come ad esempio ricavi proventi dalla lotta alla criminalità organizzata o dall’evasione fiscale.

Mi sembra chiaro, dunque, dall’evolversi della chiacchierata, che il modello europeo, di stampo centrista, filobancario, non piaccia al popolo che si alza alle sette tutti i lunedì mattina. Mi viene naturale citare dunque la parabola Macron, uomo dell’establishment, che con il tentativo di modificare il sistema dall’interno finisce vittima di una “Revolution” contro se stesso. Luca mi interrompe sottolineando come di fatto l’Europa filobancaria abbia già fallito. Ormai agli Stati nazionali è rimasta pochissima sovranità, pochissimo potere per decidere cosa fare autonomamente, senza vincoli, direttive e procedure d’infrazione. Inoltre, aggiunge, come si è visto in Francia, le regole non sono uguali per tutti: dopo la protesta dei gilet gialli, Moscovici ha consentito a Macron di sforare il 3 per cento di deficit per correggere il tiro, mentre all’Italia viene addirittura contestato il 2,4 per cento. Sembra quasi, aggiungono io, che si utilizzino pesi e misure per difendere sempre la parte più forte.

Cambiamo argomento e passiamo a ciò che succede nel mondo esterno, oltre i confini mediterranei. Domando le sue impressioni su come esca Trump dal G20 di Buenos Aires e come ne esca questa Europa alle prese con una fattuale “primavera francese”. Il giovane leghista è dirompente. Risponde: “The Donald ne esce alla grande, con la sua agenda dettata e sottoscritta da tutti. E per fortuna, quando si parla di free and fair trade, mettendo argini ad un certo tipo di globalizzazione”. Prosegue evidenziando che l’Unione ambendo ad essere la nuova paladina della globalizzazione deregolamentata, sia ormai già ridimensionata, perché i suoi popoli non vogliono più stare a questo gioco, questo modo di pensare, come si vede, a cascata, nelle elezioni legislative tenutesi nei vari stati membri nel 2018.

Per trarre delle brevi somme e concludere chiedo se sia giusto pensare che, date le circostanze, sia più corretto intraprendere un percorso atlantista di riavvicinamento agli Stati Uniti, in un continuo dialogo con Israele, citando la buona mossa di Salvini in viaggio per le terre sante. Luca torna giustamente sulla presidenza Trump e dice “ci dà una grande opportunità e grande speranza, in quello che dovrà essere un nuovo spirito di Pratica di mare, dato che l’Italia ha già cucito su misura il ruolo di ponte tra Washington e Mosca”. Mi viene dunque da sottolineare come siano chiari ed evidenti i limiti del vecchio continente e di come, se non altro, questo governo, nel buon ricordo della tradizione di centrodestra a trazione berlusconiana, stia di certo cucendo una rete di buoni rapporti con gli storici alleati internazionali, quelli a noi cari, senza perdere l’occasione di strizzare, consapevolmente, l’occhio a Putin.

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