“L’Onu deve avere un ‘ruolo centrale’ nella ricostruzione dell’Iraq affermano il 12 aprile da San Pietroburgo Vladimir Putin, Gerhard Schroeder e Jacques Chirac, che si incontrano per la prima volta dall’inizio dell’aggressione anglo-americana, il 20 marzo scorso. (…) I tre Paesi hanno ribadito che la loro posizione è di riportare la gestione della crisi irachena nell’ambito dell’Onu perché non vogliono una tutela diretta degli Usa sull’Iraq. Usa e Gran Bretagna sono state definite ‘potenze occupanti’ e Putin ha definito il loro comportamento come neocolonialista e pieno di ‘rischi di guerra senza fine'”. Questo si leggeva (si legge ancora, su internet) sul sito del piccolo Partito Marxista Leninista italiano nel non lontano 2003. Il comunicato dei comunisti prosegue con una critica rivolta pure alle tre potenze continentali, contrapposte a quelle anglosassoni, ma pur sempre desiderose di ritagliarsi la loro “fetta di torta” in Iraq. Come sempre i marx-leninisti hanno la mente ferma al 1917 e giudicano ogni evento mondiale come una competizione fra imperi coloniali.
Ma una cosa, almeno, era chiara a tutti, anche ai marxisti più ortodossi: non esisteva alcun blocco “europeo” contrapposto a Putin. Anzi, esisteva un blocco russo-franco-tedesco, contrapposto alle potenze anglosassoni. Sembra incredibilmente lontana quella realtà, oggi che i moralizzatori ci pongono brutalmente di fronte all’aut aut: “o con l’Ue o con Putin!”. E guai esprimere solidarietà agli inglesi, nel momento più difficile della Brexit, perché “fai il gioco di Mosca”. Guai a dire che gli americani hanno votato Trump pensando all’America e non alla Russia, perché allora “sei solo un troll russo”. In questa nuova fase della politica, un passato recentissimo è finito nei buchi della memoria. Oggi si dice: “La Russia è sempre stata nemica dell’Unione europea (che ha sconfitto i totalitarismi e portato la pace)”. Ma non è vero. La Russia e l’Ue sono, semmai, sempre state dalla stessa parte, almeno fino al 2014. I putiniani erano il cancelliere tedesco Schroeder (poi membro del consiglio di amministrazione di Nord Stream, Rosneft, impresa di stato russa), il presidente francese Chirac e, in Italia: Prodi, D’Alema, oltre, ovviamente, a Berlusconi. C’era un asse Mosca-Berlino-Parigi, a cui si univa spesso e volentieri anche Roma. Nel suo documentario auto-celebrativo, Vladimir Putin ricorda quei primi anni 2000 come il miglior periodo della diplomazia russa.
Questo asse si opponeva alle potenze atlantiche e ai loro alleati dell’Europa ex comunista. Non solo in occasione della guerra in Iraq, ma in tutte le principali sfide geopolitiche. Nel 2004, furono i Paesi guida dell’Unione europea a convincere Putin a sottoscrivere il Protocollo di Kyoto, il primo impegno contro il global warming, isolando gli Usa. Nel 2005, sempre Putin, Schroeder e Chirac si trovarono a Kaliningrad per coordinarsi in vista del G8 e concordare una strategia comune. Da notare: nel 2003 c’era stata la Rivoluzione delle rose in Georgia e l’anno prima anche la Rivoluzione arancione in Ucraina, entrambe contro governi post-comunisti e filo-russi, ma l’Europa, allora, preferiva flirtare con l’uomo del Cremlino. Nel 2007, quando i primi troll lanciarono una guerra informatica non dichiarata all’Estonia (entrata da tre anni nell’Ue), da Parigi e Berlino non volò una mosca. Tanto è vero che nel 2008, quando Bush e gli alleati dell’Europa centrale premevano per un futuro di Georgia e Ucraina nella Nato, ad opporsi furono soprattutto Francia e Germania. Se nell’agosto del 2008 la Russia poté (dietro un pretesto territoriale) invadere la Georgia e restare impunita, fu soprattutto grazie al quel “no” europeo all’ingresso del piccolo Paese caucasico nel percorso di accesso alla Nato. Negli anni successivi, dal 2009, le politiche di Ue e Usa si allinearono… dalla parte della Russia. Il 2010, infatti, fu l’anno della politica del “reset” lanciata da Obama. Repubblica Ceca e soprattutto Polonia si ritrovarono isolate all’interno dell’Ue.
Ricordare questo passato recentissimo è importante. Perché non è affatto vero che Putin abbia sempre scommesso sulla frammentazione dell’Ue. Il presidente russo, al contrario, ha sempre dimostrato di amare l’Ue, quando questa si contrapponeva agli interessi degli Usa. E la ama ancora adesso, come dimostra il suo appoggio al progetto di un esercito europeo, che rivaleggi con la Nato. Oggi il Cremlino appoggia anche diversi partiti e movimenti politici, sia di sinistra che di destra, che sono euroscettici. Ma non per il loro euroscetticismo, bensì per il loro anti-americanismo. Tanto è vero che i conservatori britannici (euroscettici, ma filo-americani) non sono affatto suoi amici. L’interesse della Russia riflette, grosso modo, l’interesse della vecchia Urss: scacciare gli americani dall’Europa, per sostituirvisi. Meglio ancora se l’Europa si unifica in uno stato continentale amico di Mosca e nemico di Washington. È quel che emerge anche dai documenti dissotterrati dall’ex dissidente sovietico Vladimir Bukovskij e dallo storico Pavel Stroilov (pubblicati in un libro dal titolo “EURSS”, edito da Spirali nel 2007): un fitto intreccio di rapporti fra la Francia di Mitterrand e l’Urss di Gorbachev, per la costruzione di una Casa Comune Europea socialista, amica di Mosca. Era un progetto ideologico, oltre che politico, in cui un’Urss riformata in senso democratico avrebbe dovuto far causa comune con un’Europa socialdemocratica e libera dai vincoli del “neoliberismo” atlantico (quando negli Usa c’era Reagan e nel Regno Unito la Thatcher). È questo il disegno che permette di capire ancora oggi il vero rapporto fra le due parti del continente europeo. Altro che “Putin o Ue”: sono sempre state due facce della stessa medaglia.