Due articoli molto diversi, dell’ex ministro Tria e della “principessa rossa” Reichlin svelano pezzi di realtà. Per entrambi i numeri di Gualtieri sono scritti sull’acqua, per entrambi solo Bce ci tiene a galla. Ma poi le prospettive divergono: Tria non sa bene in cosa sperare, Reichlin vuole furiosamente la Troika e, eventualmente, pure la ristrutturazione del Btp
Negli stessi giorni in cui il presidente della Repubblica, quasi vivesse sul pianeta Plutone, complimenta il governo per il “grande impegno riformatore” e perché “combatte il virus con rigore e unità” e lo pone al riparo del proprio manto con l’argomento che “il vero nemico, di tutti e di ciascuno, è il virus; che il responsabile di lutti, di sofferenze, di sacrifici, di rinunce, di restrizioni alla vita normale è il virus”… qui giù, sul pianeta Terra, due notevoli articoli ci richiamano ad un “bagno di realtà”: il primo dell’ex ministro dell’economia e delle finanze Giovanni Tria, il secondo della Principessa Rossa della sinistra in loden, Lucrezia Reichlin.
Per entrambi si tratta di prendere atto che i numeri di Gualtieri sono scritti sull’acqua: per Tria il quadro della Nadef è “fortemente obsoleto e non rispecchia i problemi che avremo di fronte”; per Reichlin “i numeri su cui si basa la nota di aggiornamento del documento di economia e finanza non sono più realistici. Con ogni probabilità il 2020 si chiuderà con una crescita del prodotto interno lordo al di sotto del -10 per cento con conseguenze su deficit e debito”.
Per entrambi l’immediato presente è dominato da Bce: per Tria, “non ci sono per ora problemi di liquidità per il nostro Tesoro” e “l’Italia e gli altri Paesi europei, soprattutto quelli della sponda sud, ancora reggono solo per il motivo che sono state sospese tutte le regole europee”, intendendosi sia le regole fiscali di Bruxelles (Stability Pact, Fiscal Compact, …), sia il divieto al finanziamento monetario agli Stati da parte di Bce; per Reichlin, sinora ci si è basati su “intervento immediato con strumenti nazionali, finanziato a debito ma con tassi favorevoli garantiti dall’intervento della Bce”.
A partire da tale comune premessa, le prospettive dei due si separano radicalmente. Tria proclama: “liberi tutti” e “ognuno per sé”. Il problema “dell’accumulo di debiti sovrani e della loro sostenibilità prospettica” è dei singoli Stati membri, non dell’Ue. Perché, “viene meno … la narrativa di un soccorso esterno risolutivo consistente nell’arrivo prossimo di un aiuto finanziario rappresentato da abbondanti fondi europei”, viene meno l’idea di una Europa che provvede a “finanziare massicciamente programmi europei coordinati, aiutando a tal fine finanziariamente i paesi più deboli a parteciparvi con investimenti nazionali”. Al contrario, prevale “l’approccio da sportello bancario … secondo il quale permane l’idea di una Europa che controlla i progetti nazionali da finanziare”, nel senso che, “il Mes è un prestito, ma che lo sono la gran parte degli altri fondi europei di cui si discute”. Precisamente per tale ragione “la storia del Recovery Fund … sfuma di centralità” ed il problema si riduce a scegliere, in base a criteri di mera convenienza di condizioni e tasso, “tra le condizioni di credito alternative, cioè tra quelle di mercato e quelle europee”. Per Tria, resta solo da “mettersi al sicuro, emettendo debito sui mercati” a più non posso, e poi evitare di dilapidarli: “Ora tutto torna nelle mani dei governi nazionali e alla loro capacità di avere una strategia e soprattutto di attuarla”.
Tutto al contrario le deduzioni di Reichlin: Recovery Fund e Mes sono centrali. “Bce ha trovato il consenso per intervenire in modo tempestivo e con acquisti di titoli pubblici sbilanciati a favore dell’Italia perché le autorità di bilancio, sia federali che nazionali, hanno accettato” un “pacchetto europeo”, “monetario e fiscale”, che “comporta chiari programmi per il Recovery Fund e un piano per la sanità da finanziare subito con il Mes”. L’intervento di Bce, “dipende dalla coerenza del pacchetto monetario e fiscale e dalla capacità dei Paesi più a rischio, come l’Italia, di recepirlo e agire di conseguenza”; in altri termini, senza tale pacchetto Bce non sarebbe intervenuta, in quanto “non ha legittimità ad intervenire in modo illimitato senza il sostegno dell’autorità di bilancio”. Ergo, “la posizione dell’Italia riguardo al Mes, o quella della Spagna che dice di non volere attingere ai prestiti del Recovery Fund, è molto pericolosa”.
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I problemi della interpretazione di Reichlin sono innumerevoli.
[1] Il primo è ovvio: la proclamata dipendenza di Bce dai governi, che la Principessa Rossa pudicamente definisce “coordinamento di fatto – anche se non formalizzato – tra politica monetaria e politica fiscale”. Fa pure un esempio, il programma di acquisto limitato di titoli di Stato condotto da Bce nel 2010-2011 e detto ECBSMP, che non ebbe effetto, secondo lei, “perché l’intervento Bce fu accompagnato da accesi contrasti politici”; dipoi Draghi poté salvare l’Euro nel 2012 solo “in quanto legittimato da un accordo tra Germania e Francia”. Le ha risposto l’economista Francesco Saraceno, che il problema di quel programma di acquisto era precisamente che fosse limitato e che, poi, “nel 2012 Draghi avrebbe fatto quel discorso comunque. Ne andava della sopravvivenza dell’euro”; ma la risposta di Saraceno non appare convincente: occorrerebbe egli spiegasse perché l’intervento del 2010-2011 non fosse illimitato … e non può farlo perché la ragione stava precisamente nell’allora mancante consenso tedesco. Più convincente era stato Mario Monti, nel 2019, incalzato da un brillante Claudio Borghi:
“La banca centrale è indipendente, però, se lei è il presidente della Banca Centrale Europea ed è lì da qualche mese, vuole correre il rischio che, il giorno dopo una sua dichiarazione o un suo atto, la cancelliera tedesca dica: ‘questa cosa è negativa, non è in linea col trattato’? Sì, sono indipendenti ma sono uomini anche i banchieri centrali”.
Aggiunse Monti:
“Draghi non avrebbe potuto fare quella dichiarazione (tant’è vero che non l’ha fatta un mese prima, due mesi prima, tre mesi prima, quando pure sarebbe stata necessaria), se il governo italiano dell’epoca non avesse fatto due cose: primo fare un’azione molto decisa (certamente con sacrifici) all’interno del Paese, per rimettere in sesto la situazione finanziaria; perché si immagini se il presidente della Bce italiano avesse annunciato una politica più espansiva, quando nel suo Paese la situazione non veniva rimessa in sesto. Glielo avrebbero lasciata fare? No. Secondo, chi ha fatto cambiare opinione alla Merkel e ai primi ministri di Olanda e di Finlandia (cioè i falchi) che prima consideravano blasfemo, impossibile, contrario ai trattati un intervento della Bce sui titoli di Stato, è stato il governo italiano a seguito di un gioco di pressioni e trattative”.
Insomma, Reichlin ha ragione: l’indipendenza di Bce è un mero slogan e le sue decisioni dipendono dal gradimento della Germania. Monti ci aveva squadernato i termini del diktat tedesco precedente, quello del 2012, la Principessa Rossa ci squaderna quelli del diktat tedesco presente.
[2] C’è la possibilità che Bce disobbedisca al diktat tedesco? No risponde lei: Bce non può comprare titoli di Stato senza il consenso di Berlino, in quanto “sarebbe pericoloso per la stabilità politica dell’Unione se la Bce lo facesse unilateralmente”; ergo, “pensare che il rubinetto Bce sia incondizionato è pericoloso”. Rivolgiamo un pensiero alla sempre aperta questione di Karlsruhe. Amen.
[3] Il terzo problema sta nelle conseguenze di una eventuale sottomissione italiana al nuovo diktat tedesco: se obbediamo Bce continuerà a comprare titoli di Stato? No, scrive Reichlin: gli acquisti di Bce “non prevedono un aumento permanente del debito finanziato con emissione di moneta. In sede accademica si discute se questo è ciò che la Bce dovrebbe fare, ma … è improbabile che avvenga”. Molto più sfrontata di Tria, il quale si rende conto che “se oggi sopravviviamo per l’assenza di regole, dobbiamo chiederci quali saranno quelle future” e “la prima questione è il ruolo della Bce che oggi, come i singoli stati, certamente appare più libera, ma la cui politica futura dipende dall’interpretazione non univoca del suo mandato”, ma evita di gettare lo sguardo nell’abisso e pudicamente si domanda, “ma allora dove è la svolta europea?” … beh, non c’è.
[4] Ed è un bel problema, perché gli strumenti ‘fiscali’ alternativi agli acquisti di Bce non paiono robusti: il Recovery Fund ci porterebbe soldi netti? No, risponde lei: la parte a debito è debito e “i sussidi non sono gratis e andranno finanziati con tasse europee in modo ancora da definire”: il che sottintende che, se tale modo venisse definito, tali tasse le pagheremo noi, dunque non si tratta né di ‘sussidi’ né di alcun fantomatico ‘a fondo perduto’. Molto più sfacciata di Tria, il quale si limita ad annotare che i cosiddetti ‘sussidi’ sarebbero “molto limitati rispetto al fabbisogno prossimo futuro”. I due sanno che l’Europa è una Banca.
[5] Pure se non ci porta soldi netti, pure se è uno sgorbio, il Recovery Fund vedrà almeno la luce? Reichlin non fa previsioni, si limita ad affermare che ogni obiezione italiana “dà munizioni a chi in Europa vuol fare saltare l’accordo storico così faticosamente costruito”. Ma è omissiva: lo ha capito la stampa italiana, come abbiamo visto su Atlantico, lo ha capito sinanco Tria (finirà per “cozzare ancora una volta con il contrasto di interessi nazionali che hanno bloccato fino ad oggi la costruzione europea”).
[6] Infine, il Mes-Sanitario: è cosa piccola. Ma Reichlin non raccoglie: “La buona notizia è che il piano, il ministro Speranza ce l’ha”. E tanto basti.
[7] Va bene, Maestà, ma per avere questo straccio di soldi, lo Stato dovrebbe sottoporsi ai trattati capestro, che lo espongono al rischio di vedersi imporre una Troika, magari pure senza OMT, addirittura di vedersi comandare la ristrutturazione del Btp. “Sciocchezze”, risponde la Principessa Rossa, “dibattito nonsense, incomprensibile fuori del palazzo”.
Siccome, però, nel Palazzo lei è di casa da quando è nata, a lei tale dibattito deve essere comprensibile. E, se nega l’evidenza, deve avere le sue ragioni. Ragioni che sono chiare a chiunque abbia avuto la pazienza di seguirci sin qui: [1] Bce non è indipendente ma obbedisce alla Germania; [2] non può ribellarsi, sennò i tedeschi accelerano la risposta di Karlsruhe; [3] interromperà gli acquisti di titoli di Stato; [4] il Recovery Fund è una mera partita di giro e [5] non è manco certo vedrà mai la luce; [6] il Mes-Sanitario è cosa piccola; [7] della Troika e della ristrutturazione del Btp che il Mes-Sanitario porta con sé, non è lecito parlare. Cosa resta? Resta il non detto: resta che, quando Bce avrà cessato gli acquisti di Titoli di Stato, l’unica speranza di tenere l’Italia pienamente nell’Euro è sottoporla alla Troika ed eventualmente pure alla ristrutturazione del Btp … cioè precisamente ciò di cui Reichlin si rifiuta di parlare.
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A noi resterebbe da chiederci come mai la Principessa Rossa se ne sia uscita con un articolo così rabbioso … nonché così distante dalle prospettive romane rappresentate dall’articolo di Tria. La ragione sta, probabilmente, nella esistenza di alternative alle di lei smanie: uno, la possibilità che il diktat tedesco presente sia una provocazione fatta per essere rifiutata, ciò che la nostra cerca di esorcizzare obbedendo Berlino alla lettera, costi quel che costi, Befehlen ausführen; due, la eventualità, non poi tanto aleatoria, che Bce francese si ribelli al potere tedesco … quando Parigi mai lo volesse; tre, la certezza che le banche italiane preferiscono il controllo dei movimenti dei capitali, rispetto a subire la ristrutturazione del Btp (cioè il proprio fallimento, cioè il bail-in di massa) e che abbiano reso partecipe di tale preferenza pure qualche parte del Parlamento, fra quelle meno propense a suicidarsi politicamente. Già sappiamo che la follia proposta da Reichlin sarebbe possibile solo coinvolgendo l’opposizione di destra e, su questo giornale, Federico Punzi ha ben spiegato che farsi coinvolgere sarebbe, per la destra, un errore ingiustificabile. La rabbia ormai estrema del popolo italiano consente, almeno, di sperare che non ci tocchi subire una ultima passerella di uomini (o donna) in loden.
Reichlin può, forse, parlare per qualche super-burocrate di origine italiana annidato a Bruxelles, al Mes, allo SSM, in Bce … ma nemmeno per tutti, considerata la posizione opposta manifestata da Mario Draghi a Rimini. Insomma, il rischio, per i fanatici come lei, è che il loro tempo a Palazzo sia definitivamente trascorso: ce lo auguriamo di tutto cuore.