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Ma servono davvero, all’Italia, “questi” partiti politici?

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Stupisce constatare come illustri accademici, molto attivi anche sul piano giornalistico, continuino ad invocare un ritorno dei partiti politici sulla scena pubblica, soprattutto in vista dell’imminente elezione del nuovo presidente della Repubblica. Il motivo è evidente. Si teme una “deriva tecnocratica” dovuta a Mario Draghi, deriva che – almeno in teoria – i suddetti partiti dovrebbero disinnescare restituendo al Parlamento e poi, a cascata, al “popolo” e ai suoi rappresentanti la sovranità decisionale.

Sin qui tutto bene. Il ragionamento – in teoria, per l’appunto – fila liscio. Si dimentica però di ricordare al pubblico perché mai i partiti sono ridotti così, e si scorda parimenti di ripercorrere le tappe che hanno condotto alla crisi della politica tradizionale (non solo in Italia, sia chiaro).

Il problema è che, se si guarda con attenzione allo scenario attuale, non si trovano partiti, né leader, in grado di fare una vera differenza. La mediocrità regna sovrana, spiace dirlo, tanto a destra quanto a sinistra (pur sapendo che una simile affermazione irriterà molti lettori).

In cosa possiamo sperare in vista di votazioni virtuose e possibilmente rapide per il nuovo presidente? Fossimo in Vaticano potremmo confidare nell’intervento dello Spirito Santo che illumini i cardinali, ma il contesto di cui parliamo è purtroppo diverso.

In alternativa si potrebbe sperare che qualche politico più furbo e più scafato di altri riesca a tirar fuori l’asso dalla manica, proponendo un nome sul quale una maggioranza sufficiente possa convergere. Lo specialista in tali operazioni è Matteo Renzi, che ultimamente dialoga molto con l’altro Matteo, Salvini, lui pure dotato di una certa furbizia. Accadrà qualcosa in tal senso? Difficile dirlo, appunto perché la confusione regna sovrana.

Come si diceva dianzi, tuttavia, mancano politici che, alla furbizia e alla capacità di manovra, sappiano abbinare anche una strategia ben delineata e una visione del futuro. Mi rendo conto di essere noioso, ma mancano figure del calibro di De Gasperi, Saragat, Malagodi etc. Nella politica militante ormai approdano i peggiori, dal che si capisce bene perché poi i cosiddetti tecnocrati abbiano la prevalenza. E anche perché ci siano serie remore quando si parla di mandarli a casa.

Il fatto che tra destra e sinistra non ci siano differenze qualitative tali da indurre subito una preferenza è estremamente preoccupante. Chi non ragiona secondo schemi precostituiti è costretto a prenderne atto con rammarico, vedendo come le varie formazioni politiche puntino soltanto a raccattare voti da coloro che protestano in modo più o meno plateale.

Dopo il fallimento della cosiddetta “rivoluzione grillina”, anch’essa sponsorizzata da intellettuali ed editorialisti in base a un semplice “proviamo, e poi vediamo cosa succede”, c’è stato ben poco. Un tirare a campare che allontana sempre più il pubblico dal milieu politico.

Ma una democrazia che sbaglia è, sempre e comunque, preferibile ad una “aristocrazia” che vede giusto? Mi si permetta di esprimere qualche dubbio in proposito.

Lo slogan grillino “uno vale uno” ha riportato in auge un certo qualunquismo, già manifestatosi in Italia nel dopoguerra. Tuttavia il qualunquismo, di qualsiasi tipo esso sia, non risolve i problemi ma li aggrava.

E allora speriamo che, benché abbia ben altro da fare, lo Spirito Santo si ricordi anche di noi e del nostro confuso Parlamento, risparmiandoci una lunghissima serie di sedute inutili.

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