Sconforto tra i macroniani nostrani (almeno tra chi ha capito qualcosa)
Ha fatto molto rumore l’intervista del presidente francese Macron all’Economist. Le sue parole, insieme a quelle della Merkel (“l’Europa deve fare da sola”) e alla decisione di Berlino di non rispettare prima del 2031 i suoi impegni di spesa, sono la dimostrazione che, come abbiamo più volte scritto qui su Atlantico (e in “Brexit. La Sfida”) la vera minaccia alla sopravvivenza dell’Alleanza Atlantica, e dell’Occidente per come lo abbiamo conosciuto dal secondo Dopoguerra, arriva dall’Europa. E, in particolare dalla Francia, per la sua arroganza, la sua irresponsabilità e le sue velleità neobonapartiste; e dalla Germania, per l’assenza di un pensiero strategico che vada oltre il mero mercantilismo. I nostri peggiori timori trovano conferme: magra consolazione.
Dopo aver detto in un colloquio privato che sarà “morta in cinque anni”, all’Economist il presidente Macron ha dichiarato che “ciò a cui stiamo assistendo attualmente è la morte cerebrale della Nato”, chiarendo cosa intenda, anche se sembra parli a nome dell’Ue, con il concetto di “autonomia strategica”: un’Europa senza Nato, senza l’ombrello di difesa messo su e pagato – in termini di vite e costi, dagli Stati Uniti. E, quindi, un’Europa lontana da Washington almeno quanto da Mosca e Pechino. Quanto questo disegno sia praticabile oppure velleitario (pensiamo alle capacità militari, per non parlare della coesione politica e strategica) è un altro discorso. Irresponsabile, pallone gonfiato, o semplicemente incompetente, Macron sembra crederci.
Una dichiarazione di “morte cerebrale” un po’ prematura, ma certo il paziente è molto malato. Però il virus non è a Washington.
Se sommata all’auspicato riavvicinamento alla Russia di Putin e al recentissimo stop di Parigi ai negoziati per l’allargamento dell’Ue a sud-est (un altro chiodo nella bara dell’Italia, tra l’altro), il quadro si completa. I Balcani offerti su un piatto d’argento a Russia e Cina, morte annunciata della Nato: Putin e Xi non avrebbero potuto sperare di meglio.
Immaginate però un Trump o un Salvini che avessero dichiarato la “morte cerebrale” della Nato aprendo alla Russia, come sarebbero stati bollati dai macroniani nostrani, liberal ed eurolirici? Puppet di Putin? Manchurian candidate? Tutto già sentito, per molto meno.
“La Nato funziona – spiega Macron in un passaggio dell’intervista all’Economist – solo se il garante di ultima istanza funziona come tale. Credo che dovremmo riconsiderare la realtà della Nato alla luce dell’impegno degli Stati Uniti”. E l’America “ci sta voltando le spalle”, come chiaramente dimostra il ritiro dal nord-est della Siria abbandonando i curdi, riassumono i giornalisti dell’Economist. Ma qui siamo al puro nonsense: la prova del disimpegno americano dall’Alleanza Atlantica sarebbe la decisione di Trump di non difendere le milizie curde guidate dal PKK, un’organizzazione terroristica sia per gli Usa che per l’Ue, dalla Turchia, che è un alleato Nato da quasi settant’anni. Davvero, senza senso. Sarebbe, semmai, la prova che l’Alleanza vale ancora, anche nei confronti di un alleato bizzoso.
E infatti, nel ragionamento del presidente francese sull’articolo 5 del Trattato, il cuore dell’Alleanza, Trump non c’entra niente. Nell’intervista Macron si chiede preoccupato cosa significherà domani l’articolo 5 della Nato: se il regime di Assad decide di contrattaccare la Turchia, saremmo impegnati sulla base di quell’articolo? In effetti, è sì una “questione cruciale” e la sua risposa implicita alla domanda retorica è un no. Sia l’offensiva turca che la decisione americana di ritirarsi hanno avuto l’effetto, spiega il presidente francese, di “sacrificare” le SDF, le milizie arabo-curde controllate dal PKK. Certo, un “problema enorme” per la Nato, ma non nel senso indicato da Macron: il problema è che la guerra all’Isis, la politica anti-terrorismo Usa in Siria, ma in minima parte anche francese, ha “sacrificato” per anni gli interessi di sicurezza di un membro della Nato. Il cui governo oggi non ci piace e ci pone di fronte una sfida serissima, ma che non può essere a cuor leggero “lasciato andare”. Prim’ancora di rispondere alla domanda se Ankara abbia o no intenzione di lasciare la Nato, un importante membro dell’Alleanza come la Francia le sta già voltando le spalle, la dà già per persa. Le parole di Macron sono risuonate forte ad Ankara – e a Mosca, ovviamente…
Il presidente francese, invece, arriva a una diversa conclusione: che due cose sono “essenziali a livello militare e strategico”. Primo, la difesa europea: “l’Europa (soppesate bene la gravità delle parole, ndr) deve diventare autonoma in termini di strategia e capacità militari”. Quindi, una difesa europea alternativa alla Nato (e a guida francese, of course), non complementare. Secondo, “dobbiamo riaprire un dialogo strategico con la Russia”. Perché, spiega, “tutto questo dimostra che ci dobbiamo riappropriare della nostra politica di vicinato, non possiamo lasciare che sia gestita da terze parti che non condividono gli stessi interessi”. E con interessi, non intende economici e commerciali, ma geopolitici, strategici, militari.
È bene ricordare a questo proposito che quando Trump ha messo in discussione la Nato, ripetutamente e con forza, chiamando in causa anche l’articolo 5 (ma solo una volta, durante la campagna elettorale), l’ha fatto sull’annosa questione del giusto contributo all’Alleanza, seguendo i suoi predecessori, non in termini strategici, negando l’esistenza di valori e interessi comuni, come invece fa Macron in questa intervista.
Ad una attenta lettura, infatti, il presidente francese liquida l’articolo 5 non a causa di un presunto disimpegno di Trump, ma perché non vorrebbe trovarsi a dover difendere la Turchia contro Assad – e, di conseguenza, eventualmente nemmeno contro la Russia e l’Iran. Insomma, sembra che Macron voglia rompere i legami con Ankara, a costo di far saltare la Nato.
Deliberata o meno, una mossa irresponsabile che mette a rischio l’alleanza militare più forte e di successo della storia perché ad un presidente non piacciono i turchi e ama più i curdi. Gli altri stati membri e Paesi Ue dovrebbero almeno dissociarsi e chiarire che Macron non parla a nome di tutti.
Non solo la rottura con Ankara, la sua recente chiusura alla Bosnia, all’Albania e alla Macedonia del Nord, e la contestuale apertura alla Russia cristiana di Putin, farebbe pensare a una linea di politica estera islamofobica – se fossimo dei benpensanti macroniani. È certamente però un regalo a Mosca e Pechino. D’altra parte, spiega Macron, “se vogliamo ricostruire l’autonomia strategica europea… dobbiamo ripensare il rapporto strategico con la Russia”. Cosa significa? Lavorare insieme in modo più coordinato contro la minaccia del terrorismo islamista; collaborare nella cyber sicurezza; risolvere i conflitti “congelati”, non solo quello ucraino. Insomma, introdurre la Russia nell’architettura di sicurezza europea. Ma non solo… “Di quali garanzie ha bisogno (Putin, ndr)? Si tratta, in sostanza, di una garanzia Ue e Nato di nessuna ulteriore espansione su un dato territorio?”. Il presidente francese sta forse offrendo a Mosca un potere di veto su quali Paesi possono aderire alla Nato e all’Ue, senza coordinarsi con gli alleati?
È vero tuttavia che questa intervista di Macron ha almeno il dono della chiarezza. La crisi della Nato è reale. Non studiarla e non discuterla apertamente sperando che le cose si aggiustino da sé “passata la nottata”, passato Trump, è non solo illusorio ma irresponsabile. L’illusione che tutto possa tornare come prima è in parte la conseguenza dello stato di negazione del significato più profondo di eventi come la Brexit e l’elezione di Trump.
Come abbiamo più volte ribadito, il vecchio establishment su entrambe le coste dell’Atlantico, ancora sotto scacco, stordito per i colpi ricevuti e l’assedio sotto cui ancora si trova, fa male i suoi calcoli se pensa che Trump è solo un brutto incubo, una parentesi, un temporale o, peggio, un presidente illegittimamente eletto grazie alle manipolazioni russe, e che il suo successore, chiunque sia, ripristinerà il corretto ordine delle cose, dal commercio internazionale ai rapporti transatlantici. E l’intervista di Macron ne è la dimostrazione. La vera malattia dell’ordine internazionale liberale, e dell’Occidente, nell’era Trump non è Trump.