Le parole del giudice Amedeo Franco sono una vera bomba sulla storia recente del nostro Paese. L’audio pubblicato da Il Riformista e da Quarta Repubblica nei giorni scorsi rivelano infatti che nei confronti di Silvio Berlusconi ci fu un particolare accanimento giudiziario. Un vero e proprio piano per estrometterlo dalla vita politica, culminato con la sentenza del 2013 e, come vedremo, con la successiva offerta dell’allora presidente Napolitano. Le registrazioni, del resto, non lasciano spazio a dubbi. Franco, relatore in Cassazione nel processo a Berlusconi per frode fiscale sui diritti tv Mediaset, sostiene che ci fu un disegno dietro la sua condanna:
“Berlusconi deve essere condannato a priori perché è un mascalzone! Questa è la realtà… a mio parere è stato trattato ingiustamente e ha subito una grave ingiustizia… l’impressione è che tutta questa vicenda sia stata guidata dall’alto… In effetti hanno fatto una porcheria”.
Quella descritta da Franco, che parla anche di “plotone di esecuzione”, risulta essere una mossa architettata per far fuori l’ex presidente del Consiglio. L’azione di una parte della magistratura sembra quindi essere stata votata al perseguimento di obiettivi di natura prettamente politica. Del resto, è innegabile che tra il 1994 e il 2013 il Cavaliere fu oggetto di particolare attenzione da parte delle toghe. A pensar male, sempre rimanendo nel solco delle parole di Franco, si potrebbe anche ritenere che quel trattamento fu debitamente studiato per rafforzare il centrosinistra. Un centrosinistra fragile e diviso che non riuscì mai a vincere in modo definitivo Berlusconi nell’arena elettorale, ma solo per via giudiziaria grazie alla condanna e alla conseguente interdizione dai pubblici uffici.
Lo strapotere della magistratura non può comunque essere ridotto al solo berlusconismo. Le sue origini sono ascrivibili, come più volte ricordato qui su Atlantico, al triennio di Mani Pulite. Tra il 1992 e il 1994 il Pool di Milano, guidato da Borrelli, ebbe infatti un ruolo cruciale nella selezione della classe dirigente, operando in modo tutt’altro che trasparente. Basti pensare all’abuso della carcerazione preventiva per estorcere confessioni e alla violazione sistematica del segreto istruttorio finalizzata a condannare preventivamente i presunti colpevoli in piazza e sui media. Grazie a queste tecniche, che diedero vita a un micidiale circuito mediatico-giudiziario, la procura di Milano riuscì ad annientare le principali forze del pentapartito, ad eccezione della sinistra Dc, del Msi e ovviamente del Pci-Pds. La discesa in campo di Berlusconi, però, vanificò questi sforzi e con il 1994, seguendo ancora una volta il filo logico delle parole di Franco, iniziò una nuova battaglia giudiziaria. Culminata con la condanna del 2013. A beneficiare di tale operazione, conseguenza che non sembra essere casuale ma sapientemente studiata, fu la sinistra postcomunista. Una sinistra che, persa la battaglia politico-culturale contro il fronte democristiano e socialista riformista (il Muro di Berlino era caduto solo tre anni prima, nel 1989), riuscì a trionfare nelle aule di tribunale. Non aveva però calcolato la discesa in campo di Berlusconi. E non a caso cercò di tarpargli le ali in ogni modo, occhieggiando ancora una volta alle toghe.
Considerando la storia recente del Paese, le rivelazioni di Franco non possono quindi stupire. Semmai confermano il ruolo di una parte della magistratura italiana che partecipò alla lotta politica, selezionando la classe dirigente ritenuta più adatta a guidare il Paese. In tutta questa vicenda non si può poi tacere il ruolo di Giorgio Napolitano. Come rivelato in un retroscena di Augusto Minzolini, il presidente emerito, subito dopo la condanna, avrebbe avuto un incontro riservato con Fausto Coppi, l’avvocato del Cavaliere. In tale occasione Napolitano avrebbe offerto a Berlusconi la grazia in cambio del suo ritiro dalla vita politica. Un ulteriore tassello che sembrerebbe confermare il disegno per allontanare l’ex premier dalla vita pubblica. La condanna nel processo Mediaset, stando a quanto riportato da Minzolini, venne dunque pensata e poi utilizzata come arma di ricatto per indebolire e ridurre all’impotenza Berlusconi e Forza Italia. Questa trattativa rivela, se ce ne fosse ancora bisogno, la politicizzazione di una parte della magistratura e il suo ruolo determinante nelle dinamiche politiche degli ultimi trent’anni. Un periodo che tra qualche tempo potrebbe subire una generale reinterpretazione storica.