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Mani francesi su Unicredit? Prima sfida per il governo dei “sovranisti”

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Piaccia o meno l’Italia ha un Governo. Per il bene del Paese è importante partire con il piede giusto ed analizzare cosa si può fare per far ripartire l’Italia e sviluppare al meglio il suo enorme potenziale. A tal proposito lo stimolo a qualche ragionamento lo offre il Financial Times che rilancia l’ipotesi di fusione fra il nostro UniCredit e la francese Societé Generale.

Gli indizi che portano ad una operazione di questo tipo sono evidenti da molto tempo e sono diversi:

1) l’amministratore delegato di UniCredit è un francese che è stato uno dei massimi dirigenti della stessa Societé Generale.

2) UniCredit è anche il primo azionista della nostra Mediobanca che, a sua volta, è il primo azionista delle Assicurazioni Generali. Il presidente della Generali è anche lui francese, ovviamente. Il più accreditato conquistatore di Generali è la francese AXA.

3) Non bastasse, il secondo azionista di Mediobanca è tale Vincent Bollorè, francese pure lui e padrone di una certa Vivendi.

Alle mosse della finanza francese possiamo ascrivere anche il fatto che Vivendi è il primo azionista di Telecom Italia – TIM (recentemente sconfitto nell’assemblea per il controllo dell’azienda telefonica dall’alleanza inedita fra CDP e Fondo Elliot) ed è anche il secondo azionista di Mediaset (qui le ha prese da Fininvest dopo un appassionante tentativo di scalata).

È evidente che un governo nazionalista (utilizzo questo termine in chiave assolutamente positiva ed in scia all’American First del presidente Trump) come quello guidato dal premier Conte deve pianificare in questo ambito le sue mosse e la sua diplomazia perché le aziende, una volta finite in mani straniere, raramente tornano indietro. Ed in caso di crisi o ristrutturazione i primi posti di lavoro a saltare non sono quelli francesi (cito ad esempio il caso Parmalat che, ad oggi, mi pare abbia chiuso almeno tre stabilimenti italiani, o la fuga di Whirpool-Embraco).

Risulta estremamente chiaro che una conquista di UniCredit da parte dei francesi provocherebbe uno tsunami irreversibile nel sistema di potere italico. Caduta Piazza Cordusio seguirebbero, come in un micidiale domino, le cadute di Piazzetta Cuccia e del pregiatissimo Leone di Trieste.

Il Governo Macron (a parole non nazionalista, ma molto radicale nella aggressiva politica industriale francese) sta pilotando l’ingresso di Accor Hotels (francesi) nell’azionariato di AirFrance, per mantenere la presa d’oltralpe sugli aerei, settore decisivo nel sistema turismo.

Senza citare tutti i marchi del lusso volati in Francia, o le due maggiori banche acquisite dai cugini (BNL e CariParma), ricordo l’ultima mega operazione: la fusione fra Essilor e Luxottica. La famiglia Del Vecchio controlla oggi il nostro colosso della occhialeria ma, via via negli anni, l’accordo firmato porterà la maggioranza ai francesi. A testimonianza di ciò è previsto il trasferimento della sede a Parigi e la quotazione sulla stessa piazza.

Come impatta una cosina così nel nostro quotidiano, nelle nostre tasche? Immaginiamo che Luxottica italiana paghi 100.000 euro di tasse all’anno. Con il trasferimento di sede a Parigi questi soldi andranno allo Stato francese. Mancheranno, di contro, dal nostro sgangherato bilancio statale. E state tranquilli che qualcun altro dovrà pagarli. Quindi, o aprono nuove aziende oppure paghiamo tutti noi.

Si capisce perché, oggi, un governo un filo più deciso sulla politica industriale sia una necessità più che un vezzo elettorale. Di pari passo deve nascere la consapevolezza della necessità di un Sistema Italia che segua non solo la singola azienda o il singolo settore, ma abbia una visione complessiva del dove si vuole andare, in che modo e a che prezzo. L’esempio francese ci insegna che questi progetti non nascono nel giro di una notte, ma vanno pianificati e devono divenire patrimonio comune della nazione e sopravvivere ai governi e alle varie maggioranze.

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