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Manifesto contro la “nuova normalità”

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Da una idea di Marco Proietti e Andrea Venanzoni

In principio fu il virus come opportunità.

Tweet e dichiarazioni di vaga e vacua ingegneria sociale, prefigurando scenari di un mondo nuovo: alcuni politici, alcune star del pop, intellettuali in servizio effettivo permanente, quelli che davano e danno con la loro stessa esistenza piena ragione a Nicolas Gomez Davila quando liquidava l’impegno civile come roba da prostitute.

Tutti impegnati a prefigurare l’ellittico orizzonte di una società prossima ventura, in cui, tutti attenti, accorti, sensibili, limitati negli spostamenti e nelle libertà ma felici di esserlo, sussidiati dal generoso Stato paterno e patrigno, avremo finalmente (ri)scoperto la bellezza del sol dell’avvenire, tra un vaccino annuale e un tampone.

Poi, esaurita la verve semantica e fumosa dell’”opportunità”, visto che nessuno aveva ben capito in cosa essa consistesse, i geni della comunicazione istituzionalizzante sono passati a un nuovo lemma, quello della “nuova normalità”: lo si trova tanto in spernacchiati siti internet complottisti quanto in seriosi report di organizzazioni internazionali, come l’UNICEF a proposito della condizione dei bambini nel futuro post-pandemico, e nel dibattito politico, economico, sociologico e psicologico.

Il concetto di nuova normalità è in apparenza meno inquietante di quello del virus come opportunità ma non meno pericoloso, anzi: perché sottende la definizione di un epocale spartiacque, di un mondo prima e di un mondo dopo la pandemia, e soprattutto finisce per integrare quella pratica certosina dell’autoinganno che Carmelo Bene vedeva essere la spina dorsale della pratica democratica. Una società livellata, misurata, ipercontrollata, ove ogni minimo sussulto di autodeterminazione è destinato inevitabilmente a finire sul taccuino dei cattivi.

Una bastonatura felice e ossequiosa, proprio nel nome della normalità. Che, a ben vedere, è in realtà una normalizzazione, un redde rationem, una Notte dei lunghi coltelli per accartocciare qualunque deviazione dal percorso di edificazione del mondo nuovo pandemicamente corretto.

In fondo, persino un noto ministro in un suo travagliato libro, prima pubblicato, poi frettolosamente ritirato dal commercio quando ci si era accorti che aveva cantato vittoria troppo presto, poi ancora obliato e infine riemerso o meglio a dirsi risorto semi-pasqualmente a nuova vita editoriale, si era lanciato nel perorare la causa del mondo nuovo post-pandemico, come potenziale trionfo dei valori di sinistra.

L’idea che un mondo nuovo debba sorgere dalle presunte macerie fumanti di un virus oltre che fallace è pericolosa.

Pericolosa perché innesta nel corpo sociale un generale e frainteso principio di precauzione, come se il rischio zero fosse una ipotesi praticabile: e sappiamo, sappiamo bene, che il rischio è al contrario parte essenziale e integrante dell’esistenza umana e dello stare in società. “Covid zero” come “rischio zero” sono formule nel migliore dei casi del tutto insensate e vuote, nel peggiore al contrario sottendono dinamiche e dispositivi di limitazione della socialità e di controllo diffuso.

In questa prospettiva, si ambisce a presentare la rimodulazione del trionfo dello Stato, e non a caso già si sente parlare di fine della globalizzazione, di fine del mercato, si prefigura un potere pubblico sempre più “amico”, pervasivo, innervato nei gangli più profondi della nostra esistenza.

La nuova normalità è una quotidianità intessuta di concessioni, autorizzazioni, visti, controlli, delazioni, segnalazioni, un ritorno epocale a secoli passati, non un balzo in avanti.

La nuova normalità non è una opportunità ma tirannia, con uno Stato che ci dice cosa fare, come comportarci, dove andare e dove al contrario non poter andare.

La nuova normalità è mancanza totale di trasparenza nei processi deliberativi, arcana imperii, opacità gestionale, frantumazione delle fonti del diritto e polverizzazione dei centri decisionali.

La nuova normalità è il vicino di casa che si erge a censore dei nostri costumi e a volenteroso segnalatore alle autorità di polizia di comportamenti ritenuti esorbitanti dai canoni della nuova normalità stessa.

Non esiste una nuova normalità, se non nel triviale progressismo di chi guarda al futuro come un modo per poter coartare il libero pensiero all’interno di steccati (e divisioni) ideologici.

Per questo, come uomini liberi, abbiamo avvertito l’esigenza di redigere questo Manifesto contro la nuova normalità, per riaffermare la libertà individuale e collettiva, il primato della persona sullo Stato, e per ricordare agli improvvisati ingegneri sociali che ambiscono a rimodellare la quotidianità che per quanti lucori scintillanti neon, per quanta digitalizzazione, per quante parole altisonanti possano usare nelle loro narrazioni, una tirannia rimane pur sempre una tirannia.

  1. Da uomini liberi, rifiutiamo nella maniera più totale qualunque visione che della pandemia miri a fare opportunità e a ingenerare presunte “nuove normalità”. La pandemia è una tragedia, ma tragedia sono anche la gestione dei pubblici poteri del virus, i tentativi di far assumere una torsione autoritaria e ideologizzante al contrasto al virus e alla società emergente. Non esiste alcun prima e alcun dopo il virus.
  1. Da uomini liberi, reclamiamo la libertà individuale e quella collettiva, nel nome e nel rispetto dei principi naturali e di quelli costituzionali. Respingiamo eccezionalità, emergenzialità strutturale e permanente, ritorni a sistemi implicanti regimi di autorizzazione, di concessione, di visto.
  1. Da uomini liberi, siamo consapevoli che la libertà è innanzitutto responsabilità individuale. Per questo respingiamo la visione di uno Stato che possa surrogarsi alla volontà individuale e che possa eticamente ergersi a buon padre in grado di “proteggerci” dai rischi e dalle connesse responsabilità.
  1. Da uomini liberi, sappiamo bene che il rischio è parte integrante ed essenziale della vita umana. L’idea di un “rischio zero” è del tutto da respingere, poiché la sua risultante sarebbe la abdicazione in via perenne a qualunque forma di libertà.
  1. Da uomini liberi, vogliamo che lo Stato torni nel suo perimetro, senza esondare e senza rendersi occhio che tutto scruta, spesso per la interposta persona di un frainteso senso di cittadinanza attiva. Per questo, chiediamo il ritorno della trasparenza dei dati sottesi ai processi deliberativi, alle garanzie di inviolabilità della proprietà privata e del domicilio, alla presunzione di innocenza.
  1. Da uomini liberi, sappiamo che ogni “mondo nuovo” si costruisce sempre sulla base di nuove narrazioni e di nuove parole. Per questo reclamiamo un dibattito pubblico libero da ricatti morali e da comodi alibi semantici: rigettiamo nella maniera più netta la de-individuazione insita in un certo linguaggio che, oltraggiosamente, si nutre di “negazionismo”, di cittadini trasformati in terroristi e di altri lemmi che quando usati stroncano, novelli ipse dixit, qualunque discorso. Vogliamo rispetto e simmetria nei discorsi pubblici.
  1. Da uomini liberi, vogliamo che la politica torni al servizio del cittadino e la smetta di utilizzare la pandemia come un comodo specchio per celare e deflettere le proprie storture. Non esiste spazio per il pandemicamente corretto, e la tragicità degli eventi vissuti non deve essere vista come un’occasione o come un’opportunità di cambiamento, bensì come il normale flusso della Storia.
  1. Da uomini liberi, vogliamo che il digitale sia una opportunità e non una nuova tirannia funzionale per limitare in via permanente gli spostamenti, desertificando il paesaggio sociale delle nostre città. Come riconosciuto nei principali testi normativi e nelle Carte europee e sovra-nazionali concernenti la tecnologia, deve esserci sempre un fine e un controllo umano sotteso.
  1. Da uomini liberi, vogliamo che il canone di democratizzazione torni a governare la scienza, sgombrando il campo dall’esondazione di narcisismo da virologia.
  1. Da uomini liberi, vogliamo tornare ad essere liberi, ad amare, a viaggiare, a stringere mani, a considerare un servizio pubblico un servizio e non una graziosa concessione sovrana.

Comitato Promotore:
Pietrangelo Buttafuoco
Daniele Capezzone
Luigi Curini
Corrado Ocone
Marco Proietti
Federico Punzi
Andrea Venanzoni

Per sottoscrizione:
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