Esattamente otto anni fa ci lasciava Margaret Thatcher, la Lady di ferro che per prima mise in pratica il pensiero liberista, pose fine alla socialdemocrazia, restituendo al Regno Unito centralità nello scacchiere internazionale.
Quando Margaret Thatcher vinse per la prima volta le elezioni, il 3 maggio 1979, per molti critici fu grazie all’incapacità del governo laburista di Callaghan di gestire la celebre crisi del “Winter of Discontent”, una serie di scioperi contro i limiti agli aumenti salariali imposti per contenere l’elevata inflazione.
Quando approdò al 10 di Downing Street, la lady guidava da soli quattro anni il partito conservatore, poteva vantare molti avversari politici – tutti con un debole per la gestione statalista del Paese – ed ereditava una situazione economica disastrosa.
La crisi aveva origini diverse: l’imperante statalismo, l’altissima inflazione ed il continuo aumento della spesa pubblica.
A partire dagli inizi degli anni ‘70, la produttività dell’Inghilterra era la più bassa del continente, i redditi di impresa erano in costante declino e la bilancia dei pagamenti era in continuo deterioramento – raggiungendo il deficit storico di quasi un miliardo di sterline tra il 1971 e il 1973.
Fin da subito, la strategia della Thatcher si pose in netto contrasto con le politiche stataliste dei precedenti governi, sia conservatori che laburisti. Aprì il Regno Unito al libero mercato, attirò gli investimenti stranieri, ridimensionò il ruolo dello Stato nella società e nel settore economico.
Sebbene i primi provvedimenti di austerità generarono un aumento del tasso di disoccupazione – e questo successe anche negli Stati Uniti sotto la presidenza di Reagan – dopo undici anni di governo, Margaret Thatcher riuscì a trasformare l’Inghilterra nel motore d’Europa.
Sul piano economico, i dati parlano chiaro: tra il 1979 ed il 1990, la disoccupazione diminuì al 6,2 per cento, mentre negli altri principali Stati europei continuava a crescere – in Italia, Francia e Germania rispettivamente all’11 per cento, al 9 per cento ed al 6,7 per cento. Il tasso di occupazione crebbe di oltre 7 punti percentuali, l’inflazione passò dal 18 al 5 per cento, il Pil pro-capite crebbe del 24 per cento in termini reali. E ancora, la spesa pubblica calò di 6 punti percentuali, dal 45 al 39 per cento.
In politica estera, insieme all’alleato americano Ronald Reagan, Thatcher contribuì in modo decisivo alla caduta del comunismo, fu durissima con le azioni terroristiche dell’IRA, tanto che, nell’ottobre del 1984, fu vittima di un attentato a Brighton, durante un incontro di partito, uscendone miracolosamente illesa.
Nonostante i grandissimi successi appena elencati, la lezione più importante – a mio avviso – che ereditiamo da Margaret Thatcher rimane la sua profonda concezione dell’individuo. Ella riuscì a ribaltare il paradigma: lo Stato è sicuramente necessario, ma non è mai da divinizzare. La lady diceva: “Chi scala l’Everest lo fa per il suo sommo ed egoistico piacere, anche se arrivato in cima è la bandiera inglese che issa”.
Insomma, nella sua fortissima visione etica, l’individuo viene rimesso al centro dell’azione politica, ma senza mai dimenticare il senso di appartenenza alla nazione.
Non è mai la società che “forma” il cittadino, ma viceversa: l’obiettivo deve essere quello di incoraggiare l’iniziativa individuale e nel contempo scoraggiare la dipendenza dallo Stato, combattere l’assistenzialismo favorito dai governi precedenti, tra le principali cause del declino inglese.
In un periodo storico in cui la politica viene subordinata alla scienza ed ai tecnocrati, servirebbero più che mai leader come Margaret Thatcher.
Non solo perché, per prima, è riuscita a mettere in pratica gli insegnamenti di Hayek e Friedman, entrambi premi Nobel per l’economia, ma per aver avuto il coraggio di dire ciò che nessuno osava dire, per aver avuto la determinazione di assumere decisioni necessariamente impopolari, per aver avuto la forza di trasformare il liberalismo da teoria in pratica politica.
Oggi la lady si opporrebbe ai lockdown striscianti, alle continue restrizioni delle nostre libertà personali, alla pervasiva ingerenza dello Stato nelle nostre vite, dilagata in questi mesi di pandemia. Sicuramente lo avrebbe fatto a modo suo, probabilmente con un altro “No! No! No!”, proprio come quando si oppose all’Europa di Maastricht, dei burocrati e della moneta unica.