Massacro diplomatico a Mosca: umiliato non solo Borrell, ma l’intera Unione europea

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Il problema sono le conferenze stampa. Finché gli incontri diplomatici rimangono nelle chiuse stanze delle cancellerie, alla presenza dei traduttori e di qualche consigliere politico, le miserie dell’impreparazione e dell’improvvisazione risultano invisibili al grande pubblico. Quando però, con tutta l’intenzione, si sbatte il malcapitato ospite di turno in un’arena piena di giornalisti adeguatamente addomesticati dal padrone di casa e lo si tempesta con una batteria di domande dilatorie e fuorvianti, il suddetto rischia di perdere il filo, la coerenza e perfino la faccia. È quel che è capitato ieri in quel di Mosca al povero Alto Rappresentante della politica estera dell’Unione europea, lo spagnolo Josep Borrell, uscito letteralmente umiliato dal confronto con la controparte russa, il ministro degli esteri Lavrov, durante il tradizionale incontro con la stampa.

Aveva cominciato abbastanza bene Borrell nella sua introduzione, facendo riferimento quasi subito al caso Navalny, esprimendo “profonda preoccupazione” (è questo il lemma dell’Ue su ogni questione riguardante i diritti umani a qualsiasi latitudine non Ue) e chiedendone la liberazione. Lo sfoggio di risolutezza democratica veniva però immediatamente mitigato dalla dichiarazione successiva in cui Borrell confermava non richiesto che, in fondo, la Russia non doveva preoccuparsi più di tanto delle reazioni europee, visti gli ampi margini di collaborazione in settori quali cultura, ricerca, salute, Covid-19 (ci torneremo), Artico, clima e via enumerando. A questo punto l’europeo medio (che Borrell incarna in tutta la sua essenza) si sarebbe aspettato come minimo una pacca sulle spalle, da buoni amici sinceri, ignorando come ignora la differenza fra un rivale strategico e un compagno di merende. A Mosca questa distinzione risulta per contro del tutto evidente e così cominciavano a volare gli schiaffoni sul volto pasciuto dello sprovveduto avversario (che di questo si tratta, in fondo).

Prima domanda sull’arresto di sette giornalisti di Sputnik (la testata informativa, non il vaccino) in Lettonia, sulla chiusura di tre canali russi in Ucraina e sulle relazioni Europa-Cuba (sic!). Borrell balbettava: “Sono un po’ sorpreso, non mi aspettavo di dover parlare di Cuba qui a Mosca, ma questa situazione mi ricorda un film spagnolo, ‘Palme nella neve‘”. Testuale, c’è il transcript. Por arrivava la domanda sullo Sputnik (il vaccino, non la testata informativa), e qui era tutto uno sciogliersi in elogi: congratulazioni alla Russia, un successo, una grande notizia per l’umanità, felicissimi, speriamo che l’EMA lo certifichi al più presto perché in Europa non abbiamo vaccini, grazie ancora. Nemmeno nei suoi sogni più bagnati Putin poteva sperare in un trionfo d’immagine come questo. Bruno Maçaes, influente politologo portoghese, twittava al riguardo: “A quanto ne so solo due ministri degli esteri hanno visitato Mosca quest’anno per chiedere vaccini: l’iraniano Zarif e l’europeo Borrell”.

Domanda: “Ha visto il video che il suo omologo russo le ha preparato sulle violenze della polizia in Europa?”. Risposta: “Non ne ho avuto l’opportunità ma è chiaro che l’uso eccessivo della forza non è solo un problema russo”. Lavrov non avrebbe potuto dirlo meglio. A ben guardare Lavrov non si era ancora mosso, avevano fatto tutto i giornalisti. Con Borrell è sufficiente. Ma veniamo a Navalny, in fondo era l’obiettivo principale della visita, no? Qui la tragedia e la farsa si fondevano in un intreccio inestricabile (per il nostro). Borrell, tra il frastornato e l’adorante, tentava l’ennesima captatio benevolentiae: “Non ci sono nuove proposte di sanzioni da parte di nessuno Stato membro dell’Unione europea”. Dai, che stavolta ce la fai. E invece no. Lavrov partiva in quarta ricordando che in Catalogna ci sono una decina di politici in prigione. Borrell taceva, non ci provava nemmeno, tanto che nel pomeriggio doveva intervenire il ministro degli esteri di Madrid a spiegare la differenza. Poi il russo incalzava con la versione copyright del Cremlino: sull’avvelenamento di Navalny l’Europa ha mentito e si è dimostrata un partner inaffidabile. Borrell muto come un pesce in barile. Ma come, non eravamo amici?

A pochi chilometri da lì intanto, andava in onda il secondo processo-farsa della settimana: stavolta Navalny doveva rispondere di diffamazione ai danni di un veterano della Seconda Guerra Mondiale. Tutto l’armamentario ideologico della Russia putiniana riunito in una corte di “giustizia”. A metà udienza il novantaquattrenne si sentiva male e bisognava aggiornare la seduta. Ma la giornata di Josep Borrell non era ancora finita. In un chiaro gesto di cortesia nei confronti del gentile ospite, le autorità decidevano nelle stesse ore l’espulsione di tre diplomatici europei, con l’accusa di aver partecipato alle manifestazioni pro-Navalny: un funzionario del consolato svedese, un polacco e un impiegato dell’ambasciata tedesca. Come si dice umiliazione in russo?

Possibile che a Bruxelles nessuno abbia previsto l’esito catastrofico di una riunione affidata a un funzionario chiaramente inadeguato al ruolo? Possibile che l’Unione europea si sia prestata a fare da sparring partner a un pugile che aspettava solo l’occasione di una rivincita nei confronti di un avversario (sì, noi per loro lo siamo) che negli ultimi mesi lo aveva incalzato a parole ma che, alla prova dei fatti, si è dimostrato incapace perfino di mostrare il guanto? In realtà Borrell è solo la punta dell’iceberg di un’organizzazione fallita, diventata ormai solo la copertura dell’asse franco-tedesco impegnato a costruire un polo alternativo agli Stati Uniti e all’Alleanza Atlantica.

Mentre Lavrov prendeva a sberle il loro inviato, da Berlino Merkel e Macron mano nella mano facevano sapere che, Navalny o non Navalny, il Nord Stream 2 non era in discussione. Le recenti dichiarazioni del presidente francese, in cui sembrava mettere in dubbio il completamento del gasdotto, si sono rivelate per quello che erano: fumo negli occhi, finte da boxeur di terza categoria, per restare in metafora. Oggi Macron ha ribadito la linea Merkel anche sul dossier Pechino: certo Hong Kong, certo gli uiguri poveretti, ma che strana idea quella dell’alleanza delle democrazie per contenere la Cina; molto meglio proseguire con gli accordi commerciali, che i cinesi si sono impegnati a rispettare. Berlino guarda ad Est, Parigi non vuole perdere il treno, la special relationship con gli Stati Uniti è finita da un pezzo e la scusa di Trump ormai non regge più. Chi ancora crede che l’era Biden porterà ad un riavvicinamento tra le due sponde dell’occidente democratico osservi bene quel che è successo a Mosca ieri: i nuovi orizzonti delineati dal direttorio franco-tedesco valevano il sacrificio in eurovisione del povero Borrell.

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