Massoneria e politica nell’Italia liberale, un saggio di Campagnoli-Galassi

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Nathan

Quell’”oggetto misterioso” che è la massoneria italiana viene dischiuso e analizzato da Monica Campagnoli e Gianmichele Galassi nel saggio “Massoneria e politica. Toscani, deputati e liberi muratori in età liberale” (Edizioni Mimesis), concentrando l’attenzione su una regione nella quale il fenomeno libero-muratorio si è sviluppato con particolare incidenza, la Toscana appunto.

È esistito mai un “partito della massoneria”? Difficile immaginare che in un contesto iper-individualistico come l’Italia una sola istituzione – la Massoneria – abbia potuto conservare nel corso dei decenni un carattere monolitico. Campagnoli e Galassi mostrano come in Toscana la presenza di deputati di appartenenza massonica si sia distribuita tra le varie componenti dell’agone politico: se negli anni della Destra Storica prevalgono i deputati massoni di estrazione moderata, alla fine dell’Ottocento più numerosi sono quelli schierati tra le fila della sinistra costituzionale o della “Estrema” (composta da radicali, repubblicani, socialisti).

A questo punto si pone un secondo dilemma interpretativo: il microcosmo massonico è stato semplicemente lo specchio del più vasto mondo italiano oppure in alcuni punti di svolta ne è stato il motore? La letteratura anti-massonica in effetti tende a considerare ipertrofica la presenza dei massoni, il che paradossalmente potrebbe alimentare il sentimento di autostima dei massoni stessi. Ma se è dilettantesco leggere la storia di una nazione, con i suoi conflitti sociali, e l’irrompere di masse sempre più ampie nello scenario politico, secondo la lente deformante del “complotto massonico”, è pur vero che in alcuni particolari momenti la Massoneria ha anticipato orientamenti che poi hanno segnato l’evoluzione della società italiana.

All’inizio dell’Ottocento determinante è la personalità di Napoleone Bonaparte, per sua volontà si costituisce a Milano il Grande Oriente d’Italia. I due principali esponenti della Massoneria di età napoleonica sono Eugenio, viceré del Regno d’Italia e Gioacchino Murat re di Napoli, per cui in questo periodo la compenetrazione tra vertici istituzionali e logge è pressoché completa.

Con la restaurazione, le logge vengono messe fuori legge e in clandestinità si diffonde la Carboneria con il suo impianto para-massonico. Alla Carboneria aderisce Mazzini prima di elaborare una propria strategia legata all’organizzazione della Giovine Italia.

Nell’anno della proclamazione del Regno d’Italia la libera muratoria oscilla tra due poli: quello di Torino, espressione dei moderati cavouriani, e quello di Palermo, dove fervono gli umori “democratici” dei fedelissimi di Crispi e Garibaldi. Proprio l’elezione di Garibaldi a gran maestro del G.O.I. nel 1864 è funzionale alla congiunzione delle due realtà.

Il profilo sociologico individuato da Galassi e Campagnoli descrive la Massoneria italiana come una realtà interclassista, ma incardinata nella borghesia delle professioni. La Massoneria svolge un ruolo nella nazionalizzazione della borghesia e nel supporto alla nascente democrazia liberale: al non expedit cattolico fa da contrappeso l’invito al voto che proviene dalle logge e anche l’impulso all’estensione del suffragio, poi realizzato dalla sinistra storica.

L’avvento della sinistra costituzionale al potere con De Pretis e Crispi è anche un successo di quella Massoneria “democratica” legata a Garibaldi. A questo punto in Toscana la maggioranza dei deputati massoni si posiziona tra le file della Sinistra e della Estrema.

A Crispi presidente del Consiglio corrisponde Adriano Lemmi gran maestro del G.O.I. Crispi risponde alle aspettative dei massoni con l’approvazione del Codice Zanardelli (che abolisce la pena di morte) e con un confronto decisamente “muscolare” con la Chiesa Cattolica: sono gli anni della inaugurazione del monumento di Giordano Bruno. Maggiori perplessità suscitano le repressioni in Lunigiana e in Sicilia e soprattutto lo scandalo della Banca Romana, nel quale risulta coinvolto lo stesso gran maestro Lemmi (“il banchiere del Risorgimento”, già finanziatore della Repubblica Romana, di Pisacane e dei Mille). Sta di fatto che Crispi cade non per la mano pesante nella gestione dell’ordine pubblico, né per gli scandali finanziari, ma per la sconfitta di Adua nella campagna coloniale d’Abissinia.

Al dopo-Crispi in politica corrisponde l’ascesa al vertice del Grande Oriente di Ernesto Nathan, destinato poi a diventare sindaco di Roma. Nathan ripropone la massoneria come associazione patriottica e in quanto tale ramificata nei settori della pubblica amministrazione, della magistratura, dell’esercito. Il confronto agonistico con la Chiesa Cattolica passa anche attraverso il tentativo di promuovere l’introduzione del divorzio nella legislazione italiana. Ma al di là delle singole battaglie, notano gli autori del saggio, la Massoneria tenta di porsi come mediatrice tra la borghesia e la classe operaia. Un tentativo che avviene proprio quando lo scontro sociale si radicalizza.

Il paradosso è che l’estensione della vita politica alle masse popolari porterà all’emergere di movimenti caratterizzati da una forte vena anti-massonica: il movimento politico dei cattolici per ovvie ragioni, il nazionalismo, il socialismo in alcune sue frange e nonostante che i primi deputati fossero proprio di area massonica (nel campione toscano analizzato, al giro di boa del 1900 risulta eletto il primo deputato massone socialista). E se i cattolici superata nella pratica la fase del non expedit si lasciano coinvolgere in alleanze amministrative di tipo clerico-conservatore, gli ambienti massonici rispondono patrocinando alleanze di tipo laico-riformista.

All’inizio del Novecento si avverte il contraccolpo all’interno della massoneria di queste battaglie. Quando il gran maestro Ferrari impegna i 39 deputati massoni dei diversi schieramenti a votare la mozione del socialista Bissolati contro l’insegnamento confessionale nelle scuole ne deriva una spaccatura destinata ad amplificarsi in scisma. Anche i deputati massoni della Toscana si dividono sulla mozione Bissolati: un deputato della sinistra costituzionale vota contro, a dimostrazione della difficoltà di ricondurre le diverse espressioni della massoneria ad una voce univoca. Alla fine non solo la mozione Bissolati non passa, ma si ingenera quella dinamica che porta, sotto la guida del sovrano del rito scozzese, Saverio Fera, alla nascita di una obbedienza separata: la Gran Loggia d’Italia, la “massoneria di piazza del Gesù”, di orientamento moderato se non esplicitamente conservatore.

All’impresa di Libia voluta da Giolitti, la Gran Loggia d’Italia aderisce prontamente e lo stesso Grande Oriente – respingendo le accuse di legami preferenziali con il movimento dei Giovani Turchi – esprime il suo appoggio. Ma, osserva Gianmichele Galassi, approvare la campagna libica significa esprimere il proprio consenso alla linea di Giolitti, il che suscita come reazione il riaccendersi della polemica anti-massonica nel Partito Socialista. Campione di questa intransigenza anti-massonica è il leader emergente della sinistra massimalista Mussolini, che riesce a far passare nel Partito Socialista una mozione di espulsione dei massoni.

E siamo alla Grande Guerra: dopo un iniziale dibattito il G.O.I. diventa sostenitore della linea dell’intervento e nel Dopoguerra, col gran maestro Torrigiani cerca di riproporsi come luogo di mediazione tra borghesia e organizzazioni di rappresentanza degli operai. Alle elezioni del 1919 i deputati massoni toscani sono in prevalenza socialisti. Ma nelle elezioni di due anni dopo è sostanziale l’equilibrio tra massoni eletti tra le fila socialiste e radicali e quelli che appartengono ai Blocchi Nazionali (liberali-conservatori-nazionalisti-fascisti).

Alcuni massoni sono attratti dal programma di Piazza Sansepolcro dei Fasci, ma proprio il 1921 rappresenta l’inizio della divergenza tra Grande Oriente e Partito Nazional Fascista. Appena entrato in parlamento Mussolini cerca l’intesa con la Chiesa Cattolica, che saluta come erede della tradizione universale di Roma. L’ostilità verso la Massoneria è direttamente consequenziale a questa intesa. Ma è soprattutto la tendenza di Mussolini a creare un regime autoritario con tendenze totalitarie che segna la sorte della Massoneria (anche di quella zeppa di alti gerarchi fascisti come la Gran Loggia d’Italia…). La legge che nel 1925 reprime la Massoneria nel titolo si propone la “Regolarizzazione delle attività delle associazioni”, vale a dire: l’abolizione della libertà di associazione.

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