In un’estate scivolata via tra discorsi frivoli, cronaca rosa e improbabili protagonisti, non ha trovato il giusto spazio una faccenda tremendamente seria: il Digital Services Act (DSA) europeo appena entrato in vigore per le principali piattaforme web e che sarà esteso pure ai siti internet dal prossimo febbraio.
Su Atlantico Quotidiano, eravamo stati tra i primi a denunciare il rischio che questo strumento potesse diventare un modo per controllare in maniera autoritaria le informazioni. Il testo licenziato sembra confermare questi timori di possibile torsione in stile cinese. Checché ne dicano i promotori di questa ennesima iniziativa che mostra ancora una volta il volto illiberale dell’attuale governance comunitaria.
L’ombra della censura
Nato con nobili propositi, per evitare il proliferare di contenuti illegali o la commissione di crimini attraverso social e piattaforme varie, la lettura delle norme mostra il vero volto del DSA riproponendo gli scenari distopici che già abbiamo sofferto in epoca pandemica o nell’ambito del dibattito ambientale. Sorge il sospetto più che fondato che i paletti imposti dal legislatore europeo non siano di natura squisitamente giuridica.
In particolar modo, quando si attribuiscono poteri discrezionali a organismi ibridi come il “segnalatore attendibile”, una sorta di Leviatano che comprende organizzazioni sovranazionali e i famigerati fact-checkers. Senza girarci troppo intorno, spetterà al loro giudizio insindacabile stabilire quali saranno i contenuti che avranno diritto di cittadinanza sui social network o sui siti e quali, invece, dovranno essere espulsi dal sistema.
Siamo alle solite: non si tratta di eliminare semplicemente tutto ciò che va contro la legge ma pure ciò che non è conforme al pensiero dominante. Sarà sufficiente bollare come bufala una notizia per farla magicamente sparire dal circuito digitale. Così come già accaduto quando si dibatteva di origine del virus, vaccinazioni o cambiamenti climatici.
Lo schema della crisi permanente
Lo schema viziato è esattamente lo stesso. Anzi, un articolo si occupa proprio di disciplinare la diffusione delle informazioni nelle fasi emergenziali. Il metodo è quello montiano e prevede l’intervento diretto della Commissione per invitare le piattaforme a pubblicare solo i post “affidabili”. Certo, se il discrimine per stabilire cosa è pubblicabile dovesse risultare analogo a quello usato nell’ultimo triennio, allora l’ombra della censura si allungherebbe sinistramente sull’interno continente.
Gradualmente, davvero stiamo procedendo verso un sistema che “somministra” le informazioni con modalità sempre meno democratiche. Così, si arriverà a instaurare la dittatura dell’algoritmo dietro cui si celeranno coloro che intendono mettere la mordacchia agli utenti social.
In particolare, il riferimento è alla creazione di un Comitato europeo per i servizi digitali che dovrebbe essere autonomo ma di fatto agirà sotto la direzione della Commissione europea. Per cui, sarà sempre il decisore politico a stabilire quando si è presenza di una fake news non meritevole di diffusione. Al di là del fatto che, tra comitati e organizzazioni non governative, si assiste di nuovo al proliferare di strutture burocratiche sulla cui legittimazione democratica si possono sollevare perplessità più che legittime.
Come prevedibile, inoltre, questo processo di controllo capillare dei contenuti subirebbe una decisa accelerazione nell’ipotesi di conflitti, atti di terrorismo, crisi sanitarie o ambientali, limitando pesantemente le attività degli utenti o delle aziende che gestiscono i siti di informazione. Infatti, in caso di violazioni delle regole del DSA, scatterebbero immediatamente le sanzioni: cancellazione dei post incriminati, sospensione dell’account o ripercussioni di carattere economico per le società con il blocco dei finanziamenti o l’inibizione degli spazi pubblicitari.
Altro che tutela della privacy dell’internauta o protezione dalle inserzioni moleste che sarebbero gli scopi dichiarati di questa nuova normativa. Piuttosto, è la dimostrazione che la strada verso l’inferno è sempre lastricata di buone intenzioni. E se si uniscono i puntini, se si associa il DSA allo stato di crisi permanente (“permacrisi” secondo la definizione inquientante di Hans Kluge, capo dell’Oms in Europa) in cui ci vorrebbero costringere, allora c’è poco da stare tranquilli. Il pericolo di censura è dietro l’angolo e può colpire l’utente ignoto come la pagina di un giornale non allineato ai voleri di Bruxelles.
Elezioni già nel mirino
A rendere ancor più allarmante il quadro, ci ha pensato il commissario europeo, Thierry Breton, il quale, in un’intervista a Le Figaro, ha paventato l’utilizzo del DSA anche durante le prossime tornate elettorali. In pratica, l’intento sarebbe quello di evitare ingerenze straniere nel corretto svolgimento delle operazioni di voto. In realtà, l’insidia è che uno strumento così penetrante possa filtrare qualsiasi opinione dissenziente o contraria alla narrazione ufficiale.
Peccato che pochi si siano posti il problema del potenziale cortocircuito tra DSA e libertà d’espressione. Peccato che la maggior parte degli eurodeputati italiani (con l’eccezione dei leghisti) abbiano votato a favore del controllo della rete in barba ai principi della democrazia liberale. Resta il dubbio che non ne abbiano compreso la portata o che magari condividano l’impostazione complessiva di queste norme che consentono anche ai governi nazionali di giovarsene.
Rischio controrivoluzione
Internet avrebbe dovuto rappresentare la rivoluzione, il mezzo per far circolare liberamente le idee, un modo per andare oltre le verità precostituite o le tesi ufficiali. A tutti gli effetti, si sta rivelando una controrivoluzione, il luogo della restaurazione digitale che consente alla politica di schermare gli oppositori e silenziare le critiche.
È una forma di orwellismo contemporaneo in cui chi è al potere si arroga il diritto di decidere ciò che è vero e ciò che non lo è, cosa è giusto e cosa è sbagliato, quello che può essere pubblicato e quello che va rimosso o sanzionato. Da questo punto di vista, la recente fase pandemica è stata un’ottima palestra per sottomettere i cittadini ai voleri dei governanti. Ora, si tratta solo di completare il lavoro.