Fact checking? Il lavoro di sempre. L’arte della spiegazione nell’era social

Parla Ros Atkins, “Explainer-in-Chief” della BBC: valgono le solite regole, dobbiamo sempre assemblare informazioni, verificare e pesare l’affidabilità delle fonti

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atkins

In tempi in cui le informazioni sono sovrabbondanti e sempre aggiornate grazie a internet e social media, qual è il compito di chi fa informazione, sia essa per una testata autorevole, sia per una a diffusione locale o per sua natura verticale?

Explainer-in-Chief

Una risposta viene da BBC News, dove spiccano gli approfondimenti di Ros Atkins. Giornalista che analizza e spiega fatti e temi del momento in una rubrica detta “Explainer”: video della durata da 2 a 10 minuti, realizzati con linguaggio comprensibile anche quando si affrontano argomenti particolarmente complessi.

Il format è stato ideato dallo stesso giornalista britannico, che si è guadagnato la carica di “Explainer-in-Chief” da parte del Times. La sua tecnica è oggi illustrata in un libro che riteniamo sia un must non solo per i giornalisti, ma anche per politici e in generale per tutti coloro il cui obiettivo sia dire le cose chiaramente e farsi capire

Inutile invece per coloro che amano usare molte parole per dir nulla, come a volte ci capita di sentire anche da persone che occupano posizioni di prestigio. Il volume s’intitola “The Art of Explanation: How to Communicate with Clarity and Confidence” (disponibile su Amazon). Abbiamo intervistato Atkins cercando di contestualizzare i suoi consigli alla realtà dell’informazione italiana.

L’arte di comunicare

MARCO HUGO BARSOTTI: Prima di lei, Cicerone si era occupato dell’arte di comunicare. I classici sono stati in qualche modo una fonte di ispirazione?  

ROS ATKINS: Non esattamente, anche se forse avrei dovuto consultarli: senz’altro avrei imparato molto. La mia ispirazione è venuta da chi ho osservato essere in grado di comunicare in modo efficace. Alcuni erano giornalisti, ma molto spesso altre figure, anche considerato che la comunicazione prende numerose forme differenti

MHB: Forse nel solco della “retorica”, molti comunicatori italiani – tra cui i politici – tendono a usare molte parole per dire poco. L’opposto di quanto da lei raccomandato. Pensa sia una caratteristica comune, o una specialità delle culture latine?

RA: Direi che in linea di principio il giornalismo e la comunicazione in genere assumono molte forme diverse. Tenderei comunque a non giudicare i singoli stili: se chi comunica fornisce a chi ascolta informazioni utilizzabili in quanto espresse in forma semplice da comprendere, allora direi che siamo di fronte a un buon comunicatore. Qualcuno in grado di ottimizzare i minuti di attenzione di chi lo ascolta. 

Fact checking: il lavoro di sempre

MHB: La BBC dispone di un’impressionante struttura di giornalisti sul territorio e in redazione, alcuni dedicati al fact checking. Un lusso che non si possono permettere testate minori, dove però il giornalista deve comunque essere in grado di differenziare tra notizie, rumore di fondo e fake news…  

RA: Vero, per certi aspetti la situazione in cui si trovano i giornalisti oggi è nuova: la tecnologia, la diversificazione delle fonti, la quantità di informazione e disinformazione. Direi che l’ecosistema dell’informazione è cambiato e con esso la nostra professione.

Ma per altri aspetti nulla è cambiato: dobbiamo sempre assemblare informazioni, verificare e pesare l’affidabilità delle fonti, effettuare fact checking: il lavoro di sempre. E dunque valgono le consuete regole. 

Cioè, da dove proviene questa informazione? Cosa sappiamo della fonte? Quali sono le prove, i fatti a dimostrazione di quanto stiamo per dire? Ci sono altri che fanno le medesime affermazioni? Qual è il track record della fonte stessa? Chi altro utilizza la stessa fonte? Sono le classiche domande da porsi, sempre attuali.

Crisi dei giornali

MHB: La carta stampata in Italia soffre di una grave crisi, alcuni pensano anche legata alla perdita di autorevolezza, riflessa anche dal Press Freedom Index. Quale è la situazione nel Regno Unito?  

RA: I quotidiani inglesi sono da tempo consci della necessità di disporre di un’offerta digitale importante. Ci hanno lavorato per molti anni. In ogni caso, con l’eccezione del The Independent, dispongono ancora tutti di un’edizione stampata: ma non so quali calcoli stiano facendo per i prossimi anni. 

Per il momento, la questione resta come bilanciare le risorse tra carta stampata e i media digitali: in merito, direi che ogni editoria ha scelto un proprio approccio personale.

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