I burocrati Ue cercano di mettere il bavaglio a Trump e Musk

Lettera minatoria del solito Breton: cerca di censurare un’intervista ad un candidato alla presidenza Usa, su un social media Usa. Ridicolo, ma da non sottovalutare

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Panico a Bruxelles per la conversazione tra Elon Musk e Donald Trump, che è stata trasmessa in diretta su X ieri sera (nella notte in Europa). Poche ore prima, infatti, il commissario europeo Thierry Breton pubblicava proprio su X un’altra delle sue lettere minatorie indirizzate a Musk. Stavolta, però, travalicando i confini dell’Ue, avanzando cioè l’assurda pretesa di far valere gli obblighi del Digital Services Act europeo (DSA) su un evento di campagna elettorale Usa.

La richiesta a Musk, al di là del burocratese Ue, è chiara: “moderare”, ovvero censurare i contenuti dell’intervista a Trump, e i commenti/retweet degli utenti, che Bruxelles ritiene “dannosi”, o pagarne le conseguenze.

Interferenza nelle elezioni Usa

Qualcuno negli Stati Uniti ha parlato di interferenza Ue nelle elezioni Usa. Come ha poco dopo osservato la ceo di X, Linda Yaccarino, “un tentativo senza precedenti di estendere una legge destinata ad applicarsi in Europa alle attività politiche negli Stati Uniti. Che inoltre tratta in modo paternalistico i cittadini europei, suggerendo che sono incapaci di ascoltare una conversazione e di trarre le proprie conclusioni”.

È lo stesso Breton, all’inizio della sua lettera, a mettere in collegamento il richiamo al rispetto del DSA con “la programmata trasmissione sulla tua piattaforma X di una conversazione live tra uno dei candidati alla presidenza degli Stati Uniti e te stesso (Musk, ndr), che sarà accessibile anche agli utenti Ue”. Poiché si tratta di un evento per cui “sussiste il rischio di amplificazione di contenuti potenzialmente dannosi”.

Il “dovere legale” al rispetto del DSA, ricorda il commissario, “significa in particolare garantire, da un lato, che la libertà di espressione e di informazione, inclusa la libertà dei media e il pluralismo, siano effettivamente protette e, dall’altro, che vengano messe in atto tutte le misure di mitigazione proporzionate ed efficaci per quanto riguarda l’amplificazione di contenuti dannosi in relazione a eventi rilevanti, incluso lo streaming live, che, se non affrontati, potrebbero aumentare il profilo di rischio di X e generare effetti dannosi sul discorso pubblico e sulla sicurezza pubblica. Ciò è importante sullo sfondo di recenti esempi di disordini pubblici causati dall’amplificazione di contenuti che promuovono odio, disordine, incitamento alla violenza o specifici casi di disinformazione”.

E “implica anche intraprendere azioni tempestive, diligenti, non arbitrarie e oggettive” nei confronti dei “contenuti illegali”. Qualsiasi “effetto negativo” dei cosiddetti “contenuti illegali”, avverte inoltre Breton, potrebbe comportare l’adozione di “misure temporanee“, oltre ovviamente a influenzare il procedimento già in corso nei confronti di X per violazione del DSA.

Fuori dal linguaggio burocratico, l’Ue sta rivendicando il diritto di bloccare, o comunque punire a posteriori X per aver trasmesso in diretta una conversazione tra Musk e Trump condotta al di fuori del proprio territorio, in quello di un Paese alleato.

Inoltre, come parte della sua giustificazione, Breton ha anche il coraggio di citare “il contesto delle recenti rivolte nel Regno Unito“, un Paese sul quale, dopo Brexit, l’Ue non ha alcuna giurisdizione.

Eppure, interviste e dibattiti tv di Trump, ultimo quello con Biden del 27 giugno scorso, sono andati in onda in tutto il mondo senza che l’Ue sollevasse obiezioni. Ora, una conversazione aperta, senza filtri, tra Musk e Trump su X diventa una minaccia.

E ve la immaginate la Commissione europea mandare una simile lettera al direttore di una tv europea o americana, o di un giornale, prima di trasmettere o pubblicare un’intervista ad un leader politico?

Qui non si tratta di proteggere i cittadini europei, ma di uno sfacciato tentativo di controllare il dibattito pubblico e intimidire Musk.

Contenuti illegali o reati d’opinione?

Tra l’altro, non c’è bisogno di alcun DSA per contrastare i “contenuti illegali” sulle piattaforme social. Perché non esistono “contenuti illegali” al di fuori di quelli ritenuti tali dalle legislazioni nazionali e già perseguibili a norma di legge. In Italia, ad esempio, i contenuti diffamatori perseguibili dietro querela di parte e pochi ristretti casi come l’istigazione a delinquere e il procurato allarme. Ma un contenuto falso, o che esprime odio, non è di per sé illegale.

Al di fuori dei “contenuti illegali” già oggi perseguibili senza DSA, si entra nel campo scivoloso dei reati d’opinione, dei ministeri e ministri della verità che stabiliscono cosa è vero e cosa è falso.

Minaccia da non sottovalutare

Questa ennesima lettera pone con urgenza un interrogativo ai governi europei: rientra nei compiti dei commissari europei cercare di censurare un’intervista ad un candidato alla presidenza degli Stati Uniti, trasmessa su una piattaforma social Usa, quindi interferire apertamente nella campagna presidenziale americana?

Ora, si può liquidare questa lettera come ridicola, patetica, come in effetti è. Ma sarebbe riduttivo. Perché la Commissione europea, attraverso il DSA, si è conferita il potere di sanzionare le piattaforme social con multe salatissime, tali da condizionarne le policies e il business, fino al blocco totale. Il potere, quindi, di controllare o reprimere il discorso pubblico.

Ecco come quello che in origine era un accordo di libero scambio tra nazioni europee sovrane si sta trasformando nella più grave minaccia alla libertà d’espressione e alla libertà economica che l’Europa occidentale abbia conosciuto dal secondo Dopoguerra e l’Europa orientale dalla caduta del Muro.

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