Mentre l’anno volge al termine, i tempi sarebbero maturi per interrogarsi sulla piega pericolosa che ha preso il dibattito pubblico nel nostro Paese. La cronaca degli ultimi giorni ha dimostrato plasticamente come ormai l’ideologia sovrasti la notizia e come il politicamente corretto divori il pensiero critico.
Fedez-Davigo
Per cui, non c’è neppure da meravigliarsi che Fedez intervisti Piercamillo Davigo né del fatto che non sia stato in grado di imbastire un minimo di contraddittorio su delle dichiarazioni più che discutibili. Nemmeno un inguaribile ottimista si sarebbe aspettato dal rapper prestato al podcast un duello sullo stile di Frost contro Nixon ma neppure tanta arrendevolezza.
Il vero dramma è che l’informazione mainstream si indigna a comando e a giorni alterni. Così, è passata in cavalleria l’affermazione sui suicidi in carcere che avrebbe dovuto sollecitare le coscienze di tanti editorialisti sempre pronti a storcere il naso ma, insolitamente, silenziosi un questo caso.
Il moralismo sopra al diritto
Adesso va di moda la lotta al patriarcato e il garantismo diventa un trascurabile dettaglio per cavillosi giuristi. Per cui, ogni occasione è buona per rilanciare la narrazione benedetta anche da Fabio Fazio nella sua trasmissione traslocata sul Nove, senza possibilità di poter articolare alcuna opinione contraria di fronte al granitico teorema che colpevolizza qualsiasi uomo quasi come se ci fosse una sorta di correità morale con chi compie atti delittuosi. In questo modo, si scardina pure il principio della responsabilità personale fungendo, paradossalmente, quasi da attenuante per i comportamenti individuali.
Ha destato, invece, molto scalpore il controesame del difensore di uno degli amici del figlio di Grillo nel processo in cui gli stessi sono accusati di violenza sessuale. Come spesso accade, il moralismo prevale sul diritto e tanti illustri commentatori dimenticano alcuni dei principi fondamentali sanciti pure a livello costituzionale: il diritto al giusto processo, il fatto che la prova si forma nel dibattimento in contradditorio tra le parti e la presunzione di innocenza tanto per citare i più rilevanti.
Non si tratta solo di un problema “culturale” ma anche più squisitamente politico perché, come abbiamo imparato a nostre spese durante la lunga stagione del Covid o nelle discussioni eco-orientate, alla pressione mediatica segue sempre una torsione illiberale. Un meccanismo perverso e collaudato fa scattare un riflesso pedagogico che condiziona pesantemente le nostre esistenze e, con esse, i nostri diritti.
Censura e autocensura
In certi casi, ci si autocensura per timore di essere etichettati o, peggio ancora, messi alla gogna per il semplice tentativo di uscire al di fuori del recinto politicamente corretto. In altri, ci pensa l’algoritmo che governa i social network a silenziare o rimuovere i contenuti sgraditi.
In questo caso, il lavoro dei famigerati fact-checkers è facilitato dalla normativa europea che, trincerandosi dietro la lotta alle fake news, ha introdotto il Digital Services Act (legislazioni analoghe sono state approvate o sono in via di approvazione anche nel Regno Unito e negli Usa come in altri Paesi democratici), già attivato dal commissario Breton. Ciò significa che lo spazio per il free speech sarà ulteriormente ridotto e perimetrato severamente dai guardiani del pensiero omologato.
Il cancel speech
Per cui, c’è il rischio concreto di passare rapidamente dalla già detestabile cancel culture al cancel speech, l’azzeramento di ogni dibattito e confronto. Così, i principali mezzi di informazione (social compresi) avranno il potere di condizionare l’opinione pubblica e di indirizzare il decisore politico verso scelte poco democratiche e spesso contrarie agli interessi della popolazione. In questo senso, il tremendismo sanitario e l’estremismo ambientalista sono stati solo un antipasto di quello che potrà accadere nei prossimi anni.
Non ci sarà nemmeno più bisogno di un’emergenza (vera o presunta) ma sarà sufficiente orientare i cittadini attraverso narrazioni manichee tese a escludere dal confronto chi non si allinea. Così sarà più agevole somministrare ricette amare spacciandole per salvifiche con tanto di coro unanime degli editorialisti e influencer à la page (le cui figure tendono a confondersi). È il prossimo futuro, quello che ci attende già dal 2024 ormai alle porte. È il futuro e, come cantava con angoscia Leonard Cohen, non è per niente rassicurante.