Il nuovo nemico dei grandi editori: l’Intelligenza Artificiale

Il punto dolente ben spiegato dallo stesso New York Times: che succede ai giornali se i lettori si accontentano della risposta di un chatbot?

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Esiste davvero Dan Brown, l’autore del “Codice da Vinci”? L’inquietante dubbio ci viene leggendo quanto affermato da Umberto Eco in un’intervista che avrebbe rilasciato nel 2008 a The Paris Review

INTERVISTATORE: Ha letto “Il Codice Da Vinci”? 

ECO: Sì, sono colpevole anche di questo. L’autore, Dan Brown, è un personaggio del Pendolo di Foucault! L’ho inventato io. Condivide le affascinanti ossessioni dei miei personaggi – la cospirazione mondiale di rosacroce, massoni e gesuiti. Il ruolo dei Cavalieri Templari. Il segreto ermetico. Il principio che tutto è connesso. Io sospetto che Dan Brown potrebbe non esistere affatto. 

Se il sospetto si rivelasse fondato allora i romanzi di Brown sarebbero stati probabilmente scritti da Eco, che dovrebbe dunque beneficiarne economicamente. Oppure Brown si è solo ispirato (anche) a Eco, un’ipotesi che ci pare più probabile. Ebbene, anche in questo caso Eco (o i suoi eredi) dovrebbero reclamarne i diritti, se seguissero la logica della recente causa del New York Times contro OpenAI, la maison-mère di ChatGPT

Le motivazioni

La stampa internazionale ha recentemente riportato con grande enfasi la notizia dell’azione legale intentata appunto dal New York Times (NYT) contro OpenAI e Microsoft, le società che hanno creato ChatGPT e Copilot. Motivazione: “Uso illegale dei propri contenuti per creare prodotti di IA che competono con quelli della testata, minandone la possibilità di fornire in futuro il proprio servizio”.

Nel documento del NYT si legge: “Questi prodotti sono stati creati copiando e usando milioni di articoli coperti da copyright, inclusi editoriali, indagini, recensioni, guide ed altro. Il NYT è stato preferito ad altre fonti in quanto i propri contenuti sono stati considerati di grande valore”. 

In altre parole, nella fase di training dei modelli quali GPT-4 si sarebbero utilizzati contenuti gratuiti e a pagamento (quelli dietro il famoso “paywall”), senza nulla corrispondere all’editore. 

A dimostrazione viene fornito un esempio, riportato qui sotto, dove si evince che in determinati casi, ad una domanda (non specificata) GPT-4 risponde, parola per parola, con le medesime frasi di passati articoli del NYT.

Tutto vero? A noi non risulta. Abbiamo passato lunghe ore a cercare di replicare il misfatto, ma in nessun caso ChatGPT ha ripetuto neppure lontanamente le frasi del quotidiano statunitense. Invitiamo comunque tutti i lettori a effettuare qualche prova in prima persona – magari cercando di replicare articoli di quotidiani nazionali – e raccontarci nei commenti i risultati ottenuti. 

La Repubblica e Craxi

Noi ci abbiamo provato con l’articolo di Repubblica intitolato “Dalle pareti in radica alla cassaforte, l’ufficio di Craxi con vista Duomo” . Risultato: l’articolo viene riscritto da ChatGPT in modo totalmente differente dall’originale – e in modo più favorevole all’ex segretario del PSI. Per chi fosse incuriosito ecco la versione di ChatGPT

Questi locali, oggi parte del patrimonio pubblico, conservano la memoria di un periodo significativo nella storia politica italiana e sono aperti a visite e iniziative culturali che permettono al pubblico di immergersi nella storia di Bettino Craxi e nell’ambiente che ha caratterizzato il suo mandato politico.

Anche senza leggere l’originale il lettore capirà facilmente che non si tratta del testo del quotidiano fondato da Eugenio Scalfari.

Il punto critico 

Il NYT sembra sostenere che il solo fatto che la IA di OpenAI ha letto i propri articoli comporta un diritto a ricevere royalties, proprio come nel nostro provocatorio esempio Eco vs. Brown. Il punto dolente per il NYT (e la stampa in genere) è uno, ben spiegato in un articolo del New York Times medesimo:

Il giornale esprime preoccupazione sul fatto che i lettori si accontenteranno di una risposta da un chatbot e rinunceranno a visitare il sito web del The Times, riducendo così il traffico sul web che può essere convertito in entrate pubblicitarie e di abbonamento.

Equo compenso

Veniamo ad una notizia apparentemente separata. In un articolo del 22 dicembre, l’agenzia Reuters afferma che Apple avrebbe iniziato una serie di confronti con i fornitori di contenuti per definire un equo compenso. L’azienda che ha inventato il personal computer avrebbe fatto una prima proposta del valore di 50 milioni di dollari al fine di ottenere il permesso di utilizzare materiale degli editori per lo sviluppo della propria IA. Reuters non specifica se per editore o per l’insieme di questi (quasi fosse un dettaglio secondario).

Rifacendosi ad un altro articolo, nuovamente del NYT, si può leggere l’elenco delle testate interessate: Condé Nast, editore di Vogue e The New Yorker; NBC News; e IAC, che possiede People, The Daily Beast e Better Homes and Gardens.

Apple si è dunque rivolta a selezionati grandi editori, scegliendoli direttamente. Non ad un’organizzazione di settore, né tantomeno al legislatore. Un fatto non dissimile a quello delle royalties retrocesse (a nostro avviso senza merito) a selezionati editori da parte di Google, come avevamo raccontato a suo tempo sulle pagine di Newslinet.

Il punto è lo stesso. I piccoli editori non hanno alcuna voce in capitolo. Indubbiamente anche i loro contenuti sono indicizzati e/o letti e digeriti dalle IA. Ma – appunto – essendo piccoli non hanno alcun modo di chiedere nulla ai giganti del web e delle IA. Lo affermiamo con cognizione di causa in quanto – proprio per la testata che ha riportato l’articolo sopra citato – abbiamo reiteratamente cercato di essere inseriti da Google Italia nella lista delle testate remunerata, ottenendo solo cortesi risposte evasive. 

Conclusioni 

È giusto o meno essere retribuiti per il presunto utilizzo di propri contenuti originali (che peraltro spesso tali non sono) da parte delle IA? A nostro personale parere no, ma se la risposta fosse invece sì, se i grandi editori storici iniziassero a essere remunerati da chi ha creato le più grandi IA oggi esistenti (che – ricordiamolo – non sono solo ChatGPT) allora anche le testate indipendenti o gli editori medio piccoli, dovrebbero attivarsi subito per chiedere la loro parte. Per non morire in un mondo di sole Repubbliche o Corrieri della Sera.

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