La falsa neutralità della BBC che sposa la narrazione di Hamas

Il rifiuto di chiamare “terroristi” i membri di Hamas non è neutralità linguistica, ma un’influenza deliberata nella percezione della realtà da parte del pubblico

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John Reith, il fondatore della BBC, dichiarò una volta in modo conciso che lo scopo della televisione pubblica è quello di “educare, informare e intrattenere”. Tuttavia, come osserva sagacemente Robert Philpot in un recente articolo per il Times of Israel, “la copertura della BBC del conflitto tra Israele e Hamas sembra carente sui primi due aspetti”.

Auntie Beeb sembra non comprendere la vera natura del nemico e merita, scrive Philpot, l’accusa di “ripetere pappagallescamente la propaganda di Hamas“. L’ex primo ministro israeliano Naftali Bennett ne ha denunciato una evidente mancanza di “chiarezza morale”.

La difesa della BBC

In difesa della BBC, il caporedattore esteri, John Simpson, sostiene dal sito web dell’azienda che l’evitare il termine “terrorista” per descrivere i miliziani di Hamas si allinea con i principi fondamentali della BBC. Simpson argomenta che “terrorismo” è un termine politicamente orientato, mentre il ruolo della BBC è presentare i fatti in modo imparziale, evitando approvazioni o condanne morali.

Pur riconoscendo che Hamas è designata dal governo britannico come organizzazione terroristica, la BBC evita di utilizzare tale designazione, per promuovere l’oggettività e consentire al pubblico di formare opinioni indipendenti. Questo approccio, sostiene Simpson, è coerente con l’impegno storico della BBC all’imparzialità, anche durante periodi tumultuosi come la Seconda Guerra Mondiale e il conflitto in Irlanda del Nord contro il gruppo terroristico dell’IRA.

L’influenza del linguaggio

La difesa di Simpson non è per nulla convincente. La sua posizione evita una questione più profonda: l’influenza innegabile del linguaggio sulla nostra percezione del mondo. La scelta della BBC di un linguaggio “neutro”, apparentemente per permettere agli spettatori di formare le proprie opinioni, è un approccio fallace. Il linguaggio non è mai neutro; ogni parola ha un peso, porta un pregiudizio e riflette una idea di mondo.

Le teorie del filosofo Sir Karl R. Popper sulla semantica sottolineano questa prospettiva, enfatizzando che le parole non sono meri descrittori ma plasmano attivamente la realtà. Il rifiuto di etichettare i terroristi come tali non è un atto benigno di neutralità linguistica; è un’influenza deliberata su come percepiamo e comprendiamo il mondo.

Le parole, spiegava Popper, costruiscono narrazioni e influenzano la nostra realtà condivisa. Rinunciando a etichettare i terroristi, la BBC assume implicitamente una posizione che distorce la verità e offusca la realtà. In un mondo ideale, il linguaggio potrebbe essere neutro, ma nel nostro mondo le nostre parole portano il peso della storia, della cultura e della politica.

Rinuncia alla responsabilità

L’uso da parte della televisione pubblica di un linguaggio “neutro” non è una ricerca oggettiva; è una rinuncia alla responsabilità che nega al pubblico la chiarezza e la verità che questo merita.

La BBC deve riconoscere l’importante impatto delle parole che sceglie di usare. Il linguaggio partecipa attivamente alla costruzione della nostra realtà. Rifiutarsi di utilizzare il termine “terroristi” non è una ricerca di neutralità; è un’approvazione dell’ambiguità, un danno al pubblico e una deviazione dalla chiarezza morale richiesta dalla situazione di un conflitto che sta infiammando le piazze occidentali.

Non lasciamoci ingannare dall’illusione della neutralità linguistica; piuttosto, dobbiamo esigere un impegno per la chiarezza morale, proprio come giustamente esorta Bennett.

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