Il fenomeno della comunicazione personale e sempre più portable, aperta a chiunque, presenta caratteri di unicità nella storia dei popoli. Poco o niente preparati alle conseguenze della rivoluzione della comunicazione globale, la gente di tutto il mondo, e persino quella del terzo, affronta inconsapevole ed ignara dei pericoli un vero e proprio cambiamento di vita, un nuovo percorso cognitivo e formativo che ha stravolto, nel giro di pochi anni, il patrimonio comportamentale dei popoli, ricchi o poveri che siano.
Non è casuale la scelta del termine “patrimonio”, sopra indicato, bensì frutto di un ragionamento su quel corpo quasi-omogeneo di conoscenze culturali che formano la ricchezza di una civiltà, come suo patrimonio che la solleva dall’infimo livello della forza bruta alla consapevolezza del vivere secondo regole, non soltanto scritte, per “vivere meglio”.
La perdita della vista
Come mio solito, ricorrerò ad esempi che possano meglio descrivere lo spunto di riflessione di queste righe. I sensi umani sono, che si sappia, cinque, al netto del c.d. “sesto senso” e del paranormale per chi ci creda. Parliamo della vista. Fino a quando l’uso del telefonino non divenne il primo strumento a discernere l’uomo dalla bestia, si guardava qualcosa e, soltanto in seconda battuta ed eventualmente, la si fotografava, filmava, dipingeva o descriveva con appunti descrittivi.
Ci siamo, fin qui? Ok. Il telefonino e i computer in genere nacquero come beni strumentali, succedanei di altri mezzi di comunicazione e, per gli economisti, come beni fungibili. Era qualcosa che si affiancava ad altre millenarie forme di comunicazione e documentazione. Sappiamo cosa sia diventato oggi il telefonino: padrone incontrastato delle nostre vite.
Parlavamo della vista, ossia di qualcosa di assolutamente essenziale per una vita augurabile. E cosa accade oggi? Che si tratti di un evento sportivo, d’un fenomeno naturale o una catastrofe, come per una scena colma di tenerezza, prima la si riprende col telefonino e soltanto eventualmente la si rivive dal suo piccolo schermo a cristalli liquidi. Vi pare poco?
Sembrerà una banalità, ma non lo è affatto: basti pensare a quanti incidenti accadono ogni giorno e quante vittime fa l’abitudine di riprendere con lo smartphone una data scena, senza minimamente curarsi di tutto quanto non sia inquadrato in quei pochi centimetri dello schermo digitale. Non credo di essere l’unico al mondo ad accorgersi di come tutti, grandi o piccini che siano, messi al cospetto con qualcosa di notevole, non guardino cosa sta accadendo mediante la visione diretta, binoculare, tridimensionale fornitaci dagli occhi, ma si limitano a tenerla inquadrata nello schermo del cellulare come prima opzione, primissima reazione. Tutti reporter.
Fateci caso a qualsiasi manifestazione sportiva, di spettacolo o di cronaca: pochissimi guardano cosa sta rappresentandosi davanti ai loro occhi, ma tutti la riprendono. Il risultato tecnico è molto spesso più che modesto e gran parte della complessità di una scena con molti oggetti o viventi in un luogo determinato, si perderà. Si perdono elementi, a volta determinanti, per una serie non trascurabile di elementi tecnici (ampiezza di campo, necessità di riprendere la scena muovendo braccia e gambe ecc.) e non è di questo che parliamo oggi. Non ci addentreremo neppure nei meandri della patologia psichiatrica parlando di quelli che fotografano qualsiasi cosa mangino, no, no…
Parliamo di tutt’altro, e possiamo esprimerlo in poche parole. Preoccupati di riprendere più che di guardare, alla maggior parte degli abitanti della Terra pare di aver fatto un enorme passo in avanti utilizzando tecnologie impensabili per Bartali e Coppi, pur ammettendo di non aver visto in tempo reale qualcosa con la strabiliante potenza di due occhi collegati al cervello, ma di averla, per fortuna, ripresa – più o meno bene- col cellulare.
Non si scappa. Bisogna riprendere ciò che lo meriti, per farne un uso successivo, che il più delle volte è quello di “postarlo” sui social. Ma rimane il fatto che sempre meno si guarda qualcosa e che spesso ci si penta di non averla semplicemente guardata con gli occhi, cogliendone l’interezza.
Disabituati ad osservare con gli occhi e a lasciare che vi s’imprimano nella mente certe fattezze, certe minuzie, certi colori, siamo sempre meno buoni osservatori, attenti ai particolari e capaci di descriverli se non li abbiano anche filmati. Non dico certamente nulla di straordinario quando affermo che le nuove generazioni non sanno usare la penna perché non scrivono mai, se non tramite una tastiera. Una frase, ma che dico… un carattere vergato a mano in un certo modo, apre un mondo per chi ha occhi per capirlo e goderne. Altro che font …
Il sempre minore utilizzo di un senso lo atrofizza in fretta. Quando, osservando una scena o una persona, non si possano mettervi sopra pollice e indice per zoomarla e si sia persa la piacevole e vivificante abitudine di osservare con attenzione e curiosità il mondo e le persone che ci circondano, ci priveremo di una delle gioie della vita, una di quelle che non abbisogna di batterie cariche e credito telefonico.
Fate anche voi quest’esperimento: “sequestrate” lo smartphone all’amico o familiare subito dopo che egli abbia appena ripreso l’arrivo di una competizione sportiva e chiedetegli chi abbia vinto. Vogliamo scommettere che la maggior parte delle vostre “vittime” non sapranno dirvelo con certezza: non stavano guardando la scena con l’ampiezza dei quasi 180 gradi del campo visivo umano, ma soltanto con quella, ben più ristretta e fatalmente deformata, dell’obiettivo del loro smartphone.
Non mi si dica, a questo punto, che i più bravi tra voi riescono a tenere il telefonino all’altezza della spalla e, di conseguenza, possono anche guardare direttamente la scena mentre riprendono. Non è di tecnica che vorrei parlare. Mi riferisco, al contrario, alle motivazioni o pulsioni inconsce che ci spingono a rinunciare al pieno utilizzo del nostro più potente senso anche in circostanze affatto particolari e meritevoli di memoria. Già: la memoria…
La perdita di memoria
Dando per scontato il concetto – un po’ semplicistico – che i computer siano principalmente fatti di sempre più potenti memorie elettroniche, e che gli smartphone siano computer come gli altri, ritorniamo nel campo dell’analisi sociale, affermando, con ragionevole certezza, che sempre meno esercitiamo la memoria organica della quale siamo gratuitamente dotati, delegando a custodire e ripescare i ricordi le memorie digitali.
Fate mai caso a quanta dovizia di particolari snocciolano certi anziani quando parlano della loro gioventù? Ne saremo capaci noi in un futuro anche abbastanza prossimo? No, non illudiamoci. Già non ricordiamo dove, di preciso, abbiamo scattato una delle migliaia di foto dell’estate scorsa… Per questo ci sono i metadati, no?
Un senso dopo l’altro, pian piano, ce li stiamo giocando tutti, i già pochi cinque. Perché semplicemente guardare l’arrivo della corsa ciclistica, rischiando di dimenticare i particolari dopo qualche mese, quando posso registrarla e riguardarla – non solo io, oltretutto – migliaia di volte e semplicemente estraendo il telefonino dalla tasca? Questo è il punto.
Praticità ai danni della qualità
Come già scritto anni addietro su queste pagine, capita lo stesso per la musica. Perché spendere un sacco di soldi per un buon impianto stereo e relativi supporti di qualità, quando la musica la posso sentire anche seduto sul water, dal telefonino? È lo stesso, identico, punto: si sacrifica in qualità a favore della praticità.
Vogliamo avere sempre tutto a portata di mano e in qualunque momento. Mi accontento di guardare un tramonto sulla webcam online, invece che darmi da fare per vederlo dal vivo in quel posto. Anche in questo caso non si scappa. Vale per il cibo, per i viaggi, persino per le scelta di certi partner: ci si accontenta di quanto sia più comodo e, possibilmente, a buon mercato.
Lasciatemi esporre un’ultima considerazione che attiene alla mania dell’uso documentativo del cellulare, dal suo scranno di simbolo caratterizzante la nostra epoca.
È vero, quando arrivavano i ciclisti a 90 km/h non ho visto bene chi ha tagliato per primo il traguardo, perché stavo riprendendo col cellulare; però io, Furbo de Furbis, tre minuti dopo, mandavo già il filmato a rassegnati parenti, sedicenti amici e persino a impassibili totali sconosciuti. Sorge, tuttavia, minacciosa e implacabile la domanda: “Ma cosa diavolo pensi che importi ai destinatari del tuo video fatto di riprese traballanti e sbilenche, col sonoro pieno dei minchia di quelli che stavano nei pressi dell’arrivo?”
Nulla, assolutamente ed irrimediabilmente nulla. Nemmeno quella scusante abbiamo. Ma il sacro fuoco del dovere civico di comunicare al mondo i cavoli nostri, o quanto abbiamo ripreso con maestria e buon gusto, arde, arde … e se col braccio proteso armato di telefonino facciamo cadere il campione di ciclismo, poco importa, anzi, magari gli chiedo i danni per le 178 rate che devo ancora pagare…
La ripresa col telefonino viene prima di tutto e tutti. Che, magari il telefonino abbia una qualità delle chiamate telefoniche da far cagare, non importa un altro bel fico secco: l’importante è che ci permetta di filmare, filmare, filmare. Ben vengano debiti per anni per comprarlo. E i ciclisti? Possono andare tutti a…