Magia e neo-tribalismo dei media digitali

I lati “umani troppo umani” dell’utopia digitale: le piattaforme, di cui Facebook è forse l’archetipo, assolvono funzioni che erano tipiche della tribù

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I media costituiscono la nostra finestra sul mondo. Ed oggi, è l’ambiente in cui viviamo ad essere così permeato dal medium – analogico e digitale – da divenire spazio mediatizzato.

Cornice mediale

Nel passato, lo spazio in cui i tre attori dell’arena pubblica interagivano, era concettualmente rappresentato da tre sfere intersecate. Ma ora, nel modello mediatizzato, sono i media a diventare la cornice entro la quale politica ed opinione pubblica dialogano. Che poi, dialogare non sia forse il termine più esatto per un dibattito pubblico incivile – disinformato e polarizzato, è tutt’altra storia.

Ma credo di rendere l’idea, quando parlo di cornice mediale. Dei media come – usando l’espressione del prof. Bovalino – “liquido amniotico” in cui siamo perennemente immersi. Della mediatizzazione della politica, e più in generale, della società nel suo complesso.

È nello spazio mediatizzato che stringiamo ed intessiamo le nostre relazioni. Ed è dentro la cornice “amniotica” dei media che prendono corpo le visioni collettive del mondo.

Valvola di sfogo

L’immagine che abbiamo di noi stessi è, in fondo, quella che cerchiamo di trasporre nelle nostre pagine social. Da semplice strumento di comunicazione, i media sono diventati mezzo di introspezione. Valvola di sfogo per le nostre passioni, i nostri impulsi, le nostre inclinazioni.

Ed è per questa loro funzione ambivalente, che sfugge ad una definizione precisa, che si può leggere l’ambiguità semantica del “medium”, che è sia mezzo di comunicazione ma anche strumento dotato di poteri soprannaturali, magici.

Il paradosso genetico di tutti i media

C’è una contraddizione, un paradosso genetico che ha segnato tutti i media che seguirono la stampa a caratteri mobili inventata da Gutenberg. Già dalla fotografia era evidente: frutto dell’ingegno, del tratto razionale – Nietzsche avrebbe detto Apollineo – dell’uomo, la fotografia consente di recuperare il versante oscuro, dell’irrazionalità Dionisiaca.

Permettendo ciò che la ragione impedisce di pensare: isolare un attimo del tempo, fissarlo per sempre nella nostra mente attraverso un’immagine ripetibile.

Lo stesso di può dire del cinema e più tardi della televisione: grande scoperta tecnica, ma anche strumento con cui è possibile vedere nel grande e piccolo schermo degli ologrammi – dei fantasmi – di noi stessi.

Le comunità neo-tribali

Arrivando al digitale, che è la forma più pura dell’Apollineo, quindi della razionalità umana, il suo effetto, di riflesso, è quello di aver ricreato un ambiente primordiale, delle comunità neo-tribali nelle quali riemerge con forza il lato oscuro dell’uomo.

Accelerando al massimo il ritmo dell’innovazione tecnologica si sta sognando di creare una società in cui l’uomo e la macchina diventeranno complementari. Un mondo virtuale parallelo a quello reale, fatto di droni e cyborg intelligenti. Di algoritmi che selezionano il personale da reclutare nelle aziende e guidano il processo decisionale.

La degenerazione di Facebook

Ma nel frattempo, forse non ci si è accorti, o probabilmente non si vuol vedere, tutte le disfunzioni, i lati “umani troppo umani” che l’utopia digitale ha prodotto.

Che Facebook non sia diventata – come nei piani del suo fondatore – la nuova Atene, credo sia abbastanza evidente. Piuttosto, la degenerazione del modello deliberativo ed inclusivo a cui faceva riferimento Mark Zuckerberg: il luogo delle bolle informative che ci rinchiudono dentro un’unica visione del mondo; l’ambiente dove prendono forma i discorsi d’odio; il contesto in cui circolano teorie cospiratorie; il frame formale che rimanda ad un frame informale, il dark web, dove proliferano illegalismi di ogni genere.

Le piattaforme – di cui Facebook è forse l’archetipo – sono luoghi neo-tribali dal momento che consentono, assolvono funzioni che erano tipiche della tribù: raccontare storie; condividere immagini e pensieri; unirsi nella gioia e nel dolore; gratificare gli impulsi carnali.

Il totem della nuova cultura

Anche l’Internet of Things – come la celeberrima Alexa – è in fondo una versione 2.0 della bacchetta magica, dello “specchio delle mie brame“ che risponde alle domande che le poniamo, asseconda i nostri desideri.

Forse l’iPhone è il vero sunto di questo ragionamento: avendo in se stesso incorporate tutte le funzionalità tipiche dei media analogici – come fotografare, registrare, riprendere – e di quelli digitali – ad esempio interrogare Siri, interagire con altri dispositivi connessi in rete – potremmo dire che iPhone è il totem della nuova cultura – a tratti religiosa – digitale.

L’apice dell’innovazione

La dimensione magica e neo-tribale dei media – analogici e digitali – è quindi il simbolo di quel versante Dionisiaco che è riemerso dopo aver cercato di spingere l’Apollineo verso forme sempre più sofisticate e complesse.

Quasi a far presagire che il punto più elevato dell’innovazione tecnologica sarà il momento in cui l’uomo avrà forse recuperato – in un mondo probabilmente abitato da macchine intelligenti – la consapevolezza della sua natura. Fragile e sensibile, ma in definitiva, l’unica in grado di oscillare – come un pendolo – tra fede e ragione, terreno e spirituale, immanente e trascendente.

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