Grande clamore per la sospensione temporanea da Twitter degli account di alcuni giornalisti di testate liberal, tra cui New York Times, Washington Post e Cnn. La notizia è addirittura rimbalzata al di qua dell’oceano meritandosi i titoli di agenzie e siti, e persino l’attenzione della Commissione europea, come vedremo, con il seguente spin: “Musk censura i giornalisti”.
La cosa sarebbe divertente se non fossimo davanti all’ennesima dimostrazione della faziosità e della totale malafede della stampa “autorevole”.
L’ipocrisia
Per anni i giornalisti e i media di sinistra hanno ignorato, anzi negato il problema della censura politica su Twitter, e sui social in generale. Hanno completamente ignorato quanto emerso proprio in questi giorni dai Twitter Files: contenuti censurati e account conservatori sospesi in modo permanente, a partire da quello dell’allora presidente Donald Trump, su base politica e con procedure arbitrarie.
Ora stanno letteralmente perdendo la testa per la sospensione temporanea di alcuni account per la violazione di una sacrosanta regola anti-doxxing – preesistente alla gestione Musk. Regola che, come ha dovuto ricordare lo stesso Musk in una chat aperta con gli interessati, vale anche per i giornalisti.
Apriti cielo! “Musk censura i giornalisti”, è la mistificazione che sta passando. Si potrebbe liquidare la polemica ricordando l’adagio non fare (o chiedere che venga fatto) agli altri ciò che non vorresti venga fatto a te.
Cioè, se si trattasse davvero di censura, comunque quei giornalisti di sinistra sospesi e molti loro colleghi non avrebbero titolo a lamentarsene avendo chiuso gli occhi, anzi giustificato e persino invocato la censura delle piattaforme social su temi che spaziano dalle elezioni presidenziali al Covid e ai vaccini.
Triplo salto mortale anche della Commissione europea, che un paio di settimane fa, in una videocall con Musk, aveva minacciato di “spegnere” Twitter se non avesse continuato a censurare contenuti e utenti, mentre oggi la commissaria Vera Jourova parla di “sospensione arbitraria dei giornalisti” e chiede “il rispetto della libertà dei media e dei diritti fondamentali”.
Ribaltamento della realtà
Qui siamo di fronte ad un ribaltamento completo e spudorato della realtà. Non si tratta minimamente di una censura “politica”, né di “sospensioni arbitrarie” – come quelle emerse invece dai Twitter Files, per le quali però nessuno si è “preoccupato” – ma dell’applicazione di una regola a tutela della sicurezza “fisica” degli utenti.
Queste sospensioni, tra l’altro, dimostrano come con Musk Twitter non sia affatto diventata quella piattaforma “senza regole” e pericolosa che gli rimproveravano i suoi detrattori.
Il doxxing
Cosa si intende per “doxxing”? Pubblicare su internet informazioni private sensibili come forma di sanzione o intimidazione. In questo caso, parliamo di tracciare in tempo reale la posizione delle persone e renderla pubblica sui social.
Chiunque può comprendere la delicatezza del tema: si tratta di una informazione sensibile che può facilitare, o addirittura istigare, il piano criminoso di qualche malintenzionato.
“Criticarmi tutto il giorno va benissimo, ma doxxare la mia posizione in tempo reale e mettere in pericolo la mia famiglia non lo è”, ha twittato Musk, dopo aver rivelato che il figlio mercoledì scorso è stato pedinato da uno “stalker pazzo (pensando che fossi io), che in seguito ha bloccato l’auto e si è arrampicato sul cofano”.
Musk si è rifiutato di concedere ai “giornalisti” uno status speciale che li esentasse dal rispetto della regola anti-doxxing:
Non ci sarà alcuna distinzione in futuro tra giornalisti, semplici giornalisti e gente normale. Tutti saranno trattati allo stesso modo. Non sei speciale perché sei un giornalista. Su Twitter sei solo un cittadino, quindi nessun trattamento speciale. Doxxi? Vieni sospeso, fine della storia.
E chiaramente ciò include riportare, retwittare o linkare i dati sensibili diffusi da altri, aggirando il divieto.
Dati pubblici?
Mercoledì Twitter aveva bloccato l’account ElonJet, e quello del suo autore, Jack Sweeney, che si diverte a tracciare i movimenti del jet privato di Elon Musk – il quale ha poi fatto sapere di aver avviato un’azione legale “contro Sweeney e le organizzazioni che hanno provocato danni alla mia famiglia”.
La giustificazione dei giornalisti di sinistra e delle loro testate è che si trattava di dati già di dominio pubblico. Ma anche questa circostanza è risultata essere inesatta. Premesso che non tutti i dati a cui si può accedere è appropriato che finiscano su una piattaforma di miliardi di utenti, i dati pubblicati da Sweeney non erano affatto pubblici.
“Il mio aereo in realtà non è rintracciabile senza l’utilizzo di dati non pubblici”, ha twittato il ceo di Twitter. Musk infatti utilizza il programma “Privacy ICAO Address” della FAA che cerca di tutelare la privacy di chi usa aerei privati. Quando si utilizza un indirizzo “PIA”, il proprietario è anonimo e privato, non pubblico.
E Sweeney ne era a conoscenza. “Elon ha usato PIA ma io l’ho già identificato”, si vantava, aggiungendo: “è relativamente facile da identificare, sono fiducioso di poter scrivere un software per identificarlo”.
Dunque, il dato che secondo i giornalisti di sinistra era “pubblico”, era in realtà solo “facile da trovare”, una differenza sostanziale.