In questi giorni, Elon Musk e la sua piattaforma X (precedentemente nota come Twitter) sono al centro dell’attenzione. L’ultima mossa del magnate è, a fronte di un procedimento giudiziario, la chiusura dell’ufficio di X in Brasile. Una decisione che va inserita e valutata in un contesto più ampio, che coinvolge anche la scena europea, dove, solo pochi giorni prima, è esplosa una polemica che vede contrapposti lo stesso Musk e il commissario europeo Thierry Breton.
Lo scontro con Breton
Il commissario Breton aveva inviato una lettera di “avvertimento” a Musk, alla vigilia di una sua conversazione in diretta su X con il candidato repubblicano alle presidenziali Usa Donald Trump (di cui Musk è tra i principali sostenitori), esprimendo preoccupazione per la gestione dei contenuti sulla piattaforma e per i potenziali rischi derivanti dalla mancata moderazione. Una mossa eccessiva, al punto che la Commissione europea ha dovuto chiarire che si trattava di una lettera “non concordata”.
Musk, però, ha gettato benzina sul fuoco: con il suo tipico stile provocatorio, ha dedicato a Breton un post su X assai volgare. Non sorprende, quindi, che i sostenitori di Breton (confermato a fine luglio dal presidente francese Emmanuel Macron come candidato commissario per la Commissione Von der Leyen bis) abbiano rincarato la dose – sempre su X, ovviamente – non nascondendo il desiderio di arrivare addirittura a bandire la piattaforma dall’Unione europea, almeno finché sarà di proprietà di Musk.
Da noi, a schierarsi a difesa di X è stato Matteo Salvini, rivendicando come la Lega sia stato l’unico partito italiano a opporsi al Digital Services Act, la normativa eurounitaria che regola i contenuti online. Potrebbe sembrare una polemica estiva orientata, più che altro, a rafforzare la posizione di Breton in vista della distribuzione degli incarichi nella nuova Commissione, piuttosto che a risolvere questioni sostanziali. Ma non vanno sottaciute le possibili ripercussioni sull’altra sponda dell’Atlantico, visto che i Repubblicani della Commissione Giustizia della Camera dei Rappresentanti Usa (che sperano di riconquistare a breve la Casa Bianca) hanno intimato a Breton di astenersi da ulteriori iniziative che possano interferire con la campagna per le elezioni presidenziali del prossimo novembre.
Lo scontro in Brasile
In Brasile la situazione è ancora più complessa. Ad aprile, il giudice della Corte Suprema Alexandre de Moraes aveva ordinato a X di bloccare alcuni account accusati di diffondere disinformazione e incitamento all’odio, molti dei quali appartenenti a sostenitori di Jair Bolsonaro, l’ex presidente del Brasile. Bolsonaro, che nel 2022 aveva conferito a Musk una delle principali onorificenze brasiliane, è stato accusato di diffondere notizie false sui risultati elettorali e di incitare a rivolte per ostacolare il passaggio dei poteri dopo la sua sconfitta.
Bolsonaro ha respinto tutte le accuse, definendole politicamente motivate, e la situazione si è ulteriormente complicata quando proprio il giudice de Moraes ha presieduto il processo che ha portato all’interdizione di Bolsonaro dalle cariche elettive fino al 2030 e al sequestro del suo passaporto.
Lo scontro ha raggiunto il culmine quando Musk ha denunciato che de Moraes aveva paventato l’arresto del legale rappresentante di X in Brasile se non fossero stati rispettati gli ordini di blocco degli account emessi ad aprile. Nonostante la chiusura dell’ufficio locale di X, gli utenti brasiliani possono ancora utilizzare la piattaforma, ma l’impatto della decisione di Musk è comunque significativo.
Un conflitto più profondo
Si tratta solo dell’ultimo esempio di un conflitto più profondo: quello tra la globalizzazione tecnologica, incarnata dalle grandi piattaforme digitali, e una crescente tendenza alla deglobalizzazione politica, con governi, di orientamento anche molto diverso tra loro, accomunati dalla volontà di imporre controlli su Internet e preservare la sovranità nazionale nel cyberspazio.
Dalla sua acquisizione di Twitter nel 2022, Musk ha affrontato controversie su scala globale: dalle tensioni con il Pakistan, dove le autorità hanno bloccato X durante le elezioni di febbraio, per “motivi di sicurezza nazionale”, fino al Regno Unito, dove è entrato in polemica diretta con il neo premier Keir Starmer, che ha criticato la gestione dei contenuti su X, in particolare quelli che violano le leggi britanniche sull’incitamento all’odio. Anche l’Unione europea tiene la piattaforma di Musk sotto una costante lente di ingrandimento.
Ma Musk non è l’unico a essere al centro di queste tensioni. Altre piattaforme globali stanno affrontando sfide simili in diverse parti del mondo. TikTok, ad esempio, potrebbe essere vietato negli Stati Uniti entro il 2025 a meno che non venga venduto, a causa delle preoccupazioni legate al controllo esercitato dalla Cina. La Turchia ha recentemente bloccato Instagram per nove giorni, accusandola di censurare post commemorativi di un leader di Hamas assassinato. La Russia ha bloccato Instagram e Facebook con l’accusa di “estremismo”, per reprimere il dissenso dopo l’invasione dell’Ucraina. In Cina, Internet è tenuta sotto stretto controllo e le piattaforme digitali occidentali sono sostanzialmente bandite.
Sono tutti esempi di un fenomeno più ampio: la tecnologia, che ha accelerato la globalizzazione, si sta ora scontrando con una dinamica di riaffermazione della sovranità nazionale nel dominio digitale. I governi stanno diventando sempre più decisi a controllare il flusso di informazioni entro i propri confini, mettendo le piattaforme globali come X di fronte a sfide senza precedenti per mantenere la propria operatività e rilevanza.
Rotta di collisione con gli Usa
Al contempo, sembra complicarsi il cammino verso una declinazione condivisa, a livello internazionale, dell’equilibrio tra i vari principi in gioco, di rango anche primario, quali la libertà di espressione, la lotta alla disinformazione e alla discriminazione, la regolamentazione tecnologica, la sovranità nazionale.
In questo scenario, l’Unione europea ha inteso posizionarsi come il regolatore principale attraverso una normativa definita “all’avanguardia” – il Digital Services Act – sperando di stabilire regole del gioco che possano essere adottate anche da altri Paesi. Se Bruxelles riuscirà nel suo intento, l’Ue potrà acquisire una nuova influenza geopolitica.
Il rischio, però, soprattutto in fase applicativa (come la vicenda della lettera di Breton fa presagire) è quello di creare nuove tensioni con le principali piattaforme tecnologiche, X in primis, e con gli altri colossi della Silicon Valley. E quindi di entrare in rotta di collisione con il loro tutore di ultima istanza, ovvero il governo degli Stati Uniti. Ciò soprattutto nel caso di ritorno alla Casa Bianca di Donald Trump, che non ha esitato a intraprendere guerre commerciali anche con il Vecchio Continente per tutelare le imprese e la tecnologia a stelle e strisce.