Pane e social: e se lasciassimo morire Tik Tok per disinteresse?

Sul campo del risibile e sguaiato social dei balletti (e dei social in genere) si gioca oggi una partita mondiale. Ma siamo noi a dare centralità ai social

5.8k 2
tik tok stati uniti

Entro nel vivo della questione, senza preamboli. Il presidente russo Vladimir Putin comunica al mondo di essere pronto alla guerra nucleare e di essere in procinto di ammassare truppe al confine con la Finlandia e noi di cosa ci preoccupiamo? Di Tik Tok. Tik Tok Tak, lo chiamava un esilarante Silvio Berlusconi.

Incredibile: Tik Tok. Da giorni queste due paroline occupano i titoli di apertura dei maggiori quotidiani occidentali. Se questo è il brodo di coltura dei nuovi pericoli per l’umanità, stiamo freschi. Ha ragione Daniele Capezzone a sottolineare, su Libero, quando definisce il social cinese dei balletti come elemento essenziale, anzi decisivo, in quella che potremmo chiamare la “dieta mediatica di ragazze/ragazzi, ragazzine/ragazzini” . Piaccia o meno è esattamente quello il punto. Una dieta, per aggravante, che nessun medico sembra aver imposto ai giovani, ma piuttosto una pericolosa dieta fai-da-te.

Pane e social

Sul tappeto unticcio del ridicolo si gioca oggi il destino dell’umanità? Abbiamo forse sorriso, sottovalutando la pervasiva potenza e la pericolosità accessoria dei social media? Ci sfiora almeno l’ipotesi che i cinesi, da millenni, non abbiano mai fatto alcunché per caso e senza un preciso fine? È vero o falso che i giovani sono il nostro futuro? Se la risposta fosse affermativa è giustificabile, quantomeno, osservare di quale pane essi si nutrano?

Questa lista, certamente incompleta, di domande che una persona di buon senso dovrebbe porsi a proposito della vicenda di Tik Tok, fa parte di un ragionamento di maggior respiro sulla comunicazione popolare in genere. Da una parte, sembrerebbe rispolverarsi il celeberrimo panem et circenses che Giovenale, nelle sue Satire, indicava come le aspirazioni spicce del popolo, ma inteso anche come indicazione di massima su cosa un accorto governante dovrebbe concedere alla plebe: cibo e divertimento.

Se qualcosa di vero vi fosse in tale programma di massima, per quanto teso a distogliere la pubblica opinione dai più gravi e preoccupanti problemi, è altrettanto vero che il potere assecondi più facilmente quelle mode che, di fatto, lo fortifichino. Nel caso specifico, tuttavia, non possiamo trascurare un elemento di imponderabile novità: qui non si tratta di allestire il girovagante carro di Tespi del VI secolo a.C., il quale, per sua natura, poteva essere controllato in buona misura dal potere stesso: siamo invece alle prese con una rappresentazione fluida e del tutto incontrollabile (e questo fa paura) da parte di fruitori di uno spettacolo di cui siano anche gli stessi autori e registi.

Circo social

Questo, soprattutto questo, spaventa le grandi potenze mondiali. Ognuno, sui social legge, ma soprattutto scrive ciò che vuole. Nessuna censura preventiva è tecnicamente applicabile e quella postuma si rivela poco efficace, dal momento in cui anche le voci dal sen sfuggite abbiano avuto un’istantanea diffusione mondiale, a garantirne l’efficacia e, dunque, l’incontrollabilità. Tutto ciò al netto delle fake news e dalla pericolossima Intelligenza Artificiale.

Non potendo contare sul senso della misura dei singoli e dovendosi riscontrare, al contrario, la totale scomparsa del “buon gusto” come ambito che naturalmente dovrebbe circoscrivere il diritto sacrosanto alla libera espressione delle proprie opinioni, siamo ormai al circo. Sotto l’immenso chapiteau dello spettacolo globale, ogni giorno, si rappresentano nel mondo non soltanto i goffi balletti delle ragazzine alle prese coi primi turbamenti ormonali, quanto non richiesti scampoli di vita personale di adulti ai quali nemmeno la porta della stanza da bagno ha posto limite invalicabile.

Gente che non sa ballare vorrebbe darci dimostrazione di qualche capacità che ritenga di possedere, salendo sul palco immenso dei social senza pensarci su e, senza vergogna e senza ritegno, facendo la figura dell’imbecille con la leggerezza e l’ignavia del portatore d’acqua ad un mulino dal quale finirà, invariabilmente, macinato.

Sul campo del risibile e sguaiato social dei balletti (ma dei social in genere) si gioca oggi una partita mondiale dagli sviluppi difficilmente immaginabili, perché la regola rimane una e sempre quella: non importa perché si litighi e poco rileva chi abbia iniziato per primo. Conta, invece, quando due o più enormi potenze economiche e militari inizino a litigare, e sappiamo che, prima o poi saranno guai per tutti.

La forza perversa

Rimarrebbe un’altra via, per quanto sarà difficilmente percorsa dalla massa dei circensi (attori e spettatori allo stesso tempo): depotenziare la minaccia disertando i social o, quantomeno, non alimentando all’eccesso il fuoco di cui vivono, dedicandovi un terzo del tempo che fino a ieri veniva tolto ad altre occupazioni. L’umanità ha fatto a meno dei social per millenni, dopotutto. Ubi maior minor cessat, potrebbe essere la parola d’ordine per chi non voglia essere in qualche modo corresponsabile delle dispute internazionali che potrebbero travalicare i loro ambiti e degenerare in veri e propri conflitti.

Certo, rimarrebbe da stabilire ove stia il maior e quale sia il minor, e proprio qui sta il problema principale. A tanto sembra essere arrivata l’umanità: far scoppiare una guerra iniziata sui social, e di ciò prendiamone atto facendoci definitiva e tombale ragione. Se dovessimo attribuire prevalenza al tempo che la gente dedica ad un’attività per definirne l’importanza, non saremmo messi tanto bene, inutile nasconderlo.

Temo, mi sia permesso… ragionatamente, che la forza perversa dei social media risieda in gran parte in una sorta di effetto ipnotizzante, con conseguente perdita di coscienza del tempo che vi si dedichi. Vedremo presto, molto presto, quali effetti avrà sulla c.d. “generazione zeta”. Per adesso, studi di assoluta rilevanza e autorevolezza, parlando di normale sviluppo della personalità dei giovanissimi, ci dicono che troppo tempo passato col telefonino in mano fa malissimo, e non solo agli occhi.

E se noi togliessimo alla Cina ed al resto mondo la materia del contendere, semplicemente affermando solennemente che di Tik Tok c’importa meno di zero e che facciamo prima a lasciarlo morire per disinteresse generale?

Abbiamo ancora, oppure no, quel rimasuglio di autodeterminazione (o coscienza che dir si voglia) che ci permetta di occuparci di ben altre cose e che le loro dispute su Tik Tok possono mettersele in quel posto e che, comunque vada a finire la cosa, a noi non cambierà un accidente? Almeno, voglio ardentemente sperare che sia così anche per chi mi legge e che siano tanti quelli che sanno ancora discernere tra le cose importanti e le cazzate.

Seguici sui nostri canali
Exit mobile version