È stata pubblicata sul Corriere della Sera del 14 settembre l’ultima edizione del “sondaggio di Pagnoncelli”: una fotografia delle intenzioni di voto a cura di Ipsos, “il più grande team di esperti di sondaggi politici riconosciuti al mondo”, come recita il sito stesso.
E come sempre accade, i dati sono stati ripresi da rassegne stampa e altri quotidiani con frasi quali “scende dello 0,4% Fratelli d’Italia, cresce Forza Italia con il +0,3%” a cui in genere fanno seguito dotte osservazioni su errori politici “della” Meloni o sui punti di forza di altre forze politiche.
Questa estrema precisione ci ha sempre colpito, in quanto ricordiamo di aver studiato l’esistenza di un cosiddetto “margine di errore” e che questo fosse spesso ben superiore all’unità (insomma, più di “1”). Abbiamo pertanto deciso di contattare Ipsos stessa per farci raccontare da chi di statistica ci campa come devono davvero essere interpretati questi dati.
Ci siamo chiariti le idee su questi movimenti dello zero virgola? Sinceramente ci resta qualche dubbio (che racconteremo in chiusura), ma certamente le risposte dell’istituto, con il gentilissimo Andrea Scavo, Director Ipsos Public Affairs, sono assolutamente trasparenti e chiare. Scavo ha un PhD in Scienza Politica e background metodologico qualitativo e quantitativo. Si occupa di ricerca in ambito politico e sociale da più di quindici anni; in Ipsos dirige l’area di indagini politico-elettorali ed istituzionali. Read on!
I sondaggi politici
MARCO HUGO BARSOTTI: Per cominciare, in molti conoscono Ipsos per le sue ricerche, ma magari pochi sanno quale è la storia dei sondaggi politici.
ANDREA SCAVO: La storia dei sondaggi politici in Ipsos inizia con l’arrivo in azienda del nostro presidente, Nando Pagnoncelli, nei primi anni 2000. Il mercato da allora è molto cambiato: oggi i partiti politici hanno meno risorse e forse anche una “cultura” della ricerca sociale e politica meno radicata. Un tempo i grandi partiti avevano personale, strutture, centri studi. Oggi forse si sottovaluta un po’ l’importanza di un approccio strategico e di lungo respiro e si tende a prediligere lavori “tattici”, con risultati più immediati (ma anche a più breve “scadenza”). Per di più con pochi investimenti.
Molto è cambiato anche sul versante metodologico: internet e i panel online hanno affiancato le interviste telefoniche e face-to-face, fatte per strada. L’ascolto dei social e la sperimentazione di nuovi metodi (panel probabilistici come il nostro KnowledgePanel®, implementazione di tecniche quali-quantitative) sono le frontiere su cui stiamo investendo in questi anni.
Finestra temporale
MHB: Veniamo a oggi. Nel preambolo della ricerca si dice che i risultati presentati sono il prodotto di un’elaborazione basata, oltre che sulle 1.000 interviste prima citate, su un archivio di circa 3.000 interviste svolte tra il 31 luglio e il 9 settembre 2024. Potete spiegarne la ragione?
AS: Sì, è il frutto del nostro lavoro di osservazione continuativo e rappresenta un grande vantaggio: ci permette di “consolidare” i dati seguendo le tendenze con cadenza settimanale e – a ridosso delle scadenze elettorali – quasi quotidiana.
Nella pubblicazione della scorsa settimana abbiamo considerato l’intera “pausa estiva”, ma generalmente teniamo conto delle rilevazioni condotte nelle tre-quattro settimane precedenti, attribuendo loro un peso certamente minore rispetto a quella appena conclusa, ma comunque rilevante per avere un dato più solido. Ovviamente questo è il principio generale: di fronte ad eventi particolari e a mutamenti repentini dell’opinione pubblica applichiamo dei correttivi.
Margini di errore
MHB: Nella vostra nota metodologica si afferma “margine di errore compreso tra +/- 0,6% e +/- 3,1% sulle stime relative al totale degli intervistati”. A noi pare, dunque, che le considerazioni su quanto bene o male fa un partito che guadagna lo “zero virgola” non abbiano alcun senso. E forse neppure quella del Pd che “scende di un punto percentuale”. Sbagliamo?
AS: Grazie per la domanda, che permette di fare un paio di precisazioni e, auspicabilmente, un po’ di chiarezza. Senza scendere troppo sul tecnico, il margine di errore statistico di una stima prodotta da un’indagine campionaria varia principalmente in base a due elementi: l’ampiezza campionaria (i 1000 casi, per questa rilevazione) e la “variabilità” (varianza, tecnicamente) del fenomeno osservato.
Un campione più ampio, con un numero maggiore di intervistati, riduce il margine di errore, come si può intuire, mentre la natura più “variabile” del fenomeno osservato lo aumenta: se un evento è “raro” (ad esempio un partito è poco votato) e, quindi, c’è una bassa varianza (perché la grandissima maggioranza dei cittadini si comporta allo stesso modo: non vota quel partito), la stima campionaria tende ad avere minore probabilità di scostarsi di molto dal risultato “reale”.
Se invece un certo dato ha un’occorrenza vicina al 50% ecco che abbiamo la massima varianza, e il margine di errore aumenta. Una singola indagine presenta quindi sempre un margine di errore “minimo” ed uno “massimo” (rispettivamente quindi il +/- 0,6% e il +/- 3,1%, nel nostro caso), che andrebbero sempre riportati insieme nelle note metodologiche.
MHB: Un attimo, può ripetere? Sta dicendo che sono più precisi i dati relativi a partiti con pochi voti, e meno quelli di partiti con grande consenso? Lo chiedo perché in un settore totalmente diverso, le indagini TER sugli ascolti radiofonici, le tabelle sembrano indicare esattamente il contrario (maggiore precisione per le grandi emittenti).
AS: Sì, capisco che la dinamica possa apparire controintuitiva, Esiste una formula che collega varianza e margine d’errore, per cui quello di un partito delle “dimensioni” del Pd si aggira intorno al 2,5%. Ma in realtà il calcolo è ben più complesso in quanto i disegni campionari per quote alterano la dinamica statistica che avremmo nel caso di un campionamento probabilistico “puro”, del tutto randomico (ma impossibile nella realtà).
Gli “zero virgola”
MHB: Quindi, relativamente ai famosi commenti su chi scende dello 0,4% cosa possiamo dire?
AS: Scostamenti di pochi decimali rientrano nel margine di errore statistico e quindi potrebbero, in teoria, non corrispondere al dato “reale”. Ma ciò non significa che tali scostamenti siano interamente casuali e non abbiano alcun valore.
Il valore centrale di una stima campionaria rimane il valore che ha più probabilità di essere “corretto”, per cui uno scostamento di diversi decimali o addirittura superiore ad un punto è comunque un segnale di cui leader e partiti dovrebbero opportunamente tener conto, soprattutto se osservati nel tempo e in prospettiva. Ciò non significa ovviamente che le variazioni pubblicate nei sondaggi debbano diventare una sorta di ossessione, ma credo che sia corretto “tendere l’orecchio” per capire il “vento” dell’opinione pubblica.
Fotografia e previsione
MHB: Su Atlantico abbiamo parlato di Polymarket.com, che sta applicando un innovativo approccio alle previsioni sulle elezioni americane. Molti hanno commentato positivamente questo approccio, in quanto i sondaggisti Usa hanno spesso previsto dati che si sono rivelati errati. Qual è il vostro punto di vista?
AS: Sulla loro metodologia ci sarebbe molto da dire. Ma occorre fare un passo indietro e fare un altro chiarimento, su un aspetto che attanaglia puntualmente il nostro settore e crea confusione sul nostro lavoro. I sondaggi politici non sono una previsione. Noi non facciamo gli “indovini” e non pronostichiamo l’esito finale di un’elezione. Il sondaggio politico è una fotografia delle opinioni e degli orientamenti di voto dei cittadini in un dato momento precedente al voto.
Una fotografia “istantanea”, se fatta con una singola indagine, o “dinamica”, se ripetuta nel tempo. Ma pur sempre un dato relativo a ciò che la gente pensa (o dice di pensare) prima del voto. Un buon sondaggio, quindi, non è tanto quello che “centra” il risultato finale, magari a due mesi di distanza dal voto: questo equivarrebbe a pensare che in quei due mesi l’opinione pubblica non si è mossa di un millimetro, che le campagne elettorali non hanno spostato il consenso, che le persone avevano già deciso mesi prima come votare. Il che è chiaramente assurdo.
Un buon sondaggio, semmai, è frutto di un disegno metodologico che riesce a minimizzare le inevitabili distorsioni: non tutti i cittadini sono “intervistabili” con la stessa probabilità, non tutti conoscono i temi dell’intervista, non tutti hanno un’opinione a riguardo e non tutti la comunicano in maniera trasparente o sincera. Agire su questi “bias” è il lavoro del sondaggista, non guardare la sfera di cristallo.
Il campione
MHB: Infine, la sensazione di molti lettori di Atlantico è che vengano intervistate più persone di sinistra che di centrodestra. Cosa rispondete?
AS: Nonostante i campioni siano disegnati per essere casuali, permangono dei bias, delle distorsioni cioè, che dipendono principalmente dalla propensione dei singoli individui a farsi intervistare.
Sul caso di specie: un tempo poteva esserci una dinamica di questo tipo, relativa agli orientamenti destra-sinistra ma oggi non è più così. Oggi è soprattutto più difficile intervistare le persone che sono poco o per nulla interessate alla politica, e che poi magari non vanno a votare (il che rende molto complesso stimare il dato sull’affluenza alle urne, che spesso sappiamo essere determinante anche per il risultato finale).
Però la metodologia arriva in nostro soccorso: un campione ben fatto non è un sondaggio messo lì, sui social e lasciato alla libera partecipazione di chi vuol rispondere. C’è un disegno preciso, ci sono delle “quote” campionarie, si applicano delle ponderazioni… insomma, c’è un bel po’ di lavoro da fare per fare un sondaggio “a regola d’arte”! E questo spiega anche perché è necessario investire le giuste risorse per commissionarli.
Qualche dubbio
Dicevamo in apertura che, anche dopo questa esaustiva intervista, ci resta qualche dubbio. Per esempio, sull’affermazione relativa al Pd (e similari). Il titolo del Corriere includeva questa frase: “il Pd cala (-1%)”. Eppure, nella quarta risposta viene detto che “il margine d’errore di un partito delle “dimensioni” del Pd si aggira intorno al 2,5%”. Che dovrebbe essere inteso come +/- 2.5%, quindi un intervallo del 5%.
In una precedente intervista relativa al settore radiofonico (lettura consigliata, contiene anche qualche formula), Nicoletta Colletti di (Astat) ci aveva confermato che la corretta lettura di questo tipo di dati è che “ripetendo 100 volte la ricerca, per 95 volte il dato indicato si troverà all’interno dell’intervallo di confidenza intorno al valore stimato”.
In altre parole, “Pd al 21,6%” significa che ripetendo 100 volte la ricerca per 95 volte risulta che il Pd potrebbe avere tra il 19,1% e il 24,1% dei consensi (o al limite tra il entro il + o – 1,25% rispetto a 21.6%). In entrambi i casi un margine di errore superiore all’1% su cui si basano i commenti.
Altro non ci sembra si possa dire, dunque neppure che questo partito sia in calo. Ma il nostro interlocutore è un esperto del settore, e anche PhD, dunque ci arrendiamo: secondo Ipsos il Pd è sceso nei consensi mentre il centrodestra è stabile. Che poi ai nostri lettori potrebbe anche far piacere.