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Veri Liberali contro Musk, ma smemorati sulla censura del vecchio Twitter

Mattia Feltri attacca il “padrone” di X, ma per anni occhi e bocche cuciti sulla censura social. La vera colpa di Musk? Aver tolto il giocattolo alla sinistra

musk sinistra

I Veri Liberali non si smentiscono mai, tradiscono sempre la loro indole, che li porta ad accodarsi alle narrazioni della sinistra e addirittura a far propri gli stessi bersagli polemici. L’attacco scomposto a Elon Musk è diventato ormai una cartina di tornasole, un riflesso condizionato. Non mancano i motivi per criticare il fondatore di Space X e Tesla, per esempio per alcune sue improvvide uscite social. Ma su cosa si va ad arrampicare il Vero Liberale?

È capitato ieri che l’account X di Yulia Navalnaya, la vedova di Aleksej Navalny, l’oppositore russo assassinato dal regime putiniano, sia stato bloccato. Per quanto? Un’ora, forse due? Il giallo è durato poco. L’account è stato prontamente riattivato e l’azienda, scusandosi, ha spiegato che si è trattato di un errore tecnico.

Il buongiorno di Feltri

Ma tanto è bastato per scatenare i sacerdoti dell’informazione politicamente corretta. Su tutti Mattia Feltri, direttore di Huffington Post, che per la sua rubrica “Buongiorno” sparava un commento intitolato addirittura “Il Re Sole”. Sommario: “il supermiliardario Musk può decidere chi ha diritto di parola e chi no, al di sopra delle leggi e delle costituzioni”. Come il Re Sole, appunto, un sovrano “absolutus”, “sciolto” da qualsiasi legge e regola.

Un imprenditore con un patrimonio personale di oltre cento miliardi, padrone di un social a cui sono iscritte circa 400 milioni di persone e su cui si fa vita pubblica, può decidere secondo i suoi codici fumosi e insindacabili chi abbia diritto di parola e chi no, per la forza delle sue proprietà ben al di sopra della forza delle leggi e della forza delle costituzioni. Ci siamo asserviti a dei Putin digitali, e ci va benissimo così.

Insomma, pare di capire che per Feltri il primo problema sia la ricchezza di Musk. Non si capisce infatti cosa c’entri il suo patrimonio personale, se non forse per solleticare l’invidia sociale dei suoi lettori comunisti. Quanto ai “codici fumosi”, qui la cantonata del direttore dell’HuffPost assume dimensioni imbarazzanti. I codici di X sono tanto fumosi che l’algoritmo – al contrario degli algoritmi di altri noti social – è pubblico, così come sono pubbliche le policies di moderazione.

Ma il colmo è che oggi Feltri – come molti prima di lui e, c’è da scommettere, altri seguiranno – accusa Musk della censura praticata ed elevata a sistema dalla precedente proprietà di Twitter, senza che però si ricordino sopracciglia alzate dei Veri Liberali.

La censura sul vecchio Twitter

Singolare che Mattia Feltri non abbia avvertito lo stesso impulso a difesa della libertà d’espressione quando il vecchio Twitter espelleva un presidente degli Stati Uniti ancora in carica e oscurava migliaia di account conservatori dalla piattaforma; quando a pochi giorni dalle elezioni presidenziali del 2020 censurava la storia del laptop di Hunter Biden sulla base di una operazione di disinformazione FBI-CIA, bloccando il profilo del New York Post e di chiunque osasse condividere la sua inchiesta; o quando oscurava dati e affermazioni scientificamente accurate e profili di autorevoli scienziati non allineati sull’origine del Covid, sui lockdown e sui vaccini. Smemorato o in malafede?

Ma c’è un’aggravante, di cui Feltri ovviamente non si è nemmeno accorto. La censura sul vecchio Twitter veniva eseguita dalla dirigenza in collaborazione con le agenzie federali Usa, FBI compresa, che segnalavano e imbeccavano.

Appena acquistato la piattaforma, Musk ha avviato una profonda operazione trasparenza chiamata Twitter Files, mettendo a disposizione di giornalisti d’inchiesta indipendenti i documenti interni dell’azienda per fare chiarezza sulle molte decisioni controverse del social.

Ciò che è emerso è di una gravità inaudita, anche se evidentemente, finché toccava trumpiani, conservatori e scienziati non allineati, non abbastanza da scomodare i pulpiti del giornalismo “benpensante”. Una collusione tra Big Tech e agenzie federali, FBI su tutte, per bannare contenuti e utenti “scomodi” per le politiche governative, talmente sistemica da essere definita Complesso Industriale della Censura”. Una vera e propria operazione di sorveglianza di massa e controllo dell’informazione, con la scusa della lotta alle fake news.

E Feltri e gli altri Veri Liberali? Muti, occhi e bocche cuciti. Ora che Twitter/X è di Musk, apriti cielo! Improvvisamente si svegliano. Ma buongiorno! è il caso di dire.

Il bavaglio Ue

Musk ha acquistato Twitter precisamente con l’obiettivo di salvaguardare la libertà d’espressione sul social. Il che non significa tollerare violazioni di leggi e incitamenti alla violenza, ma nessuno incorre in limitazioni, censure, shadow-ban politicamente motivati, come accadeva nel vecchio Twitter. E anche il fact-checking è diventato “orizzontale”.

Ma come si spiega il risveglio di certi giornalisti dopo anni di amnesia permanente sulla censura social? Brucia ancora molto alla sinistra e ai media tradizionali aver perso il controllo della narrazione su una fetta importante del mondo social come Twitter, ora X. Non si sono mai ripresi dall’acquisizione della piattaforma da parte di Elon Musk ed è questa la ragione profonda degli attacchi di questi giorni.

Ciò che invece rischia di limitare la libertà d’espressione su X e rendere opaco il meccanismo dietro blocchi e sospensioni è il rispetto del Digital Service Act, di cui abbiamo più volte parlato su Atlantico Quotidiano.

Eppure, a conferma del fenomeno di “indignazione selettiva” a sinistra e tra i Veri Liberali, c’è chi invoca l’applicazione del Digital Service Act per sanzionare X con l’accusa di diffondere fake news, mostrando di vedere in questa normativa Ue uno strumento di censura dei contenuti che urtano la suscettibilità dei progressisti.

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