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Mentre gli arrivi sono quadruplicati, ecco il business (e i costi) dell’immigrazione regolarizzata

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Nei giorni scorsi una foto sulla pagina Facebook del leader della Lega Matteo Salvini evidenziava il titolo “sbarchi quadruplicati”. E già lì, chiunque ritenesse che Salvini e la Lega fossero stati votati dal popolo italiano per fermare un’invasione di immigrati, vera o percepita che fosse, aveva strabuzzato gli occhi e contorto le budella nel constatare, per l’ennesima volta, il proprio voto, libero e democratico, ridotto a carta igienica dal “sistema”. Ma non aveva fatto in tempo a riprendersi dal travaso di bile che aveva letto sui giornali: “Migranti con lo stipendio da 1.500 euro al mese e intascavano pure gli aiuti di Stato”.

Quindi, mentre in Italia in tre mesi 500 mila persone hanno perso il loro posto di lavoro – e ce lo dice l’Ocse – in alcune zone i migranti prosperano e facciamo di tutto per regolarizzarli anche se sono arrivati irregolarmente.

Il titolone in questione si riferiva ad un centinaio di migranti in quel di Pordenone che non aveva mai dichiarato alla Prefettura di aver trovato un lavoro e continuava a percepire sia l’assegno sociale che il reddito da dipendente. Un po’ come i furbetti del reddito di cittadinanza, che lavorano in nero continuando a percepire l’assegno, a riprova che quando si tratta di fare i parassiti a spese degli altri sono bravissimi anche i nostri stimati connazionali. 

È bene però ricordare che le norme che regolano l’accoglienza dei migranti in attesa del riconoscimento dello status di rifugiato prevedono che se un immigrato è così bravo e volenteroso, e fortunato, da trovare un lavoro, o viene aiutato a farlo, appena il reddito mensile superi l’assegno sociale, scatti l’immediata uscita dal sistema dell’accoglienza e il richiedente asilo smetta di essere a carico dello Stato.

Dando un’occhiata ai famosi “dati ufficiali”, nello specifico al “cruscotto giornaliero” sull’immigrazione del Ministero dell’interno dove vengono comparati gli sbarchi degli ultimi tre anni, effettivamente si evince con dei bei grafici colorati la quadruplicazione di cui sopra: da 7.633 sbarcati nel 2019 in piena era salviniana, ad oggi, al 30 settembre 2020, ne sono sbarcati 23.720 (i dati si riferiscono agli eventi di sbarco rilevati entro le ore 8:00 del giorno di riferimento, quindi mentre scriviamo ne sono già sbarcati 43).

Ma le informazioni più interessanti si trovano consultando, sempre sul sito del Ministero dell’interno, il resoconto dei soldi spesi dal Fondo Asilo Migrazione Integrazione (FAMI) 2014-2020, e in particolare l’elenco dei progetti finanziati al 31 maggio 2019, che indica la spesa dello “Stato che fa lo Stato” e non può non farlo, per progetti vari di “Potenziamento del sistema di accoglienza”, “Monitoraggio e valutazione dell’intero sistema di accoglienza”, “Raccordo tra le politiche del lavoro, dell’integrazione e dell’accoglienza”, “Promuovere l’inclusione sociale di minori e giovani stranieri, anche di seconda generazione”, “Contrastare la dispersione e fronteggiare i gap di rendimento”, “Formazione civico linguistica” e molte altre nobili “azioni”, così definite anche nel prospetto.

I nomi dei progetti sono in alcuni casi misteriosi o inclini alla letteratura amministrativa come “L’inclusione nel tempo della pluralità” o vaghi e omnibus come “Diritti e doveri” o ancora “Futuro in corso!”, “A te la parola”, fino al più amichevole “Calabria friends”, o al cinematografico e oggettivamente poco adatto “Radici 2016-2018”.

Non poteva mancare l’elegante “Savoir faire”, con obiettivo lo “Scambio di buone pratiche”, che ricorda tanto, troppo, specchietti in cambio di conchiglie e gonzi e buoni selvaggi.

Ma c’è poco da ridere, in sostanza, qui troverete una piccola parte della spiegazione del perché anche l’immigrazione “regolarizzata” è un business e per chi e a che prezzo e quanti milioni costa.

In questo tripudio di progettualità inclusiva, infine, fa la sua bella figura a pagina 8, la mia preferita: “Progetti pre-partenza” del patronato Inca-Cgil. Svolta tramite un’associazione temporanea di imprese – che giuridicamente  può essere tutto e può essere niente – e ancora in corso, ha come destinatari  i familiari dei richiedenti il ricongiungimento familiare che ancora sono nei loro Paesi di origine : Albania, Cina, Egitto, Ecuador, Marocco, Moldavia, Perù, Senegal, Tunisia e Ucraina. In pratica, gli indefessi operatori del sindacato gli insegnano ancor prima di venire, come venire al meglio e li aiutano con le carte.

 Il percorso-servizio ha inizio nel momento in cui i Patronati trasmettono ai SUI (Sportello Unico Immigrazione) la richiesta di nulla osta, prendendo così in carico e coinvolgendo fin dall’inizio il richiedente per quanto riguarda la gestione dell’intero processo, poi in sede di trasmissione della richiesta di nulla osta si procederà alla sottoscrizione del cosiddetto Patto di Servizio (PdS) per l’adesione al Progetto per stesso e per i propri familiari all’estero, la famosa “firmetta”.

“Ottenuto il visto ed entrati in Italia, il richiedente e i familiari saranno sottoposti ad un check-up sui diritti esigibili presso la sede di Patronato di inizio percorso verificando le tematiche del servizio sanitario nazionale, la genitorialità, gli assegni familiari e sostegno al reddito e opportunità di tutela nel campo previdenziale e assistenziale oltre agli obblighi previsti dalla normativa sull’immigrazione”. Finanziamento del progetto 1.497.000 euro e spicci. Quindi, non è vero che non li aiutiamo a casa loro, siamo così bravi e così accoglienti che gli insegniamo anche come farsi dare i soldi ancor prima di arrivare e facciamo di tutto per fargli avere il visto per ricongiungersi e venire magari a prendere la pensione sociale pur non avendo mai lavorato un giorno in Italia. Ma d’altronde, se i lavoratori italiani da difendere non ci sono più, tocca andarseli a cercare all’estero per sopravvivere. Aveva ragione Conte, nessuno perderà il lavoro: quadruplicherà.