Tra i numeri che lasciano trasparire sintomi influenzali nell’economia mondiale, con stime di crescita riviste spesso al ribasso e orizzonti nuvolosi a causa di diverse perturbazioni tra Europa, Asia e America, balzano all’occhio le cifre negative del settore dell’auto. Le ultime, relative al mese di gennaio, segnano un sensibile ribasso per esempio in Italia: le vendite sono scese del 7,6 per cento rispetto allo stesso periodo del 2018 e la zavorra è rappresentata soprattutto dal crollo del diesel, un -31,4 per cento, che risente inevitabilmente delle campagne politiche contro questo sistema di alimentazione, considerato troppo inquinante sulla scia anche dello scandalo emissioni alterate.
Allo stesso tempo le vendite europee dello scorso anno sono cresciute di un modesto 0,5 per cento, con alti e bassi clamorosi come il -13 di novembre nella immatricolazione di veicoli in Spagna, a conclusione di un trimestre da incubo (-17 per cento a settembre, -6,6 a ottobre), determinato ancora una volta dalla sfiducia sul diesel.
In un clima del genere, è facile giungere anche a conclusioni avventate se per esempio si guarda al Regno Unito, alle prese con l’incertezza provocata da Brexit. Nelle scorse settimane il colosso giapponese Nissan ha annunciato che non produrrà i modelli del Suv X-Trail nello stabilimento di Sunderland e gli osservatori hanno inizialmente pensato che il cambio di strategia fosse dovuto esclusivamente al rischio di un mancato accordo tra Londra e Bruxelles che complicherebbe sensibilmente il commercio tra i due lati della Manica, ma a ben guardare c’è dell’altro: l’X-Trail, per come è progettato e per i dati di emissione registrati, faticherebbe a rientrare nei parametri Ue e l’operazione rappresenterebbe uno sforzo controproducente di fronte alle conferme giunte per esempio dai governi olandese, francese, belga e britannico di mettere al bando la produzione di auto tanto diesel quanto a benzina in un periodo di tempo compreso tra il 2030 e il 2040. Tempi stretti e certe accelerazioni azzardate provocano drammatici cappottamenti: il presidente francese Emmanuel Macron sa bene cosa accade quando un politico ha il piede pesante con le tasse ecologiche che finiscono per colpire soprattutto le aree di provincia e più remote dove la cara e vecchia auto, per quanto inquinante che sia, rappresenta l’alternativa più affidabile per muoversi.
A ottobre invece Jaguar Land Rover aveva annunciato lo stop di due settimane per gli impianti di produzione di Solihull in seguito al tracollo delle vendite nella Cina alle prese con la guerra doganale con gli Stati Uniti: sempre ad inizio anno dalla potenza asiatica erano giunte le conferme di un’inchiodata nelle vendite per la prima volta dopo quasi 30 anni di segni positivi (-5,8 per cento). Numeri che preoccupano gli addetti ai lavori, in particolare nella Germania sede di marche come Mercedes, BMW VW-Audi.
L’altro lato della medaglia racconta al contrario di una rivoluzione nella mobilità quotidiana ormai in atto e che solo apparentemente sta muovendo i primi passi, provocando inevitabili scosse telluriche e incrociando i destini del settore automobilistico e tecnologico. Ci sono ad esempio i 500 milioni di dollari investiti in Uber da Toyota per lo sviluppo di vetture self driving.
La britannica Dyson, famosa soprattutto per i prodotti di uso domestico, dal 2015 ha invece messo sul piatto 2,5 miliardi di sterline per il progetto di una macchina elettrica con elementi che le consentano di muoversi autonomamente: la società con base nel Wiltshire è finita sotto accusa dopo la decisione del suo fondatore, James Dyson, sostenitore di Brexit, di spostare il quartiere generale a Singapore, ma i vertici hanno ribattuto indicando nell’Estremo Oriente il mercato più florido e futuristico, come suggeriscono i vertiginosi aumenti nelle vendite di auto elettriche nella regione. La coreana Hyundai infine sta puntando da tempo sul motore a idrogeno, annunciando a dicembre altri 6 miliardi di euro per finanziare la ricerca.
Nuove generazioni a quattro ruote, ma anche nuove generazioni di autisti. Gli interventi della politica con messe al bando, sovrattasse e altri balzelli per le vetture ritenute più inquinanti finiranno per influenzare gli usi di chi si muove, specialmente nei grandi centri abitati – il 25 febbraio a Milano scatta per esempio l’Area B, la ZTL allargata che comprenderà il 72 per cento del territorio comunale e che impedirà la circolazione dei veicoli più datati. Spostarsi sarà comunque necessario e accanto al potenziamento dei mezzi pubblici è destinata a crescere la quota di strumenti come il car sharing. Secondo i dati del 2016, gli utenti in Europa hanno raggiunto i 4,5 milioni, con Germania e Italia a guidare il gruppo (insieme rappresentano il 60 per cento degli utenti, rispettivamente con il 40 e il 20 per cento), per un trend che potrebbe raggiungere quota 8 milioni nel 2020.
Cifre ancora modeste e progettazioni per ora solo sulla carta, ma a dispetto delle performance deludenti degli ultimi mesi i motori continuano a girare, almeno nei laboratori.