È “in marcia” la Francia di Emmanuel Macron, ma con fermezza e rigore. Almeno per quanto riguarda il tema dell’immigrazione. Le forze politiche che qui in Italia guardano al presidente francese come a un modello politico (anche sopravvalutandolo), il Pd di Renzi e la lista +Europa, dovrebbero prendere appunti.
Ieri il ministro dell’interno Gérard Collomb ha presentato in Consiglio dei ministri il suo progetto di legge su diritto d’asilo e contrasto dell’immigrazione clandestina. Gli obiettivi sono facilmente intuibili. Accelerare le procedure per l’asilo, dagli attuali 11 mesi a sei mesi, ricorso incluso, limitando inoltre le possibilità di ricorrere in caso di rifiuto. E allungare invece i tempi di detenzione amministrativa nei centri di rimpatrio: 90 giorni, contro i precedenti 45 (prevista la possibilità di prolungare per tre volte di 15 giorni nel caso in cui la persona si opponga al rimpatrio). Per i clandestini sanzioni penali, un anno di reclusione, e una multa di 3.750 euro.
Ma sono emblematici gli argomenti usati dal ministro Collomb per difendere il suo testo dalle critiche. Ha sostenuto che se la Francia non rafforza le sue leggi, rischia di attirare i migranti dal momento che in altri Paesi europei vigono regole più severe. Dobbiamo allinearci o rischiamo di diventare “il paese dell’ultima speranza”. Paesi come Germania, Danimarca e Olanda possono mantenere i migranti in detenzione fino a 18 mesi, ha avvertito l’ex sindaco di Lione.
Mentre tutti i governi cercano di dotarsi di un procedimento veloce ed efficiente per le richieste d’asilo, per offrire protezione a chi ne ha diritto, è chiaro che nessun paese europeo ci tiene a detenere il titolo di rifugio sicuro per i clandestini. Regole incerte e farraginose, falle legislative e lassismo procedurale, buonismo e sanatorie, rischiano di lanciare il messaggio di un paese che tollera l’immigrazione clandestina, disposto a chiudere un occhio, o entrambi…
E l’Italia, come si pone in questa particolare classifica della fermezza? Per la nostra posizione geografica, insieme a Francia e Spagna siamo tra i paesi più esposti. La concorrenza normativa è quindi spietata e non possiamo permetterci passi falsi se vogliamo ridurre e gestire il fenomeno, evitando tensioni sociali.
Il ministro dell’interno Marco Minniti da quando è al Viminale sta tentando di raddrizzare le politiche autolesioniste degli anni passati.
Il nuovo modello processuale designato dal decreto Minniti nel 2017 riduce da 6 a 4 mesi il termine entro il quale è definito il procedimento d’asilo, “con decreto che rigetta il ricorso” o “riconosce lo status di rifugiato o di persona cui è accordata la protezione sussidiaria”.
Il tempo massimo di detenzione nei “centri di permanenza per i rimpatri” è fissato in 30 giorni, prorogabili di ulteriori 15 giorni, previa convalida da parte del giudice di pace, nei casi di particolare complessità delle procedure di identificazione e di organizzazione del rimpatrio. Tuttavia, quando proprio non è possibile effettuare il rimpatrio per cause di forza maggiore, l’autorità giudiziaria dispone il ripristino dello stato di detenzione per il tempo strettamente necessario all’esecuzione del provvedimento di espulsione. Tempo che in ogni caso, per legge, non può superare i 90 giorni (qualche anno fa era di 18 mesi).
Se queste misure saranno attuate seriamente, saremo abbastanza in linea con le norme negli altri paesi. Ma non è un mistero che nella stessa coalizione guidata dal Pd, nella sinistra ma anche in ambienti cattolici, c’è chi vorrebbe andare nella direzione opposta, quella di una “accoglienza” indiscriminata in nome di malintesi motivi etici o di convenienze economiche mal calcolate nella migliore delle ipotesi, inconfessabili nella peggiore.