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Mistificazione di massa e demonizzazione dell’avversario: ecco come la sinistra vorrebbe rieducare il popolo che le vota contro

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Il capo-sardina, tornato da una meritata pausa dopo le sue fatiche civiche, dall’alto dal suo scranno a rete unificate, ha sentenziato: burini bianchi ignoranti che siete, avete urgente bisogno di una educazione civica, perché è evidente che se oggi c’è ancora una maggioranza del popolo che vorrebbe votare a destra, questo non può semplicemente far parte del concorso democratico, è una evidente distorsione storica. “Bisogna bonificare la narrazione farlocca e strumentale portata avanti da certi personaggi della politica e bisogna finalmente avere il coraggio di fare i conti con la storia”, ha sentenziato Santori dalla manifestazione #BlackLivesMatter di domenica scorsa a Piazza del Popolo.

Confesso l’enorme disagio solo a cercare di confrontarmi seriamente con le affermazioni di un personaggio che è ben costruito a tavolino, sì, e ha tutti i diritti di esprimere le sue opinioni, ma che non si sa per quali meriti dovrebbe essere elevato ad educatore del popolo in prime time su tutte le reti televisive. Segni del tempo. Segni di un Occidente in lotta con se stesso. O meglio, segni di una sinistra occidentale da tempo priva di analisi e soluzioni politiche che abbiano un qualche legame con la realtà. Ed ecco, quindi, che esce dal cappello il vecchio coniglio magico della sinistra più profonda: se non riusciamo a influire sulla realtà, pieghiamola alla nostra volontà democratica che, per mera evocazione di quella parola su cui abbiamo storicamente rivendicato il monopolio, è superiore.

A tal fine sono leciti tutti i mezzi, a partire da quello più potente: la disinformazione di massa. Educhiamo il popolo attraverso i mass media, esattamente come un tempo fecero gli odiati preti dagli scranni ecclesiastici per la Democrazia cristiana. Insegniamogli che la libertà di opinione e il pluralismo nel dibattito pubblico appartengono solo a chi professa le nostre idee, a chi sottoscrive quella concezione della democrazia come monopolio dei partiti che già nel nome si professano tali. Chi la pensa diversamente, se ne torni nella sua caverna censurata, o si faccia rieducare al pensiero unico.

Accusano gli avversari politici di polarizzare il dibattito pubblico, di alzare i toni, di usare un linguaggio violento, di voler far rivivere regimi autoritari. Ma come mostra Kimberley Strassel nel suo “Resistance (At All Costs) – How Trump Haters Are Breaking America”, sono proprio loro i principali promotori di tali processi. Il loro fondamentale rifiuto ideologico di contemplare la possibilità di un pensiero diverso che non sia per ciò stesso sbagliato segna la contraddizione anti-democratica all’interno di questa sinistra moderna mondiale. L’impossibilità di riconoscere nella diversità della vita reale delle persone la pluralità di pensiero e opinione, che ne è la logica conseguenza, li conduce ancora dritti a quella fallacità storica e autoritaria del pensiero politicamente corretto che deve prescindere dalla realtà. Anzi, deve a tutti i costi diventare realtà, in un mondo ideale che garantisce il risultato elettorale democratico di cui sono l’unica legittima espressione.

In quel mondo ideale, il principale nemico oggi è il presidente americano Donald Trump, definito quotidianamente dai media mainstream come un’emanazione moderna niente meno che di Adolf Hitler. Che buona parte del consenso di Trump sia dovuto alla sua capacità di parlare ad un popolo che non si riconosce negli schemi che gli si vogliono imporre a tutti i costi, non è prova della cecità dei suoi avversari politici, ma dell’ignoranza profonda del popolo stesso.

Ma di quel popolo non fanno parte soltanto white trash o white chauvinist male pigs. Ne fa parte anche un elettorato crescente di afro-americani, che negli ultimi anni hanno visto calare la disoccupazione tra di loro, che chiedono anch’essi che venga alzato il muro con il Messico, che chiedono law and order contro i saccheggi in atto che colpiscono anche le loro attività commerciali. Persone che per questo vanno censurate, come è accaduto su Twitter in questi giorni. Persone che non devono parlare sui canali di mass media. Persone che certamente non vengono rappresentate nelle storie quotidiane europee su quanto accade negli Stati Uniti.

Non si tratta di difendere l’operato del presidente Trump o dei partiti di centrodestra nel nostro Paese. Sono fondamentali, in un dibattito autenticamente democratico, tutte le critiche – e se ne potrebbero muovere tante – e le opinioni. Ma a parità di condizioni.

Come andrebbe raccontato a parità di condizioni quanto accade nel mondo, anche nei regimi che piacciono ad una certa sinistra, e non soltanto laddove è più facile perché il “mostro autoritario” che si pretende di combattere è in realtà iscritto nel gioco democratico. Se un presidente deve accettare di essere criticato o di vedere ripescate dai media vecchie dichiarazioni o foto con personaggi poco raccomandabili, la stessa regola dovrebbe valere per la controparte, come per esempio le foto che mostrano l’amicizia e la stima reciproca tra Opal Tometi, co-fondatrice di Black Lives Matter, e il dittatore venezuelano Nicolas Maduro. Oppure, secondo il politicamente corretto i suoi crimini atroci, l’incarcerazione dei dissidenti e un popolo intero alla fame, sono meno gravi dal momento che li ha compiuti dichiarando di essere a favore di un “welfare universale” per il suo popolo? Ormai sembra esistere una regola illuminata per cui denunciare certi fatti sarebbe “razzista” – accusa rivolta anche dal segretario generale dell’Oms Tedros a Taiwan e agli attivisti che denunciarono la gestione connivente con la Cina della sua organizzazione riguardo l’emergenza Covid-19.

Vedendo le immagini della manifestazione di Piazza del Popolo, e di tante altre piazze europee – spesso di violenze e saccheggi come a Bruxelles – non possiamo non chiederci dove siano finiti tutti coloro che all’inizio della pandemia accusavano Trump e altri leader politici di razzismo contro i cinesi, quando giovedì scorso nella stessa Piazza del Popolo si è commemorata la strage di Piazza Tiananmen. Una strage sulla quale dopo 31 anni ancora non si hanno risposte e non si sono mai individuati né mandanti né esecutori, mentre ancora oggi sono in corso simili stragi all’interno della Cina comunista. Da un milione a tre milioni di uiguri si trovano attualmente in campi di concentramento all’interno della Repubblica Popolare.

Eppure, le stesse piazze occidentali che si inginocchiano contro Trump, come se avesse messo lui stesso il ginocchio sul collo di George Floyd, preferiscono di fatto inginocchiarsi al regime cinese che è diretto mandante di quelle atrocità. I cittadini di Hong Kong rischiano ogni giorno di essere sottomessi manu militari ad una vero e proprio regime sanguinario, ma l’Europa politicamente corretta continua a puntare sul “dialogo” con il Partito comunista cinese per risolvere i grandi problemi della Terra, a partire da quello del clima. Altro tema dove sembra che il demonio Trump vada combattuto in tutti i modi, con le eloquenti occhiatacce della santa Greta Thunberg, mentre le incongruenze del regime cinese, che per il terzo anno consecutivo ha alzato le quote di utilizzo del carbone come fonte energetica vanno taciute. Non appartengono alla realtà.

Non appartengono a quel racconto “corretto” che porta, o dovrebbe portare, alla rieducazione di massa, come già praticata obbligatoriamente nell’esemplare Repubblica Popolare Cinese. Emblematiche le condanne quotidiane di Trump, ancora più emblematica l’emissione a rete unificate della versione italiana delle “Citazioni letterarie di Xi Jinping” a marzo dell’anno scorso. In piena linea con quanto affermato su Twitter dalla sopracitata Opal Tometi il 3 dicembre 2015: “Currently in Venezuela. Such a relief to be in a place where there is intelligent political discourse”. Ecco il modello “democratico 2.0”. Ecco “il coraggio di fare i conti con la storia”.

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