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Natale rosso, l’Italia chiude per panico: lockdown irrazionale e, quindi, illegittimo

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Il governo e le forze politiche che predicano “Competenza” e si aggrappano alla “Scienza”, per tutta la durata dell’emergenza hanno adottato decisioni dettate dal panico, dall’irrazionalità e da convenienze politiche. E ora vogliono rinchiuderci sotto Natale, in netta controtendenza con i dati e gli indicatori epidemiologici delle ultime settimane, smentendo i criteri che loro stessi avevano fissato l’altro ieri. Illegittimo. Incostituzionale. Emergenza comunisti al governo

Il governo non ha ancora deciso ma i segnali sono chiari. Ci avviamo verso un Natale rosso. Dove il colore rosso non sta a indicare il livello di un allarme. Ma il rosso comunismo di cui è tinto questo governo. C’è un’emergenza comunisti, l’avevamo scritto solo pochi giorni fa. E confermiamo. È nell’emergenza che i politici rivelano la loro vera indole. E quella di chi ci governa è profondamente comunista, potenzialmente totalitaria. Lo vediamo nella protervia delle dichiarazioni, nel malcelato gusto nel disporre delle vite degli altri in modi e tempi sempre più arbitrari, quasi umorali.

Il vertice di maggioranza decisivo sulle nuove restrizioni anti-Covid da adottare per le festività natalizie è stato rinviato perché il premier doveva registrare una trasmissione televisiva con i suoi amici del Fatto Quotidiano. Con gli italiani appesi nell’incertezza, famiglie che non sanno se e come organizzare i loro spostamenti, negozi e ristoranti che non sanno che fare con gli ordinativi, Conte gioca con le parole, e con le nostre vite, come un caudillo qualsiasi.

Se in netta controtendenza con i dati delle ultime settimane il governo e le regioni decideranno un lockdown generalizzato, dovranno spiegarlo molto bene agli italiani. Perché no, una decisione di impatto enorme sia sulle libertà fondamentali sia sulla nostra economia, non si può giustificare in astratto, con la semplice eventualità di una risalita dei contagi il 7 gennaio, quella che già chiamano, del tutto impropriamente, come minaccia, “terza ondata”. Decisioni di tale gravità devono basarsi sui dati scientifici, non sull’umore del momento. Anche perché, se ci facciamo guidare dalla paura e non dalla razionalità, non arriverà mai il momento della riapertura e della normalità, nemmeno quando saranno vaccinati 50 milioni di italiani.

C’è un enorme cortocircuito nella decisione che sta per essere assunta: il governo e le forze politiche che ci ripetono costantemente che dobbiamo affidarci alla “Competenza”, alla “Scienza”, si fanno guidare invece dalla paura, anzi dal panico, che è sentimento irrazionale per eccellenza, quando non da inconfessabili convenienze politiche.

“È tempo di scelte rigorose di Governo e Parlamento: solo regole più restrittive durante le festività potranno evitare una terza ondata di contagi”, ha twittato ieri il ministro Franceschini. Ma con la tendenza che ormai si conferma da qualche settimana, anche nei dati di ieri, non sarebbe una scelta rigorosa ma solo arbitraria.

I dati delle ultime 24 ore confermano il trend positivo: il numero dei decessi è sempre troppo elevato (+680), ma tutti gli altri indicatori continuano a calare considerevolmente: terapie intensive -77 (e sotto la soglia delle 3 mila), ricoveri ordinari -522 (e sotto la soglia dei 30 mila), rapporto positivi/tamponi sotto il 9 per cento (8,8 per cento), indice Rt in quasi tutte le regioni sotto il valore 1.

E infatti, ad ulteriore dimostrazione, proprio secondo i criteri fissati di recente dal governo e dal Cts, ben 21 indicatori sulla base dei quali “colorare” le regioni, ad oggi 16 sono zona gialla, 5 zona arancione, nessuna zona rossa.

Non si capisce quindi su che basi l’intero Paese dovrebbe improvvisamente diventare zona rossa o arancione sotto Natale. Delle due l’una: o i criteri che stiamo seguendo da novembre (che Cts e governo hanno fissato) erano completamente sballati, e avremmo dovuto trovarci già ora tutti in zona rossa/arancione, ma allora dovrebbero assumersene la responsabilità e dimettersi; oppure, l’annunciata stretta natalizia segue altre imperscrutabili logiche, in totale mancanza di trasparenza.

E infatti pilatescamente il Cts evoca più restrizioni e controlli ma guardandosi bene dallo specificare quali. Come spiegava ieri un addetto ai lavori citato dall’Huffington Post, “siamo consapevoli del rischio di una terza ondata, ma i dati al momento non sono tali da richiedere un intervento, non può il Cts dare una copertura politica alle scelte del governo, il loro mestiere è un altro”. Tradotto: non si può chiudere sulla base di un rischio, c’è bisogno di una tendenza verificabile sulla base di dati certi.

Cos’è cambiato allora? Qualche foto con i piani prospettici schiacciati di shopping natalizio nelle vie più centrali di 3-4 grandi città? Dopo aver incentivato gli acquisti in negozi fisici lanciando proprio in questi giorni il cashback? Facciamo come la Merkel?

Insomma, se decide un lockdown rosso o arancione sotto Natale, il governo smentisce se stesso, smentisce i suoi stessi criteri, per i quali quasi tutte le regioni oggi sono zona gialla. Un provvedimento uniforme su tutto il territorio nazionale indistintamente smentirebbe l’intero approccio a zone differenziate fin qui seguito, e proposto poche settimane fa come il più razionale.

Come ripetiamo dalla primavera scorsa, logica, ragionevolezza e proporzionalità sono principi cardine che devono sempre guidare le decisioni del legislatore e le azioni della pubblica amministrazione, in particolar modo quando incidono così profondamente sulle libertà fondamentali tutelate dalla Costituzione. Se le misure restrittive non sono fondate su dati scientifici, allora non sono ispirate a tali principi, sono illogiche ed eccessive. E c’è una conseguenza giuridica oltre che morale e politica: l’atto diventa arbitrario, di per sé illegittimo, incostituzionale.

Ci era stato detto a ottobre dal premier Conte “chiudiamo oggi per salvare il Natale”. Ma ora, pur a fronte di dati in miglioramento, si richiude più di prima, si decide che proprio il Natale è il momento in cui blindare tutto.

“Non vogliamo bandire il Natale perché sarebbe inumano”, e perché “non si possono imporre troppe costrizioni” alle persone, ha detto il premier britannico Boris Johnson nel briefing di ieri a Downing Street sull’emergenza Covid, pur invitando a ridurre al minimo le presenze alle riunioni natalizie. Ma si sa, loro amano la libertà. Noi amiamo la serietà, così che finiremo per non avere né la prima né la seconda.

E l’opposizione? È vero: i sondaggi mostrano che una maggioranza degli italiani sembra gradire le misure restrittive. I governatori delle regioni mantengono una linea ondivaga e un po’ ipocrita, smaniando e scalpitando perché le loro regioni passino quanto prima da rossa ad arancione a gialla, ma tranne rare eccezioni sempre pronti ad approvare se il lockdown riguarda l’intero Paese, sollevandoli così dalle loro responsabilità.

I leader nazionali, sia Salvini che Meloni, non mancano di criticare i ritardi, i fallimenti, il caos decisionale e comunicativo del governo. Ma ieri, alla presentazione dell’immancabile libro natalizio di Bruno Vespa, sia Salvini che Meloni si sono detti disponibili a considerare nuove restrizioni, se necessarie (“la salute viene prima di tutto”), ma in tempi e con indennizzi congrui. Foglie di fico, perché entrambi sanno già che non c’è necessità, e che non ci saranno né tempi né indennizzi congrui. Entrambi stanno purtroppo fallendo nel proporre un’alternativa soprattutto sul piano culturale all’approccio del governo Conte. Approccio che si può riassumere in poche parole: l’emergenza scaricata su cittadini e imprese. Sono troppo intimoriti per contestare in linea di principio l’azione incostituzionale del governo. Ma una certa leader tempo fa diceva: “O staremo in piedi sui princìpi, o non staremo in piedi affatto”