Più conosco la gente, meno la capisco. Curiosamente, l’esperienza di vita non dissipa i dubbi, ma, al contrario, li rafforza. Nello specifico, da giorni mi sto chiedendo, senza trovare una risposta accettabile, cosa davvero vogliano adesso gli italiani. In un carosello di opinioni politiche oscillanti tra i due poli e di teorie scientifiche che dicono un giorno una cosa per poi smentirla il giorno dopo, affermando il suo esatto contrario, c’è da rimanere basiti. In una situazione di emergenza mondiale che colpisce tutte le nostre famiglie, l’unico punto comune e la sola esigenza davvero condivisa è quella di certezze, di indicazioni statali che non possano ingenerare equivoci e fraintendimenti. Gli italiani sono, più che mai, divisi, alla faccia dei balconi cantanti e dei disegnini da bambini esposti ovunque. Non ci si mette d’accordo tra chi sostiene lo Stato forte e poco dialogante (in stile Russia di Putin) che decida ciò che deve esserci imposto per il bene pubblico senza tanti complimenti, e quelli che patiscono maggiormente la compressione dei diritti essenziali individuali, con una impostazione più liberale e libertaria. Sinceramente, ritengo che entrambe le posizioni possano essere quanto meno condivisibili, o addirittura compensabili tra loro, e non trovo scandaloso che, singolarmente, ogni cittadino protenda più per uno o l’altro punto di vista, facendo parte del sacrosanto diritto d’opinione. Sarebbe un dibattito molto interessante, se non ci trovassimo alle prese con decisioni statali che non possono essere procrastinate nemmeno di pochi giorni. Quali che siano le ragioni dei due schieramenti, ciò che conta adesso è salvare vite umane in modo efficace e massiccio, per poi imboccare quella “fase due” che dovrà porre rimedi e mitigare gli effetti della spaventosa crisi economica che dovremo affrontare in conseguenza dell’epidemia da Covid-19. Anche su questo si potrebbero già fare dei distinguo tra coloro che sostengono che le operazioni urgenti abbiano precedenza rispetto agli aspetti di contrasto della crisi economica e coloro che vorrebbero che i provvedimenti urgenti contemplassero entrambe le necessità. Chi potrebbe e dovrebbe, comunque, dare una risposta definitiva su tali priorità? Lo Stato. Chi ci governa (meglio se scelto direttamente da noi) deve assumersene la responsabilità funzionale e personale.
Tuttavia, abbiamo a che fare con una democrazia fin troppo liquida, multiforme, mai consolidatasi in una produzione legislativa organica e non contraddittoria a formare un vero ed autorevole corpus iuris che sia la solida architettura a sostegno dell’opera diuturna dei nostri legislatori ed il faro che possa guidarli verso il bene comune. Sebbene i nostri legislatori degli ultimi anni non abbiano certamente risparmiato carta e penna, troppe volte hanno seguito la spinta di un incontrollato moto centrifugo in ogni direzione possibile. Le antiche istanze popolari di certezza del diritto, che hanno impregnato i più nobili sentimenti illuministici e umanistici del passato sono diventate, negli anni, sempre più delle voci chiamanti dal deserto dell’incertezza globale ed altrettanto incerto pare oggi il diritto, inteso come l’insieme delle norme che regolano la vita di tutti. Mai come adesso, le normative dello Stato, proliferate quantitativamente oltre ogni aspettativa, furono tanto incerte e di difficile interpretazione. Nel desiderio di voler normare tutto, siamo perfettamente riusciti a lasciare tali e tanti vuoti normativi da permettere incertezze e persino comportamenti antisociali, derivanti dal fatto che è letteralmente impossibile, per chiunque di noi, conoscere tutte le norme vigenti in qualsivoglia materia. Nel Paese delle migliaia di norme scritte, non basta più il tempo materiale per emanare leggi giuste e necessarie, essendo troppo occupati i parlamentari a legiferare su materie non sempre importanti, scelte invece per rispondere alle richieste del proprio elettorato o, peggio ancora, per contrastare con tale mezzo scandaloso le posizione dei propri avversari. Ad una legge che non piaccia ad alcuni si risponde proponendone un’altra, spesso prolissa e laboriosa, perdendosi più nella polemica di parte che nella soluzione dei problemi della gente. In Italia abbiamo sfornato, come pagnotte non sempre appetibili e cotte al punto giusto, ogni possibile prodotto normativo, riguardanti materie di dubbia importanza sociale come il collezionismo di farfalle o la minima dimensione dei cetrioli, quand’anche non si sia trattato di recepire normative europee per noi bizzarre e del tutto non sentite dagli italiani come reale necessità sociale.
Tutto il tempo perso a dibattere e rimbalzarsi tra le Camere tante leggi di totale inutilità è stato sottratto alla regolamentazione precisa di aspetti di primaria importanza, quali il funzionamento pratico degli aiuti economici ai cittadini in caso di calamità nazionale, stabilendo in quale forma concreta e praticabile tali aiuti economici debbano essere erogati alla popolazione colpita da una calamità di grandi proporzioni. Non una riga su tali aspetti concreti, che il nostro pletorico corpo legislativo ha ritenuto evidentemente poco significativi, scrivendo invece pagine e pagine, ponderosi tomi, volumi interi di normative generiche, che fanno riferimento a decine di altre norme precedenti in materia a complicarne sempre più l’applicazione. L’Italia è il Paese del “combinato disposto” per eccellenza, quello nel quale bisogna consultare almeno sei leggi che regolino la stessa materia, per sapere se si sia o meno nella legalità.
Ma non finisce qui, e non è soltanto lo spropositato numero di leggi a disorientarci e non permetterci mai di sapere se ci stiamo comportando come si dovrebbe, perché ci si mettono pure i regolamenti attuativi e le famigerate circolari ministeriali a rendere inesplicabile la matassa. Mi dica qualunque lettore se non si sia mai scontrato con il solito funzionario di Stato che gli abbia sventolato sotto il naso l’immancabile circolare ministeriale che, detto tra noi, non può nemmeno essere opposta al cittadino, perché ha soltanto una funzione regolatoria interna a quel Ministero e non ha il rango di legge in senso stretto. Manca ancora qualcosa? Certo che sì: mancano le norme d’iniziativa ed emanazione monocratica, quali i decreti del Presidente della Repubblica, i decreti ministeriali, i decreti del presidente del Consiglio dei ministri, che dovrebbero essere l’eccezione alla normativa verificata ed approvata da ambo i rami del Parlamento. Il Parlamento è sempre meno coinvolto nella sua primaria funzione di emanazione delle leggi, perdendo quindi il necessario potere di controllo del rispetto della volontà popolare. Se aggiungiamo, infine, l’eccesso del ricorso al voto di fiducia anche e soprattutto sulle misure economiche essenziali della cosiddetta “finanziaria” se ne dovrebbe dedurre che, tanti o pochi che siano, i parlamentari servono ormai a ben poco. L’importante è invece stare al Governo, perché il Parlamento serve soltanto a fare da corollario.
Deriva autoritaria allora? Forse, ma nemmeno mi piace quel termine, oggi abusato. Mi limito a considerare che quando lo stesso Governo non sia diretto e composto prevalentemente da eletti, cosa possiamo aspettarci? Se non possiamo eleggere nemmeno il capo del governo né il presidente della Repubblica, potremmo almeno togliere loro la facoltà di emanare norme d’immenso rilievo sociale? Il dibattito è aperto, come sempre quando si tratti di diritto costituzionale e la risposta al quesito è complessa e non univocamente accettata dalla dottrina. Ma, nel frattempo, che accade, in piena emergenza nazionale? Che un illustre sconosciuto mai eletto, che non rappresenta nemmeno un partito italiano, è al timone del Paese, coadiuvato persino da commissari “straordinari”, con funzioni del tutto ignote ai più, nominati dal presidente del Consiglio stesso, non si sa in base a quali criteri di scelta. Non bastavano il ministro dell’interno, quello della salute, il capo Dipartimento della Protezione civile (tutti, si badi bene, già dotati di poteri normativi)? No, ci voleva pure l’ennesimo commissario straordinario. Da noi funziona così: alla faccia della semantica e della logica, una cosa straordinaria non è l’isolata eccezione alla normalità, ma una vera istituzione permanente. Siamo in eterna straordinarietà. Qualcuno, sconcertato da tanta disinvoltura, teme persino che vengano messe in pericolo le garanzie costituzionali a tutela della democrazia e parla apertamente di aspirazioni dittatoriali da parte dell’uomo solo al comando. Non penso proprio che ci sia voglia di dittatura da parte dei nostri attuali governanti, e nemmeno ne avrebbero la stoffa. Non basta emanare un decreto ogni tre giorni per dimostrarsi sul pezzo. Dal punto di vista normativo, avevamo già mezzi sufficienti per affidare alle altrettanto già esistenti strutture di soccorso nazionale la gestione operativa di questa emergenza. Ogni nuovo, ennesimo e previamente spifferato decreto, aumenta soltanto il panico. Ma, lo ripeto, la dittatura non c’entra un fico secco, con buona pace di coloro che la temono. Trattasi, purtroppo, d’inadeguatezza funzionale di alcuni.