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Nel Queen’s speech il segreto della monarchia britannica, portatrice di una tradizione di libertà

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Il discorso alla nazione tenuto dalla Regina Elisabetta, straordinaria eccezione propria di momenti veramente drammatici, è stato accolto in Italia con diffusa ammirazione e sincero entusiasmo. L’Italia, accantonata da decenni la sua esperienza monarchica, quando si approccia all’antica democrazia liberale d’Oltremanica, con i suoi difetti e i suoi pregi, rimane molto spesso affascinata: non ha fatto eccezione questo ultimo discorso di Sua Maestà, dove l’anziana signora vestita di un bel verde smeraldo (il colore della speranza) ha dimostrato che, forse, sia lei che l’istituzione che rappresenta hanno ancora qualcosa di valido da dire (e da dare) al mondo moderno.

Cosa può mai avere da dire oggi un’istituzione come quella monarchica, che sembra cronicamente legata al passato con i suoi riti, le sue tradizioni e le sue consuetudini? Perché la monarchia britannica oggi costituisce un vero e proprio marchio e gode, anche al di fuori dei confini nazionali, di una popolarità infinitamente superiore alle altre monarchie europee, dei cui titolari molto spesso nemmeno ricordiamo il nome?

“L’orgoglio per ciò che siamo non è parte del nostro passato, ma definisce il nostro presente e il nostro futuro”

Questa frase, pronunciata dalla Regina, potrebbe sembrare a molti una vuota formula, un mero esercizio retorico fatto “tanto per dire qualcosa”. Chi però ha letto dei grandi come Edmund Burke, David Hume e, per avvicinarci al presente, Friedrich von Hayek, non può non sentire il forte messaggio di libertà che permea l’intero discorso e che costituisce l’essenza stessa della monarchia britannica. Il suo richiamo al rapporto tra passato, presente e futuro sembra ricordarci le parole di Burke:

“I popoli che non guardano indietro agli antenati non guarderanno nemmeno ai posteri. Inoltre, il popolo inglese sa bene che l’idea di eredità fornisce un sicuro principio di conservazione e di trasmissione senza per nulla escludere un principio di miglioramento.”

Le parole della Regina riflettono una forte tradizione politica e filosofica; la libertà britannica, alla quale noi siamo interessati proprio in quanto liberali, non esisterebbe senza quelle istituzioni che nel corso dei secoli si sono dimostrate in grado di garantirla, monarchia in testa. Gli inglesi hanno visto le proprie libertà come qualcosa di ereditario, da conservare, preservare e trasmettere intatto ai posteri. La monarchia britannica non è solo “rappresentanza” ma garanzia di libertà e di una tradizione che sopravvivrà alle generazioni. Come afferma Burke, infatti:

“Abbiamo (si riferisce agli inglesi, ndr) ottenuto molti altri notevoli vantaggi considerando le nostre libertà come qualcosa di ereditario, conformando allo stesso modo le nostre istituzioni artificiali alla natura e avvalendoci dei suoi infallibili e potenti istinti per fortificare i fallibili e deboli meccanismi della nostra ragione.”

La monarchia britannica può essere definita liberale perché la sua esistenza stessa e la sua affermazione nei modi e nelle forme che oggi conosciamo sono avvenute in sintonia con il principio di libertà: sempre Burke afferma che:

“Quest’idea di una discendenza della libertà ci ispira un senso abituale di dignità innata, che previene l’insolenza dell’ultimo arrivato, che quasi inevitabilmente infetta e disonora i primi che vogliono distinguersi. In questo modo la nostra libertà diventa nobile, di aspetto imponente e maestoso, di alto lignaggio e con antenati illustri”

E se il moderno Hayek trovava difficile far risalire la libertà come la intendiamo noi a prima dell’Inghilterra del XVII secolo, il settecentesco Hume già si chiedeva:

“Poiché di una libertà simile non si gode in nessun altro Stato, sia esso repubblicano o monarchico, in Olanda o a Venezia non più che in Francia e Spagna, può sembrare naturale domandarsi: come mai la Gran Bretagna è la sola a godere di questo speciale privilegio?”

La risposta, per Hume, è in un valore a cui anche la Regina ha fatto riferimento nel proprio discorso: quello della moderazione. Il successo della Gran Bretagna nel garantire le libertà civili ai propri cittadini c’è stato perché la forma di governo adottata è una sintesi tra monarchia e democrazia. Se queste due differenti forme vengono viste come opposte e la demagogia e la tirannide come due degenerazioni di opposti che inevitabilmente finiscono per assomigliarsi, la virtù britannica è certamente stata la capacità di operare una sintesi, di non scegliere per un sistema repubblicano ma nemmeno per una monarchia assoluta. La moderazione tra questi due estremi, il bilanciamento nei modi e nelle forme che poi diventano sostanza, è la principale causa del perdurare nei secoli di un’istituzione come quella della monarchia inglese.

Quando la regina parla di “qualità di autodisciplina, di risolutezza attraverso calma e serenità e di simpatia reciproca” non sta facendo appello a un generico “vogliamoci bene”, ma si conferma ancora una volta portatrice di una tradizione di libertà che ha reso possibile in Gran Bretagna l’affermarsi delle libertà politiche e personali: una tradizione da conservare e di cui andare veramente fieri.

Per questi motivi la monarchia inglese è capace di esercitare attrattiva anche sui non inglesi, non solo per essere diventata un vero e proprio “marchio”, ma per il suo retroterra culturale, un patrimonio non pecuniario che la pone davanti a tutte le “colleghe” europee. Di repubbliche come l’Italia poi meglio non parlare nemmeno…