Tutto è cominciato la settimana scorsa quando il Daily Telegraph è uscito nelle edicole con la soffiata giunta dall’interno del governo britannico: il primo ministro Theresa May vuole affidare ai cinesi di Huawei un ruolo importante, seppure in ambiti “non cruciali” – così si assicura – nella costruzione della rete 5G nel Regno Unito. Una notizia di grande impatto, alla luce anche delle polemiche a livello internazionale sulla presenza cinese nello sviluppo tecnologico del 5G nelle nazioni occidentali (Italia compresa), duramente contestata dagli Stati Uniti per timore di azioni di spionaggio da parte di Pechino. All’inizio è risultata inevitabilmente ridimensionata dall’eco della campagna elettorale per le Europee che vede il neonato Brexit Party in testa ai sondaggi e soprattutto famelico di voti tra i sostenitori conservatori. Ma era solo una questione di tempo: la bomba è deflagrata mercoledì con il licenziamento del presunto responsabile della soffiata, il ministro della difesa Gavin Williamson.
Un via-vai di missive. Prima la lettera da parte della May, solitamente molto cauta e poco decisionista, ma non in questo caso, nella quale esprimeva rammarico per la decisone da prendere di fronte ad un comportamento che non ha rispettato gli standard previsti. Williamson è stato uno dei fautori della vittoria dell’attuale primo ministro nella corsa a sostituire David Cameron – di cui è stato stretto collaboratore – all’indomani dell’esito del referendum su Brexit nel 2016, per fermare l’ascesa di Boris Johnson. La ricompensa non si fece attendere e così Williamson si è ritrovato nell’Esecutivo e ha da subito cercato di dare un’impronta al suo mandato al vertice della Difesa britannica.
Poi la replica del diretto interessato, che privatamente al suo entourage ha garantito, giurando sulla testa dei propri figli, di non esserne il responsabile: si è detto sereno e pronto a dimostrare la sua innocenza di fronte ad un’accusa che invece parla di prove evidenti, che però non sono ancora state rivelate.
Le interpretazioni a Londra si rincorrono: c’è chi vede nel licenziamento di Williamson l’ultimo atto di una faida con il primo ministro culminata con la tensione registrata tra i due ad inizio mese, durante la riunione fiume del governo per decidere cosa farne di Brexit, a pochi giorni dalla scadenza del secondo termine per approvare il Withdrawal Agreement, già bocciato tre volte. Anche in quell’occasione alcune rivelazioni giunsero alla stampa nonostante il divieto assoluto di comunicare con l’esterno, requisendo i cellulari dei presenti. Remainer, Williamson con il trascorrere dei mesi e degli anni si è dimostrato propenso ad uscire dall’Ue anche in assenza di un accordo, una mossa giudicata dai critici come un tentativo di garantirsi un appoggio tra i backbenchers euroscettici del partito.
I fatti raccontano invece che è molto probabile una prossima indagine da parte della polizia perché la materia in questione riguarda la sicurezza nazionale. Il ruolo di Huawei nella costruzione della rete 5G è stata infatti discussa al National Security Council e da quegli ambienti probabilmente proviene il personaggio che ha fatto rotolare la testa di Williamson. Si tratta di Sir Mark Sedwill, Cabinet Secretary che ha condotto le indagini interne all’indomani della pubblicazione del Telegraph, chiedendo di poter visionare le email spedite dagli ambienti governativi per stanare la talpa – richiesta alla quale Williamson si è opposto, finendo di diritto sotto la lente di ingrandimento.
Sedwill è uno dei consiglieri più potenti del primo ministro, con voce in capitolo ovviamente anche su Brexit, ma soprattutto in materia di sicurezza. I contrasti tra i due sono stati diversi: all’inizio sul modo con cui impiegare il miliardo aggiuntivo di sterline nel bilancio del ministero, che Sedwill avrebbe voluto fosse dedicato alla cyber security, mentre Williamson ha optato per altre destinazioni; poi sugli stessi ambiti di competenza tra il ministro e il funzionario, con il primo deciso a ridimensionare quella del civil servant ombra della May.
Se per il governo la questione è chiusa, in realtà i contraccolpi potrebbero essere molteplici. Il siluramento riguarda uno dei personaggi di spicco del gabinetto del primo ministro, che deve costantemente serrare i ranghi in un partito senza una chiara strategia sul tema più scottante, l’uscita dall’Ue, e destinato ad impattare su un risultato storicamente negativo alle prossime elezioni europee (dopo la batosta alle amministrative di questa settimana). La May proverà nuovamente a portare a casa l’accordo siglato a novembre con Bruxelles, ma ai nemici già noti se ne sono aggiunti di nuovi: quelli aizzati dalla decisione di avviare trattative con il Labour Party di Jeremy Corbyn pur di ottenere una maggioranza parlamentare, quelli che non sopportano più l’ostinazione con la quale il primo ministro resta decisa a non farsi da parte e quelli, infine, che non digeriranno il licenziamento di Williamson.
In attesa, poi, di interpretare messaggi e commenti provenienti dall’altro lato dell’Atlantico, con l’amministrazione di Donald Trump (in visita di stato a Londra a giugno) che proprio non può vedere il marchio Huawei sventolare nelle trincee occidentali della guerra economica con la Cina: il segretario di stato americano, Mike Pompeo, incontrerà la May e il ministro degli esteri Jeremy Hunt la settimana prossima e sul tavolo ci saranno le partnership tecnologiche tra Washington e Londra.